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ATP Finals 2019: διδάσκαλος, Tsitsipas vince a 21 anni

Stefanos Tsitsipas è il nuovo Maestro del tennis grazie alla vittoria su Thiem in una bella finale.

La partita

Una finale monomane è senza dubbio affascinante. È la prima dai tempi di Blake (James, per chi non ricorda il nome) e Federer (questo si ricorda più facilmente) del 2006. I 2 giovincelli sono arrivati qui battendo i migliori e non essendo loro i migliori del mondo. I pronostici sono tutti a favore di Dominic Thiem, più esperto, più anziano e vincitore già di qualche torneo importante. L’altro giovine è Stefanos Tsitsipas, il più giovane finalista dai tempi di 7-8 Slam Del Potro nel 2009. Questo vuol dire che, almeno nel torneo dei Maestri, c’è il ricambio generazionale tanto agognato.

Inutile dire che la velocità del campo e dei 2 interpreti allestisce una partita basata sulla potenza che però non disdegna di qualche colpo interlocutore. Si scambia parecchio, e questa non è una novità. I primi game sono di studio e nessuno mette la testa avanti. Le prime occasioni arrivano per Zizzi. È solo una l’occasione, ma viene mancata. Il fraseggio è molto piacevole e se la palla gira sul rovescio è un piacere. D’altronde la monomania esalta soprattutto questo colpo che appare come una sciabolata, a volte tesa a volte morbida, come ci ricorda il nostro amico Sandro. Thiem predilige la tesa, visto che sbraccia sempre come uno Champagne Briquet, l’altro preferisce eseguire la morbida alla Aldo Montano. Ci sono 2 occasioni per breakkare per entrambi nel e nell’8° gioco, ma non si passa. Nel 7° Zizzi riesce a salvarsi grazie ad un colpettino a rete, però poi deve ancora rincorrere perché gli scappa il dritto e c’è una seconda palla break. Ancora bel giuoco a rete e pericolo cancellato. Male Thiem nell’ costretto agli straordinari. Il pericolo passa e si arriva al tiebreak. Apre male Zizzi che perde il primo punto che si rivela già decisivo. Il primo set point è austriaco e viene annullato grazie a uno smash. Errore di rovescio sul secondo set point e parziale che va in Austria.

La sfida sembra ormai decisa, ma Thiem si addormenta all’inizio del secondo parziale. Sembra la classica dormita post-tiebreak, invece è una rottura prolungata. Domenico esce dalla partita improvvisamente, complice anche un indemoniato Stefanos che mette tutta la forza nei suoi colpi. Sembra quasi irreale come il campione di Indian Wells non riesca ad arginare una potenza così straripante. Si arriva presto al 4-0. 4 game in cui Il numero 6 del mondo non ha perso un punto in battuta. C’è una ripresina austro-ungarica, ma ormai i buoi sono scappati. Il parziale è ampiamente deciso e non si sa mai in questi casi se il runner-up lo abbia lasciato o l’abbia perso proprio così come lo si vede. Il rollino dice: 25-12 nel computo dei punti di questo set. No questions about this. Si va al terzo.

È ancora Zizzi a fare la voce grossa costringendo agli straordinari il suo avversario che ha capito poco nell’ultima mezz’ora. Thiem si salva per ben 2 volte, ma la sensazione è che la partita sia ormai in mano elleniche. Ci sono altre 2 palle break per Step nel 3° gioco, la prima passa grazie ad una volée azzeccata, la seconda…no. È break. Ancora copione di marca greca e 3 a 1. Per recuperare un po’ il fiato Stefanos varia un po’ il gioco, ma deve subire il ritorno prepotente di Dominator. Thiem corre come un pazzo e approfitta di errori veniali ma che si riveleranno dirimenti. È un rovescio a tradire Zizzi. Ed è di nuovo equilibrio. La partita diventa sempre più calda e le particelle si urtano sempre con maggiore frequenza. Il pubblico se ne accorge e aggiunge energia termica alla già caotica atmosfera in campo. I londinesi sembrano dalla parte di Tsitsipas che, se ci si droga pesantemente, ricorda le movenze di un Federer alle prime armi. Non c’è la signora del One More, magari non era proprio una sudditta della Regina. È il tiebreak a decidere la sfida. Sale subito Zizzi che allunga sul 4-1 per suo merito più che demerito dell’avversario. Thiem non nulla e si prende 2 minibreak consecutivi. Sarebbe giusto un pareggio, ma la X qui non è contemplata. È un errore di dritto che muore a rete a consegnare il diploma al nuovo Maestro del tennis mondiale. È stata una bella finale. Zizzi non è più una promessa e sigilla un’ottima annata con un trofeo che nessuno gli potrà mai togliere. Le speranze su di lui sono tante, ma non si può accelerare lo scorrere del tempo, al massimo si può rallentare, come ci insegna l’apolide Albert.

