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ATP Cincinnati 2018: Golden Master, Djokovic completa la collezione dei Masters 1000

Dopo la sorpresa a Wimbledon, Djokovic vince un altro prestigioso torneo, l’ultimo che gli mancava per completare la collezione dei Masters 1000.

La partita

Sul centrale del Lindner Family Tennis Center di Mason va in scena una dei classici del tennis moderno: la 46a sfida tra Novak Djokovc e Roger Federer. I precedenti dicono 23-22 per il serbo, che però qui nell’Ohio non ha mai vinto, perdendo contro lo svizzero ben 3 finali. Nole arriva alla partita avendo disputato un pessimo torneo, a differenza di Roger che arriva qui senza mai avere subito un break e 0 palle break concesse dopo il primo turno contro Gojowczyk.

Parte Federer alla battuta e si capisce fin da subito che non sarà la partita che molti avevano pronosticato. Il servizio di Rogé funziona, solo che Nole ha alzato il livello rispetto alle precedenti uscite e mette in mostra tutto il suo repertorio che gli ha permesso di stare davanti allo svizzero negli H2H nonostante il grande gap iniziale in questa statistica. Djokovic la mette sul palleggio e Federer sbaglia tanto. Ci sono subito 2 palle break annullate sapientemente entrambe con 2 servizi vincenti, però si capisce che musica stiamo ascoltando. Il numero 10 del seeding dal canto suo è ferale nel servizio come mai lo era stato in tutto il torneo. Però qui non si capisce se i meriti sono suoi, oppure è quello dall’altra parte della rete che proprio non è in giornata. Forse a prevalere è la seconda opzione quando si vedono 2 ace lumaca che scorrono via facili con Federer inerme. Oggi non è giornata. Djokovic appare come un servebottaro nonostante non stia facendo niente di eccezionale. La risposta serba funziona e il break arriva nel famigerato 7° gioco quando il numero 1 del seeding commette ben 3 errori veniali e consegnando il game con un liscio che ricorda molto quello del match point della finale di Madrid 2010 contro Nadal. Federer si incazza come una biscia e sbraita in germanico. Dumusois gli dà il warning, ma conta poco, quello che conta è che Roger non riesce a tenere neanche con i nervi. Nole continua a non concedere nulla quando serve e dopo 38 minuti di gioco porta a casa il primo set della finale di Cincinnati. Incredibile. Nelle precedenti 5 occasioni mai l’aveva fatto.

Federer vuole smuovere le acque e attacca la rete con risultati alterni globali, ma soddisfacenti in locale. È grazie a questa aggressività che riesce ad ottenere il break nel 2° gioco del secondo set e far sperare una rimonta del tutto plausibile. Il break arriva dopo il 40-15 serbo, e forse qualche crepa nella mente noliana si sta aprendo. Federer però ricuce questa piccola crepa aprendone una a sua volta nella sua mente che oggi appare bacata. Gli errori sono tanti e anche i doppi falli. Aveva ottenuto 100 servizi consecutivi qui a Cincinnati dalla partita contro Ferrer del 2014, ora soccombe sotto i colpi saggi dell’avversario e sotto la sua evidente contro-prestazione che qui a Cincinnati non si era mai vista. Nole ottiene il contro-break e riporta tutto in parità tenendo a zero il 4° gioco. Ancora 7° giuoco decisivo. Facili primi 3 punti per Federer, ma non passa. Ci sono 5 occasioni per chiudere il game, 5, però questa volta è crollato tutto. Sbaglia anche a rete i punti facili, e non è da lui. Djokovic deve solo prendere il cadavere del suo rivale e seppellirlo. Altri 3 turni di servizio e chiusura al primo match per colpa di un errore svizzero. Djokovic esulta rabbiosamente e lo fa pensando al periodo terribile che ha vissuto prima del Torneo di Wimbledon. Il vaso è suo, ha completato la collezione, è il primo nella (breve) storia a riuscirci.

