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ATP Dubai, Acapulco, San Paolo: L’occhio di Djokovic, Thiem e Cuevas sulle orme di Nadal

Collage 28 febbraio 2016

Si chiude un’altra settimana all’insegna del grande tennis prima del weekend dedicato alla Coppa Davis. I tornei di Dubai, Acapulco e San Paolo ci danno molti spunti di riflessione e finalmente qualcosa sta cambiando, poco, ma sta cambiando. Se l’anno scorso avevamo avuto un dominio a livello Slam, Masters 1000 e pure ATP 500 da parte delle solite facce note, quest’anno nuovi volti si affacciano ad alti livelli e almeno nel secondo gradino dei tornei dell’ATP World Tour riescono finalmente a brillare. Da questo punto di vista è stato molto incoraggiante il torneo di Acapulco che ha presentato una finale tutta targata anni ’90 con la vittoria di Thiem su Bernard Tomic. Nella metropoli brasileira Cuevas riesce a bissare il successo della settimana prima a Rio e a 30 anni mette a segno un achievement difficilmente pronosticabile. Ma, senza giri di parole, il torneo più importante della settimana era l’ATP 500 di Dubai che per montepremi si colloca al primo posto nella sua categoria, stiamo parlando di $2,674,445, ma per quanto possa sembrare “strano” il 500 di Dubai non è un Masters 1000 e l’assenza forzata di Federer non ne declassa di certo la sua importanza, così come la sua presenza negli anni passati non  autorizzava a dire:”Sì, però Dubai è un Masters 1000 mascherato”.

ATP Dubai

Il torneo dell’emirato ha visto il ritorno dell’incommensurabile numero 1 del mondo a caccia di nuovi record per incrementare i suoi punti ATP e per sfondare la quota di 17.000 ma qualcosa è andato storto e nonostante tutto fosse apparecchiato per l’ennesimo titolo, l’ennesimo record, il fato ci ha messo lo zampino. Il campione uscente Federer non ha potuto difendere il titolo così a presidiare la parte opposta del tabellone di Djokovic c’era un altro svizzero, Stan Wawrinka, che fino a questo punto della stagione non aveva brillato particolarmente anche se aveva vinto un titolo a Chennai come aveva fatto l’anno scorso, ma era stato eliminato nel quarto turno degli Australian Open da Raonic. Saltato l’ATP 500 di Rotterdam da detentore del titolo aveva preferito ripiegare verso il più modesto Open 13 di Marsiglia, ma qui era uscito clamorosamente contro Benoit Paire. Ma qui, a Dubai, ha avuto modo di riscattarsi. Dicevano di Djokovic…i primi 2 turni sono apparsi un puro allenamento, un “allenamento agonistico” come era solito chiamarli Gianni Clerici: 6-1 6-2 a Tommy Robredo e ci sta, 6-1 6-2 a Malek Jaziri e non ci sta, o meglio ci sta ma il tunisino è apparso evidentemente di un’altra categoria rispetto a Nole senza dubbio, ma anche rispetto a tutto il gruppo quindi perdere 3 game contro Jaziri è ordinaria amministrazione, ma la partita poteva benissimo chiudersi con 2 bagel in 30 minuti e nessuno si sarebbe scandalizzato. Ma al terzo turno che succede? All’improvviso gli dei del tennis sembravano aver voltato le spalle al numero 1 del mondo; un’imperfezione di Matrix che si manifesta in un occhio malconcio che fa tremare il serbo e gli archivisti dei record. Con Deliciano Lopez non c’è partita nel primo set e il 6-3 serve solo per le statistiche. Nole ha un occhio completamente arrossato, non si conosce la causa di questo malanno, ma è sufficiente a costringerlo al ritiro facendo crollare contemporaneamente una decina di record e strisce aperte. Con questa sconfitta si interrompe a 17 la striscia di finali consecutive disputate pareggiando Federer e rimanendo a una di distanza da Ivan Lendl che ne mise in finale 18 dall’indoor di Madrid 1981 a Forest Hills 1982 (il famoso WCT Tournament of Champions) fino alla clamorosa sconfitta al Roland Garros del 1982 patita dal giovanissimo Wilander. Si interrompe così anche la serie di 7 titoli vinti consecutivamente, sopra di lui Lendl e Mac con 8 e in altro Borg con 10. Si chiude anche la mini striscia di 16 vittorie consecutive e non migliora il suo punteggio del ranking ATP. Inoltre Nole non si ritirava dalla semifinale di Coppa Davis del 2011 nel match contro Juan Martin Del Potro.