Il torneo

Le ATP Finals sono belle perché è possibile seguire tutti i match. Incontri tutti da gustare senza la scusa della contemporaneità. E questo è il bello. Il brutto di questo torneo è il format. Cavallo di battaglia del grande Rino Tommasi, la formula senza eliminazione diretta porta inevitabilmente ad avere un’ultima giornata in cui si tira fuori la calcolatrice. Questo lo sappiamo tutti da anni, però, data la natura intrinsecamente fallace dell’hardware che compone il cervello, fatta da memoria a breve termine e memoria a lungo termine, ci si dimentica quanto già appurato nelle precedenti edizioni. Gli insight da seguire per arrivare subito al sunto sono: eliminazione diretta a 8=> troppi pochi match, eliminazione diretta a 16 => troppi partecipanti, non selettivo, round robin totale a 8 => troppe partite “inutili”. Dati questi 3 elementi si capisce subito che questo è il format migliore, o meno peggio se preferite. In passato hanno tempo di cambiare le regole, non avendo quella velocità di pensiero e simulazione di chi capisce subito che deve esistere una soluzione, una soluzione ottimale ma comunque con degli inevitabili difetti.

Tutta questa intro dovuta anche poco voluta ci permette di accendere i fari e illuminare Stefanos Tsitsipas, il didascalos (quello del titolo, così senza accenti, per chi non avesse fatto il classico o ha il copia/incolla dal meccanico). Si è visto fin dalla partita contro Medvedev che il greco faceva sul serio. Però il pessimo momento del russo, che era ed è stracotto, non dava così credito alla vittoria di Step. È stata la piallata a Zverev a farci capire che anche il figlio di Apostolos avrebbe fatto sul serio. 2 vittorie dopo 2 giornate significano qualificazione. C’è un terzo match da giocare. Quello con un resuscitato Nadal che deve vincere e pregare. Zizzi si dimentica per un attimo che quello è un sotto-prodotto di una formula intrinsecamente fallace e giuoca come se fosse un match serio. Ci sono 203.000 motivazioni per farlo, ci sono 200 voci che ti parlano all’orecchio. Ok, vincerla, però spendere ore per una partita farlocca non servono, in barba ai soldini che per il nuovo Maestro sono anche pochi (ha guadagnato già 7 milioni di euro, che potrebbero risollevare la sepolta economia ellenica). Zizzi perde, ma è sicuro di passare. È la sfida in semifinale con il suo Professore (non maestro) Federer quella veramente interessante. Federer è davanti in classifica, per i pronostici e per il palmarès, però il vento sta cambiando e quelle che una volta Rogerino nostro vinceva a occhi chiusi oggi sono delle sfide apertissime. Ci sono 17 anni di differenza in campo. Quando Roger vinceva questo torneo Zizzi era impelagato nella crescente tensione derivante dalla ricerca delle Sfere del Drago nell’anime Dragon Ball. La differenza di età in questo frangente premia il più giovane, come era logico aspettarsi e il punteggio, molto severo a dire il vero, boccia un Roger inerme di fronte al suo Erede che forse forse ha ceduto lo scettro in quel di Melbourne. Battere 2 volte nello stesso anno il Re sul cemento non è da tutti, però il Re forse ora è troppo vecchio.

Magistrale, non a caso, è stato il torneo di Thiem, che dopo l’uscita dei Big 3 era dato come favorito, a cui è mancata la zampata finale. Dominic ha dimostrato che può battere tutti i mostri sacri se vuole e non è un caso che ha messo in riga prima Federer, anche piuttosto nettamente e poi Djokovic, di poco, ma comunque sottomesso ad un grande tennista cui manca solo un briciolo in più di continuità per andare più in alto in classifica e solo briciolo di fortuna in più per vincere quello Slam che tanti davano per sicuro fino a qualche hanno fa. La partita con Berrettini non fa testo, perché è una NON partita, questa volta seriamente. E non fa neanche testo la semifinale contro Zverev, bravo ad arrivare fino a qui in una stagione che dire tribolata è dir poco, e nonostante questo giocata ad ottimi livelli tanto da chiudere al numero 7 del mondo, traguardo che peserà molto tra qualche anno quando si dovrà valutare la sua legacy.