Il torneo

Se questo torneo si fosse giocato dopo Wimbledon, l’uomo da tenere d’occhio sarebbe stato senz’altro Djokovic. Invece la controprestazione vista contro Zizzi aveva spostato i favori del pronostico verso Roger Federer, l’eptacampione, che qui a Cincinnati ha vinto e stravinto, anche senza perdere mai il servizio. Non c’è il numero 1 del mondo che dopo Toronto si è fermato in vista degli imminenti US Open, ed ecco che Rogé diventa ancora più favorito. Lo svizzero aveva saltato preventivamente il Masters del Canada memore della brutta sconfitta in finale con Zverev e annesso infortunio alla schiena che gli è costato certamente la defezione dell’Ohio e non si quanto in percentuale (anche 0%) i successivi US Open.

Siamo in un Masters 1000 da 56 giocatori per cui solo le prime 8 teste di serie hanno il bye al primo turno. Nole ha la tds 10, per cui è costretto a giocare anche il primo turno. Fa specie vederlo nelle retrovie, dopo anni e anni in cui era lui a tirare il gruppo. Ma le regole sono le regole. Che mondo sarebbe senza le regole? In un lunedì dimenticato da molti, causa settimana di Ferragosto, scende il campo quello che negli anni ’30 sarebbe stato chiamato “Campione del Mondo. Lo fa contro Johnson, giocatore mai esploso e che forse non lo farà mai. Si vede subito che Djokovic non gode di ottima salute. Il pessimo torneo canadese si porta dietro i fantasmi di un periodo moscio in cui il 13 volte campione Slam ha preso pesci in faccia da chiunque, e non sarebbe strano rivedere questa versione da grande incassatore, dopo l’inatteso exploit londinese. La partita viene vinta in 2 set, però il radar non funziona. Oppure è proprio andato in pensione, sostituito da un altro aggeggio tecnologico a noi sconosciuto. Addirittura Mannarino nel secondo turno si permette di fare la voce grossa andando a vincere il primo parziale. È solo un fuoco di paglia, ma sintomo di una condizione che non c’è. Però quello che conta è il risultato. Avanti il prossimo. Spetta ad un inspiegabile tds 5 mostrare tutte le lacune di un Nole che molto probabilmente non sarà mai come quello dei bei tempi. L’inspiegabile però è capire come Grigor Dimitrov sia testa di serie numero 5, però l’ATP ci ricorda che contano le precedenti 52 settimane in cui la cover band bulgara ha vinto il Masters di fine anno e, dicono, sia detentore del titolo qui nell’Ohio. Nel primo set non c’è partita. Per quanto Dimitrov possa essere un esponente del “bel tennis”, è Djokovic che imbarca acqua da tutte le parti. Nessun fondamentale sembra funzionare. È difficile fare apparire Greg, oggi, come un buon giocatore, ma Nole riesce anche in questa impresa. Dopo il primo set Dimitrov si ricorda fatalmente anche lui di non essere un leone e qui comincia la gara a chi gioca peggio. In questi casi, secondo le statistiche, è sempre il giocatore con meno esperienza ad avere la peggio. Ed è quello che succede l’ex Sharapovo che inizia a sbagliare più del suo avversario e regala la partita ad un insufficiente Djokovic, ancora una volta graziato. Doveva essere a casa da un pezzo, però è lì a giocarsi i quarti di finale. Ci doveva essere Shapovalov, ma non c’è. A sostituirlo è un ritrovato Raonic che ha sconfitto il connazionale in 2 set, riportando ancora una volta un Next Gen nel “non luogo” in cui ormai sono confidati i giocatori appartenenti a questa categoria eco-fittizia creata dall’ATP. Milos viene da un periodo terribile, dopo che negli anni scorsi aveva affinato la sua tecnica grazie al maestro Piatti, aggiungendo qualche arma in più al potente ed efficace servizio. Un servebottaro resterà sempre un servebottaro. Qui non ci piove. Il Platano gioca bene i suoi turni di servizio, ma solo quando serve bene. La regola è la seguente: se serve bene fa punto, se si entra nello scambio il punto è dell’avversario. Questo gioco digitale binario per un momento però sorride al canadese che si porta avanti di un break. Si capisce che è un break farlocco, perché il suo servizio non è al 100%. Ecco allora servito il contro-break e il break che consegna a Nole il set. Djokovic continua ad arrancare e questa volta non può vincere d’inerzia. Il break per Raonic questa volta vale il set a Milos che pareggia i conti. Continua il non gioco serbo che va sotto di un break anche nel 3° set, però non basta. Nole sale e approfitta di un avversario che ha dimenticato come si vincono le partite importanti. Non ha mai vinto contro Djokovic e forse mai lo farà. Ancora break e Nole che si guadagna la semifinale. Cilic doveva essere il baluardo ad una continua non-prestazione del serbo, però così non è stato. Marin gioca meglio del suo avversario, ma il suo difetto principale non è il gioco, ma la testa. Quando si ricorda che poteva essere un campione va in tilt. Il primo set poteva benissimo essere croato, però Djokovic è bravo, quasi come ai vecchi tempi, ad imbastire un gioco aracnide in cui tesse con cura la tela in attesa che il suo avversario cada nella trappola per poterselo mangiare con cura. Non è un caso che quando l’avversario non cade in tentazione vinca con facilità il 2° set, per poi capitolare per lo stesso motivo citato pocanzi nel 3°. Novak ha giocato male per quasi tutto il torneo ed ha vinto. È forse solo nella finale che è stato superiore all’avversario che però ci ha messo tanto del suo.

