ATPEditorialeUltimi articoli

ATP Finals 2018: Meister. Zverev vince a sorpresa contro Djokovic

Finisce con una grande sorpresa il 2018 tennistico. Zverev, piallato nel Round Robin, riesce a battere Djokovic e a diventare Maestro.

La partita

Dopo il non troppo gentile 6-4 6-1 rifilato a Zverev c’erano pochi dubbi su chi sarebbe diventato il Maestro del 2018. Dopo aver disputato un torneo fantascientifico, stritolando tutti gli avversari, Nole si apprestava a chiudere in bellezza questa stagione tennista che lo ha visto protagonista solitario da Wimbledon in poi. Eppure non aveva fatto bene tutti i conti.

La partita è subito accesa, con i 2 bimani che picchiano come dei fabbri. Djokovic, però non è così incisivo al servizio. Contro Cilic aveva vinto più del 90% dei punti sia con la prima che con la seconda. Incredibile. Qui deve arrangiarsi e le prime in campo sono poche, 62%. Il suo avversario è centratissimo e ne mette l’84%. Nelle prime battute però è Nole il padrone del campo e Zverev rincorre con qualche errore non forzato di troppo. Sasha non riesce a chiudere dei punti importanti, però il numero 1 del mondo giochicchia a rete. E questa non è una novità. È prassi. All’improvviso l’equilibrio si spezza e la bilancia prende una sbandata tremenda. Volée nei boschi, allez! Dritto a rete, allez x2! Palla break e Alex passa. Djokovic non era mai stato breakkato in tutto il torneo, ora e sotto e deve difendersi da un terribile russo. 5-4. Il tedesco non trema. Ace a destra, ace a sinistra, ancora ace e Nole sta a guardare. Ottiene solo un punto, poi si chiude il sipario. 6-4 in 40 minuti. Abbiamo una partita. Tutti i record saggiamente collezionati vanno in fumo. Quello che conta però è lo spettacolo.

Il momento di smarrimento serbo diventa rottura prolungata. Djokovic appare debilitato e la potenza dei colpi ne risente tantissimo. Zverev è solidissimo ed è lui a comandante da fondo. Gli unforced per il serbo lievitano e al suo nemico non rimane che sedersi in riva al fosso per vedere passare il cadavere dell’avversario. Zverev però è Zverev, non è Nadal e, dopo aver conquistato il break in apertura di secondo set, si incarta come a ramino.  Un doppio fallo, anzi IL doppio fallo, poi I doppi falli. Manovra per uscire dal parcheggio di Nole magistrale ed è subito contro-break. La partita è di nuovo in equilibrio. Ma neanche per sogno. La precisione nanometrica con cui colpisce le righe Nole è andata a farsi benedire e ora le righe sono diventati corridoi. Subito 15-40 e altre 2 palle break da fronteggiare. Bim, Bum, Bam e altro break. È quello giusto. Da qui in avanti Zverev amministra e mette il turbo. Bene con i passanti. Bene con i piedi dentro al campo. Piccola défiance nel 6° gioco quando va sotto 0-30, però il timone è subito messo in linea. 4-3. Quando Nole sta male scende a rete per chiudere il punto. È la certificazione che oggi non è giornata per il serbo. Siamo sul 5-3 e Nole va a servire per rimanere nel match. Nole fa serve&volley. Nole fa serve&volley?! Sì, è disperato. Ne azzecca solo uno. Al secondo match point scende a rete e Sasha lo passa con un passante lungolinea di rovescio, fotocopia del Championship Point del 2012. Alex non ci crede e si butta a terra. Djokovic va dall’altra parte della rete per congratularsi con il suo avversario. Vittoria netta, senza fronzoli. Il predestinato mette un altro tassello importante nel mosaico che lo porterà a danzare con i grandi. Per ora, però, si gode il momento e sfoggia un grande eloquio durante la premiazione. Sarà anche questo uno dei suoi cavalli di battaglia. Non sarà come Valentino Rossi, ma Il Dottore ha corso in circuiti lunghi kilometri, qui è difficile sponsorizzare una Polleria anonima su una moto lanciata in un rettilineo.