Distogliamo per un attimo lo sguardo dal numero 1 e concentriamoci sugli altri protagonisti del torneo. Da un lato abbiamo un Nick Kyrgios, detto “mago Oronzo” che era chiamato a confermare l’ottima prova ottenuta a Marsiglia in cui era riuscito a vincere il torneo senza perdere mai un set e neanche una battuta. Anche a Dubai è riuscito a mettere in mostra un buon tennis sconfiggendo all’esordio Klizan, poi ordinaria amministrazione con Kuku e grande prova di forza contro Tomas Berdych numero 7 del mondo “solo per il computer” (come diceva Rino Tommasi). Purtroppo per lui è stato costretto al ritiro dopo aver perso il primo set nel match con Stan Wawrinka per problemi alla schiena.

Un protagonista inattesto è stato Marcos Baghdatis, il più forte degli avversari scarsi di Federer, che ha 30 e lo dimostra la sua data di nascita, 15 giugno 1985, ma è come se ne avesse 40 per via del suo aspetto molto rude e mascolino da uomo vissuto e di quella famosa finale degli Australian Open 2006 che perse contro Federer, ma allora aveva solo 20 anni e molto spesso ci si dimentica che lo sport è fatto per i giovani, ma questo è un altro discorso. Una serie di infortuni più o meno gravi l’hanno tenuto fuori dal tennis che conta ma a Dubai è riuscito ad esprimere il suo grande potenziale battendo tra gli altri AGUT, una dei tennisti più caldi della stagione 2016, Feliciano in semifinale prima di arrendersi non senza aver lottato contro Wawrinka in finale. Già, Wawrinka, è lui il vincitore, the champion, molti forse ricorderanno il ritiro di Djokovic ma altri ricorderanno che è stato lui che ha alzato la coppa, coppa….il trofeo a forma di veliero che gli è stato consegnato al termine della finale vinta con Baghda. Il suo cammino è stato agevolato da un tabellone non proprio proibitivo, con Stakoso al primo turno, Škugor (chi?) al secondo, poi Kolhi e come detto Kyrgios in semifinale. Nell’atto conclusivo ha avuto la meglio sul più giovane (sigh!) avversario che ha lottato strenuamente solo nel tiebreak del secondo set terminato per 15 punti a 13 a favore dello svizzero. Qualcuno ha parlato di “secondo tiebreak più lungo della storia”, non è vero, ce ne sono tanti altri che sono durati di più in termini di punti e tempo. Ci sono quelli a livello Futures che non fanno testo: c’è un 36-34 fatto registrare senza arbitri e telecamere che vale poco, un 25-23 con telecamere che comincia ad essere interessante. Di 20-18 ce ne sono tanti nella storia che conta a partire da un Borg-Lall a Wimbledon 1973, Ivanisevic-Nestor agli US Open 1993, Roddick-Tsonga agli Australian Open 2007, Ivanisevic-Rusedki al Queen’s del 1997 e forse il più famoso Federer-Safin al Masters del 2004.

Con questa vittoria Stan si dimostra un cecchino in finale: non ne perde una da Rosmalen (erba) 2013, da allora 9 vittorie su 9 in tutti e 4 i livelli dell’ATP World Tour. Stan è ancora Stan The Man.

ATP Acapulco

Il torneo messicano, ATP 500 ma di livello molto inferiore rispetto a Dubai, segna dei risultati molto sorprendenti e ci fanno esclamare con voci flebile il titolo di un film con protagonista uno scrittore ossessivo-compulsivo interpretato da Jack Nicholson:“Qualcosa è cambiato!”. Sì, perché ad Acapulco si è visto qualcosa che nel 2015 era stato un miraggio: Ivo Karlovic, archiviato un grande 2015 con la vittoria contro Djokovic a Doha (la sola in un torneo a eliminazione diretta prima della finale), il record (molto farlocco) di ace messi a segno in carriera certificato dall’ATP e il titolo a Delray Beach quest’anno non ha ancora vinto una partita, il ‘che pone diverse problematiche: da un lato non lo si riesce a collocare nel Fantatennis e la sua squadra di riferimento, i Footlockers, lo stigmatizza come palla al piede della compagine, i soli 10 punti della race sono arrivati dalla partecipazione agli Australian Open e non è proprio il massimo, dall’altro non si spiega come a 36 anni sia stato così competitivo e a 37 non lo è più improvvisamente, ma a giustificare tutto pare che ci sia un infortunio che ha complicato un po’ la situazione e i piani di Ivone. Il duracelliano Ferrer sembra avere perso la sua carica che lo ha sempre contraddistinto e per la prima volta dal 2009 fino a questo punto della stagione non ha raccolto nessun titolo pur partecipando a torneo di fascia medio-bassa. Dopo la sconfitta contro Dolgopolov ha detto di non essere più in forma e probabilmente salterà il torneo di Indian Wells dove non è mai andato particolarmente bene. Ferru sembra un po’ un Forrest Gump che dopo aver corso per anni in tutti gli USA si sente “un po’ stanchino”. Un altro semi-vecchio che ha fatto male in questo torneo è stato Marin Cilic sconfitto al primo turno da Harrison.