Il rovescio della medaglia di questo torneo è Roger Federer. Indirizzato verso la vittoria numero 8 da un tabellone amico, ha fatto di tutto per prendersi il titolo, ma è mancato sul più bello. Paradossalmente la partita più dura per lui prima della finale è stata quella con Gojowczyk. In questa occasione ha concesse ben 5 palle break, contro un tennista che si fa fatica a collocare nelle graduatorie, eppure nel primo turno ha battuto Sousa. Grande traguardo. Leonardo Mayer, argentino, è un altro che non sa nemmeno lui perché sia lì, nel terzo turno, a giocare con il Tennis. La cronaca ci parla di una sua vittoria contro l’ormai fallita, o mai esplosa, promessa transalpina Pouille, reo di avere battuto nel primo turno Andy Murray, in un H2H che prima di questa uscita aveva visto pesantemente in vantaggio lo scozzese, che, tra tutti i Fab 4, è quello che ha avuto l’infortunio peggiore della carriera. Leo non fa finta neanche di giocare nel primo set e prende un sonoro 6-1. Poi Federer cala nel secondo tanto da fare sembrare Mayer un giocatore di tennis. L’argentino si prende la briga di risalire da 1-5 a 5-5 nel tiebreak, per poi cedere il servizio e il match. I Rogerfans sono allarmati della scarsa lucidità del loro beniamino nel chiudere le partite già finite, ma qui eravamo al tiebreak nel secondo, ergo, nessun pericolo, nessuno. Nei quarti di finale si ripete il Vassal Game. Un gioco perverso che ha quasi sempre visto prevalere il primo dell’armata rosso-crociata, con il Sancho Panza della situazione a fare sempre da comprimario, tranne quelle in cui i mulini a vento erano troppo grandi da affrontare dal Don Chiscotte di Basilea. Stan The Man si è permesso di arrivare a 2 punti dal match, quando, dopo aver vinto il primo set, è stato 6 pari nel tiebreak del secondo. C’è stata anche un’interruzione per pioggia che ha protratto la tenzone fino a mezzanotte quando però i buoi erano scappati. Il numero 2 del mondo ottiene 2 break e si porta a casa il match. Difficile parlare dell’incontro con Goffin, che non si sa perché si provi in semifinale, però si parla di vittorie con Anderson e Del Potro. David appare fin da subito menomato, però riesce comunque a portare il primo set al tiebreak salvando 3 set point nel 12° gioco. Dopo aver perso il parziale e con la consapevolezza che il match era andato si ritira, regalando a Roger l’8a finale ed un bell’aiuto in termini di stanchezza fisica che Federer non ha mai avuto motivo di soffrire.