Il torneo

Il Masters di fine anno, che non si chiama più così ormai da parecchi anni, 28 per la precisione, è l’unico torneo che non lascia nulla al caso. Ogni partita è al centro dell’attenzione e non si rischia di lasciare qualche match interessante per strada. Ecco perché è semplice fare un bilancio dei partecipanti.

Il primo della lista non può non essere il vincitore. Il vincitore a sorpresa che ha battuto in sequenza i 2 mostri sacri presenti a Londra e che si candida a prenderne, col tempo, il posto. Eppure tutto non era nato così. La prima sfida, già ostica, del futuro Maestro è stata quella contro Marin Cilic. Il più sfigato dei partecipanti al torneo, ha dimostrato ancora una volta di essere tale. Partita praticamente buttata dal giocatore croato che si è trovato avanti di un break in entrambi i set ma che poi ha finito per capitolare in entrambi gli spezzatori di pareggio. Dolcemente nel primo, malamente nel secondo. Della sfida con Nole si è già parlato. Però non si è detto che è stata una NON sfida. Il mercoledì tedesco diventa un mercoledì nero e la pialla va avanti e indietro sul Centrale della O2 Arena. Solo nel primo set c’è un filino di partita. Poi è solo e sempre NOLE. 6-1 senza complimenti e subito piovono puntali le critiche sul campione che doveva fare, avrebbe potuto, avrebbe dovuto. Insomma, un tennista per allenare i congiuntivi. È nella sfida contro Isner che Sasha si dimostra un tennista maturo e riesce a sopperire al bombardamento di Isner, già felice di essere qui, ma con ancora qualche cartuccia da sparare. Il germanico con l’elmetto si fa strada tra il trinitrotoluene a stelle e strisce e riesce a disinnescare ogni ordigno. Ferale nel tiebreak del primo, chirurgico nel secondo set. C’è la qualificazione per le semifinali, come secondo, ma conta poco. La storia ha dimostrato che i secondi possono vincere questo torneo, come accaduto in tantissime occasioni in passato, fino ad arrivare al paradosso di Orantes, quello dell’8-10: 8 vittorie per chi aveva vintp nel girone contro le 10 di chi aveva perso nel girone quando in finale c’era stata una sfida già riproposta nel Round Robin.  Siamo alla semifinale e dall’altra parte della rete c’è l’incarnazione della Retorica. Dopo la grande prestazione mostrata a Bercy c’erano una grande pressione e aspettative su Roger Federer, apparso secondo, ma di pochissimo, solo al grande Nole. Ed è qui che Zverev vince il torneo. Sasha mette in mostra tutti i progressi frutto del duro lavoro con Lendl e imbastisce la partita peRFetta. Praticamente perfetto nel primo parziale e letale a piazzare il break a zero che vale il set. Nel secondo set la Retorica alza la voce, ma è solo la voce di un coniglio. Break a 30, contro-break a 15. Il set va via liscio ma arriva il fattaccio. Sul 4-3 Zverev ferma il gioco a causa di una palla sfuggita a un incolpevole ball boy. Federer è oggettivamente danneggiato, stava comandando lo scambio in risposta, ma è solo sfiga. Si sa che nel tennis ogni punto pesa pochissimo nell’economia della partita. Si arriva al tiebreak ed è una volèe sbagliata di uno dei più scarsi voleatori nati come voleatori della storia a condannare il numero 3 del mondo. Basta un minibreak. Zverev vince, pialla e convince. La Retorica diventa abbietta perché il pubblico fischia come se fossi alla Corrida un incolpevole Sasha, carnefice di quello che rimane di un grande tennista che è spinto ad andare avanti da chi vorrebbe vedere in lui una divinità che non gli appartiene, ed una classe e talento che ormai appartengono al passato di questo campione. Il numero 5 del mondo è costretto a scusarsi. Cose mai viste in un campo da tennis, campi da tennis che erano sempre stati teatro degli applausi composti degli appassionati che per una volta si sono trasformati in villani cultori di un paganesimo 2.0. Come tutti i fatti umani, finirà.