La prestazione dei giovani fa da contraltare a quella dei vecchi. Abbiamo visto un ottimo Taylor Fritz che dopo la finale di Memphis in cui era entrato nel tabellone principale grazie ad una wildcard, qui è stato costretto a passare per il limbo delle qualificazioni per poi battere la testa di serie numero 8 rappresentata da Jeremy Chardy al primo turno e il dinosauro Estrella Burgos, ma è costretto poi a capitolare contro Sam Querrey numero 1. Fritz con questo risultato entra per la prima volta nella top 100, esattamente nella casella numero 81 e siamo solo all’inizio. Nota dolente per i ninetys è sempre Grigor Dimitrov, ora quasi ex baby Federer, che è capitolato di fronte a Dominic Thiem protagonista del momento. Domenico è riuscito a prendere simbolicamente a prendere il testimone di Rafael Nadal battuto salvando match point a Buenos Aires, ormai evidentemente alla frutta, per poi andare a vincere il torneo argentino e questo di Acapulco. Nel 2005 Rafa aveva avuto un percorso simile vincendo prima a Salvador de Bahia sulla terra battuta (un ATP International Series, oggi 250) e poi proprio ad Acapulco, ma ci sono 2 differenze sostanziali: Nadal aveva solo 17 anni e Thiem ne ha 22, ed Acapulco allora era su terra battuta a differenza di oggi che si gioca sul cemento. Il plauso a Thiem va trasferito anche a Bernad Tomic, protagonista anche lui di un grande torneo soprattutto nella sfida di semifinale che lo vedeva opposto a Dolgopolov. Questi è andato avanti 6-1 nel primo set e sembrava poter vincere facile, prima di capitolare con un straordinario ritorno di Bernie che ha vinto per 1-6 6-3 6-4. Qualcosa è cambiato.

ATP San Paolo

Concludiamo con il torneo meno nobile della settimana, un 250 sulla terra battuta di San Paolo che ha dato lustro a Pablo Cuevas, già vincitore la scorsa settimana a Rio de Janeiro. Un field a 28 giocatori non eccezionale presenta come prima testa di serie e pure wildcard Benoit Paire che si trova nella metropoli paulista come un pesce fuor d’acqua: in un’intervista aveva fatto intendere che lui si aspettava di giocare un torneo indoor così come in effetti era stato quest’evento fino all’anno scorso, ma che da questa edizione era stato spostato nel consueto outdoor che contraddistingue il clay. Così il transalpino sconvolto da questo cambio di programma è stato battuto al secondo turno, la prima partita per lui, da Lajovic. La tds 2 Thomas Bellucci, brasiliano e quindi padrone di casa è stato costretto a capitolare di fronte al lucky loser Carballés Baena. La tds 4 DelBonis è stato estromesso da Cervantes, così da questo massacro di teste di serie è uscito Pablo, numero 3 del seeding, che ha battuto Bagnis, poi la sorpresa Thiago Monteiro vincitore su Tsonga a Rio (ma come ha fatto a batterlo?!?!?), su Lajovic e poi in finale su Pablo Carreño Busta. Anche qui il paragone con Nadal 2005 viene quasi spontaneo ed è molto più veritiero rispetto a quello con Thiem per quanto riguarda i titoli: un 250 su terra e un 500 sempre su terra a febbraio, non come come Thiem che ha collezionato un titolo su cemento, se non fosse che Cuevas ha 30 anni compiuti e con tutto l’ottimismo del mondo e l’imprevedibilità che contraddistingue lo sport e il tennis in generale è difficile pensare ad un nuovo Nadal impersonificato in Pablo che dal canto suo non penso abbia questa velleità, ma una cosa la possiamo dire con certezza:“Qualcosa è cambiato”.