I record

  • Djokovic è il primo tennista nella storia a vincere per almeno una volta tutt’9 i Masters 1000
  • 31° Masters Series / Masters 1000, 2° dietro a Nadal con 33 successi
  • 70° titolo in carriera
  • 51° titolo sul cemento in carriera, 2° all time dietro Federer

Conclusione

Una doverosa precisazione va fatta sul Career Golden Masters. La seguente dicitura è nata dopo la riforma del 2009 per indicare chi, nella propria carriera, avesse vinto tutti i tornei appartenenti alla categoria dei Masters 1000. In realtà la definizione vera e propria è posteriore al 2009. Il primo utilizzo ufficiale del termine si ha il 12 ottobre 2014 quando i fratelli Bryan vincero il Masters di Shanghai e completarono per primi il filotto dei 9. Allora ci fu qualche polemica sul nome dato a questo risultato. La parola ambigua è “Golden” che potrebbe fare pensare all’oro, all’oro olimpico, in realtà è solo il colore del logo con cui vengono sponsorizzati i tornei della categoria. La definizione esatta ci dice che: completa il Career Golden Masters chi ha vinto almeno una volta tutti i Masters 1000 istituiti dal 2009 in poi, le vittorie pre-2009 vanno a riempire/sostituire quei tornei che ancora fanno parte della categoria. Questo smentisce i tanti calcoli che si basano su una impostazione “a slot”, in cui ogni vuoto viene riempito da un torneo considerato omologo. Si fa spesso l’errore di considerare Amburgo come sostitutivo di Madrid Outdoor su clay, ma non funziona così il gioco. Solo Il Madrid Indoor su cemento può sostituire il Madrid attuale, essendo sempre lo stesso torneo. Sono vani i tentativi di far partire il conteggio dal 1990 in poi, o addirittura prima, confezionando una lista di Super 9 che prima del 1990 era assolutamente inesistente e non si capisce perché qualcuno continua a riportarla. Il continuo spostamento dei tornei, soprattutto quello di Stoccolma, che poi è andato ad Essen, poi Stoccarda, Madrid Indoor e oggi Shanghai e, la non uniformità dei punteggi degli anni ’90 (riportato in questo articolo) ci indica che il record, se così si può chiamare, è valido da 10 stagioni a questa parte (2018 compreso). Quindi bisogna prenderlo per quello che è, un achievement distante anni luce dal cosiddetto Grande Slam, che ha avuto una storia completamente diversa.

Al di là della precisazione, non si può non fare un applauso a Djokovic che è stato il primo a completare il filotto. A Federer manca il duo Monte Carlo-Roma, in cui Roger ha sempre patito da Nadal. Nole ha avuto dalla sua parte la perseveranza che l’ha portato a vincere tutto, anche l’inaspettato Cincinnati, quando ormai il record sembrava essere svanito. Roger da 2 anni a questa parte ha abbandonato questa idea, che in fin dei conti vale poco rispetto a tanti altri traguardi prestigiosi, però non si può non mettere in luce come i 2 più grandi rivali di Nole non abbiamo mai avuto questo privilegio, pur essendo vera l’ipotesi che in molti campi si sono annullati a vicenda. Adesso è Djokovic l’uomo da battere a Flushing Meadows. I boomakers indicano nel serbo il favorito, di poco avanti a Nadal. Federer appare molto lontano dalla condizione che l’anno scorso lo portò a New York, anche se nei numeri le 2 stagioni estive americane sul cemento corrispondono perfettamente. In fin dei conti Roger ha vinto gli Australian Open, ed è questo titolo che lo pone ancora in alto, in alto in una stagione in cui non ha nulla da riparare. Ci sono state tante stagioni migliori in cui non ha portato a casa Major, però, a livello storico cosa conta: una stagione mediocre con uno Slam? O una stagione eccelsa ma senza Slam come quelle del 2014 e del 2015? Ai poster l’ardua sentenza. La collisione tra super-particelle quali il federione e il nolone fa sì che il nadalione acquisti sempre più energia in un campo in cui in passato era molto depotenziato, quello della classifica ATP. La vittoria di Djokovic toglie a Federer 400 punti che sarebbero stati preziosi per il numero 1 di fine anno, e con 2140 punti di distacco nella Race, Nadal sembra lanciato in un traguardo insperato, che non gli appartiene, come quello di bissare l’Year-end No. 1 ATP Rankings agganciando Federer a quota 5 e staccando Djokovic fermo a 4. Come di consueto ci sarà la settimana di preparazione agli US Open e giovedì conosceremo il tabellone che più che in ogni altra occasione sarà determinante, e nessuno vorrà beccare lo strafinito risorto NOLE.