L’altro grande protagonista di Londra è Novak Djokovic. Tornato con grande merito numero 1 del mondo si presenta alle Finals con il fardello di essere il super-favorito. Non delude le attese e NOLE tira fuori un torneo come mai visto prima in questo format. Tutti i vincitori del recente passato avevano lasciato qualcosa qui e là, compreso il soggetto di questo paragrafo, sconfitto da Federer nel 2015 nel Round Robin, per poi vincere il titolo. Tra i tanti record che macina la Pialla di Belgrado c’è anche quello dell’altezza media dei tennisti affrontati, abbondantemente sopra i 2 metri. Assurdo come il suo gioco riesca ad annullare quello degli altri. È l’anti-talento per eccellenza che diventa talento. Ne è la dimostrazione la partita contro Isner. Long John non riesce mai ad incidere con il servizio pur essendo uno dei migliori battitori del circuito. Ci sono ben 3 break per lui su 9 tentativi. Americano spazzato via. Della partita con Zverev si è ampiamente parlato, così come pure di quella con Cilic. È una esibizione che vale 200 punti, però…buttali via! Valgono quasi un torneo! Cilic è disintegrato. Nole che fa il serve-bot, anzi il super-serve-bot. 90.3% di punti con la prima, 90.9% con la seconda. Numeri da fantascienza. E dall’altra parte della rete c’è il numero 7 del mondo. Non un Abdulla Haiij qualsiasi. Anche la semifinale è una NON partita. Kevin Anderson, una delle rivelazioni di questo 2018, è spazzato via dal campo ancora una volta disinnescando il servizio. 6-2 6-2. In un’ora e 17. Nole va a giocarsi il titolo con la possibilità di vincere senza perdere set, come successo l’ultima volta a Lendl nel 1986, e senza subre break, mai successo (almeno dal 1991, anno in cui l’ATP ha iniziato a registrare questo tipo di statistiche). C’era una grossa sorpresa, solo che lui non lo sapeva. Nessuno lo sapeva.

La luce fa il suo giro ed illumina l’inevitabile Retorica. Protagonista di un anti-climax pari solo alla serie Dexter, si ritrova a dover vincere a Londra per dare un senso a questo 2018 che dopo la fortunata e vittoriosa campagna australiana ha visto solo bastonate. Cu picca avi caru ten’, si dice alle pendici dell’Etna. Però questo picca poi diventa fastidioso per chi non è seguace di questa NON religione. L’appassionato di sport sa che una vittoria di un ATP 500 vinto contro giocatori fuori dalla Top 10 vale, tautologicamente, un ATP 500 vinto contro giocatori fuori dalla Top 10. Non si può edulcorare e potenziare qualcosa che di per sé vale poco per sopperire a delle mancanze gravi, che ci sono, ma è naturale che ci siano. Provvidenziale era arrivata la piallata di Bercy, anche se non è stata una vera e propria sconfitta netta, ma sempre di sconfitta si è trattata. “Il mio obiettivo è il Master”, dice ai microfoni il dio di una religione che non ha fondato lui. E c’è da scommetterci: Rotterdam, Stoccarda e Basilea sono solo 3 città europee che valgono poco nel tennis. Si parte di domenica ed ecco subito la sorpresa. Nishikori abbandona la katana e impugna la pialla. Una pialla tecnologica e digitale che lima i fronzoli di un tennista che gioca i suoi colpi migliori ogni tanto, tanto per dimostrare qualcosa a qualcuno. La sconfitta è sostanziosa soprattutto nel secondo set e contro un Nishikori arrivato qui un po’ per caso. Solo nel 2007 ha vinto il Masters con una sconfitta, allora fu Mano de Pedra Gonzaléz a batterlo nel Round Robin. Questo significa che c’è ancora speranza. Spetta ad uno spaesato Thiem ridare vigore a Federer che approfitta di un austriaco troppo falloso e che non ha capito che bisogna mettere la palla dentro le righe per vincere il punto. Parole buttate al vento. Certi della qualificazione, la sfida Anderson-Federer vale il primo posto nel girone che significa evitare Nole in semifinale. Qui il numero 2 del seeding tira fuori un’ottima prestazione contro un incolore sudafricano, già contento di andare a giocarsi la semifinale contro il numero 1 del mondo. La semifinale contro Zverev è già stata raccontata. Rogerino esce ridimensionato da questo torneo e da questo 2018, che però lo premia nella perversa corsa agli Slam, con un +1 che pesa come un macigno in chiave storica.