Il numero 1 del mondo e per questo testa di serie numero 1, per chi si fosse messo in ascolto solo adesso, era ed è Rafael Nadal. Arrivato come capolista per via dei calcoli a passo 52 (settimane) non era assolutamente sicuro di conservare lo scettro. Anzi era quasi sicura la sua ennesima abdicazione a favore di Novak Djokovic, leggermente più avvezzo e performante in questo torneo. Però questo è il 2° atto di un’opera che partiva con una intro un po’ diversa. Il prologo era incentrato sulla condizione del maiorchino che portava all’interrogativo: giuoca o non giuoca? Giuoca. 2° quesito: in che condizioni? Nun se sa. La prima partita contro Zverev è stata un massacro. Un Nadal in evidente affanno ha imbarcato acqua da tutte le parti. Il numero 1 dopo quella partita era bello che andato e le voci su turn-over con il connazionale Agut era più che fondate. Questo Nadal non va da nessuna parte, ma neanche con un Vincent Spadea particolarmente ispirato. Nella seconda partita c’è Daniil Medvedev, non proprio l’ultimo arrivato. Dopo un primo set combattuto la partita sembra risolta a favore del russo che non deve fare altro che premere il bottone ESC, che non vuol dire Esci, ma Escape! (gnurant’!). Nadal si toglie la polvere di dosso e con attrae a sé tutte le forme di energie presenti della O2 Arena, inerti e non inerti. In un infinito canto del cigno spazza via un inerme Medved che viene vaporizzato da una potenza galattica senza precedenti. Nadal ha dimostrato ancora una volta il suo valore in una carriera che per agonismo e cazzimma ha pochi eguali nello sport. Era a casa, Rafa, però ora può sperare. Vincere è un’utopia, ma c’è da portare a casa per la 5a volta il numero 1 del mondo di fine anno. Questo ennesimo record arriva grazie al regalo del suo più acerrimo amico, Roger Federer. È lui a mettere la testa davanti a tutti in questo 2019 che lo ha consacrato nei numeri e nello spirito. È il più anziano a raggiungere questo traguardo. Ha 33 anni. Sono passati 11 anni dalla prima volta che ci è riuscito. Sono numeri spaventosi che non dovevano appartenere ad un giocatore infortunato che gioca a tennis. Anche lui si vedeva a pescare a quest’età, però è sempre la sua voglia pazzesca di lottare che lo ha portato fino a qui. Questa interminabile rincorsa ai numeri, ai tanti traguardi che gli mancano o al ritocco dei suoi già unbreakble record, uno tra tutti, lo spingerà ancora a dimostrare che non esisterà più uno come lui, nel bene e nel male.

I record

 

Conclusione

L’analisi di questo torneo non può prescindere dai Big 3. Uno è stato scandagliato. Mancano gli altri 2. Per una questione di ordine biblico scegliamo Federer come primo giocatore da mettere sotto il microscopio. Ha vinto qui 6 volte (non proprio qui), ed è sempre il favorito il questo tipo di evento a prescindere. La partita contro Berrettini è stata poco più di una esibizione, contro un giocatore che è ben lontano come livello dagli altri 7 del gruppo, pur meritando a pieno la qualificazione. Però quando l’asticella si è alzata Federer ha perso un po’ la bussola e Thiem ne ha approfittato infliggendo gliuna sconfitta che però si rivelerà indolore. È contro Djokovic che però il Re ha tirato fuori il coniglio dal cilindro. Una partita perfetta giocata come solo lui fa fare contro un immobilizzato e troppo poco reattivo Djokovic. Valeva come un quarto di finale, ma il numero 2 del mondo è stato un assente ingiustificato. Si sa che Nole non può essere quello di una volta, quello che qui si mangiava tutti, però almeno avremmo desiderato vederlo un po’ più pimpante, proprio qui a Londra contro quell’avversario a cui ha strappato l’anima il 14 luglio c.a. Rogé l’ha messa da parte quella tragica sconfitta e ha preferito matare il suo matador non lasciandogli neanche il tempo di respirare. Peccato che poi con Thiem non ha espresso il suo tennis, ma il suo Masters rimane comunque positivo essendo il più anziano partecipante, oggi, e più anziano di sempre da 3 edizioni.

L’altro Big 3 non ha superato la sufficienza. Partito da favorito del torneo, doveva quantomeno andarsi a prendere il numero 1 del mondo, legittimato, tra l’altro, da 2 Slammini. Le Finals sarebbero state il giusto sigillo ad una splendida annata ancora passata lì davanti, ma il suo potenziale è rimasto tale e non ha potuto raggiungere il record di Sampras. Della partita contro Berrettini non c’è nulla da dire. È quella contro Thiem che ha risolto un girone rocambolesco che lo ha portato a giocarsi la qualificazione con Federer. Partita splendida che è stata risolta da un monumentale Domenico che ha portato a casa 200 punti che saranno essenziali e ha fatto perdere le speranze al 5 volte campione. Chiude l’anno al numero 2, ma conta poco se hai vinto Australian Open e Wimbledon. Un’annata da 9 comunque.

 Il tennis per il 2019 finisce qui. L’appendice della Pique Cup non aggiungerà nulla ad una stagione che ha detto quello che doveva dire e che offrirà molti spunti di analisi nelle settimane a seguire.

Si invita come sempre a contribuire a riempire questo vuoto di post season con articoli inerenti il tennis. La discussione continuerà certi di un apporto fecondo e preciso da parte di tutta l’utenza. Grazie.