Record

  • Zverev è 7° più giovane vincitore del Masters dopo: McEnroe, Sampras, Agassi, Hewitt, Becker e Djokovic
  • 1° giocatore a vincere il Masters battendo Federer e Djokovic
  • 10° giocatore a vincere il Masters con una sconfitta nel Round Robin con il futuro finalista
  • 1° giocatore a battere tds 1 e 2 in semifinale e finale da Agassi 1990

Conclusione

Si chiude una ondivaga stagione 2018. Da un lato la continuazione del dominio del Fedal, mostrato prima a Melbourne e poi sulla terra battuta dal King of Clay. C’è uno storico 40-15 e un tetto grande quanto una galassia a dividere quello che c’era prima e quello che ci sarà dopo. Al di là di ogni polemica malandrina e sarcastica che si possa fare sul Roof Game, è inutile negare che la semifinale di Wimbledon contro Nadal è stato il turning point della stagione di un Djokovic che fino a giugno non è esistito e che poi ha imposto la sua legge un po’ ovunque. Dispiace che a girarla non sia stato un giovane, perché no, uno Zverev che vince il 5° torneo del circuito e che, a differenza di Dimitrov dell’anno scorso, più One Shot della Macarena, si proietta come sicuro protagonista del tennis che verrà. In fin dei conti però, i 4 Major, quelli che fanno l’astoria (con la “a”) li hanno vinto sempre quei 3 e con maggiore caratura per il 3° incomodo del triangolo diabolico nel tennis del nuovo millennio. Djokovic va a prendersi anche il numero 1 di fine anno, per la 5a volta, come già successo a Connors e Federer. Si guarda bene, partita per partita, anche se i 3 Fab hanno dominato, non esprimono più il gioco di una volta, gioco che li messi alternativamente sul tetto del mondo. Ognuno perde pezzi a destra e a manca e questo permette a qualcuno di inserirsi da dietro.

Sasha chiude al numero 4, poco dietro a quei 3 ed è l’indiziato numero 1 a trasportare questo sport nella dimensione post Fedal, post Djokovic, quella che ha visto esplodere una grande partecipazione di massa che ha portato parecchi introiti alla pallacorda ma, come accaduto in tanti altri sport prima, ha portato anche gli ultras e le diatribe che accendo gli animi, a volte anche troppo. Chissà che Zverev saranno osannato, chissà se avrà il suo culto, e chissà se riuscirà ad attaccare i record che contano. “Se non vincerà niente allora vuol dire che io non capisco niente di tennis”, ha detto poco tempo fa Nadal riferendosi a Zverev. Lui ne sbaglia poche. Così come ne sbaglia poche l’avvocato del Diavolo Ivan Lendl, sempre sulla panchina dei numeri 1. Anche questa volta non sbaglierà. È solo una questione di tempo.

Tristemente il 2018 volge al termine con il funerale di un pezzo fondamentale della storia del tennis. La Coppa Davis dopo 118 anni chiude i battenti per fare posto allo sport delle burocrazie e delle mediocrità che mette davanti il denaro alla tradizione, colpevole malamente di non conoscere l’affascinante storia di questo straordinario sport che ha visto sempre trionfare la tradizione ai soldi. Il funerale sarà celebrato a Lille con la Francia favorita sulla terra indoor di Lille. È un addio che non vogliamo accettare, e già ci sono i presupposti perché sia un arrivederci. Speriamo.

Fine stagione

Così come l’anno scorso invito chiunque ne abbia la voglia a mandare qualche articolo di qualsiasi natura per riempire il vuoto che si creerà dopo la finale della Davis. Per questa settimana siamo a posto ma dalla prossima ci saranno tanti giorni di buco da riempire con qualcosa. Basta poco. Basterebbe che ognuno di voi collezionasse tot commenti per presentare un articolo degno di questo nome. Sono ben accetti anche quelli pieni di statistiche, quelli con i video divertenti, quelli con i video dei colpi migliori, delle Gif, chi più ne ha più ne metta.

Thank you….niente saluti perché ancora c’è la finale di Davis.