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ATP Indian Wells 2019: Che Domenico bestiale! Thiem vince il suo 1° Masters 1000

Tutto era pronto per il 101, ma Thiem rovina la festa e vincere a sorpresa contro un ottimo Federer

La partita

C’è una strana atmosfera sul Centrale di Indian Wells. La splendida finale femminile aveva un po’ scombussolato i piani degli organizzatori seppur contenti per lo spettacolo offerto dalle donne. Fino all’anno scorso le donzelle giocavano alle 19 italiane e i maschietti non prima delle 21:30. Si shifta di 2 ore e il chakra di tutti va in bambola. La finale tra Thiem e Federer inizia alle 00:10 italiane, un record se si pensa che la finale degli US Open inizia alle 22:00 e il Masters giocato al Madison Square Garden è un ricordo.

Dominic Thiem sembra la vittima designata di un federianesimo sempre più integralista e olezzoso dopo la conquista, a dire il vero inutile, del 100. Traguardo importante solo perché abbiamo 10 dita, sarebbe stato più saggio aspettare un 110, non per una laurea, ma perché certifica il sorpassone ai danni di Connors. L’austriaco dal braccio d’oro ha cambiato allenatore. È Nicolas Massu il nuovo coach dell’austriaco, lo stesso Massu vincitore delle Olimpiadi in singolare e doppio nel 2004 e per certi versi l’ultimo vincitore di un’edizione “scarsa” dei Giochi Olimpici che dal 2008 sarebbero ritornati ai livelli che gli spettano, almeno per quanto riguarda il tennis. Federer è in forma, e mostra la stessa condizione pimpante vista a Dubai. Thiem gioca alla Thiem e tira catenate come se piovessse. Se non ci fossero le righe vincerebbe a mani basse, però le regole sono le regole, che mondo sarebbe senza le regole? La maggiore precisione premia Rogé quando ottiene subito il break, alla quarta occasione, ma è comunque break, il gioco dello svizzero è troppo vario perché Domenico possa stargli dietro. Non ha un piano B e ripropone sempre la stessa musicassetta, come i Cugini di Campagna da 50 anni a questa parte. 2 a 0 troppo veloce. Thiem gioca sempre indietro, però la sua potenza è straripante. Si apre angoli assurdi e il vecchietto non può arrivare a prendere tutte le palle. C’è il contro-break sul 4-2. Però l’austriaco non è incisivo con il servizio, almeno quanto dovrebbe e si breakkare subito un’altra volta. Ci vogliono altre 4 palle break. È break comunque e 5 giochi a 3. Il 5 volte campione qui non si lascia pregare e chiude al servizio. 36 minuti e 1° set svizzero che sembra preludere alla già preannunciata NON-partita.

Nei primi 2 game del secondo parziale domina il servizio. All’improvviso la tds numero 4 ha un momento di blackout e ne approfitta Thiem che lo infila con il suo dritto. Incredibile come nel primo set abbiamo usato a dismisura il rovescio, anche quando non serviva e ora tira fuori il dritto, un po’ come Rocky II quando Balboa usa solo il destro per tirare fuori il sinistro solo nell’ultimo round. Federer è un po’ in affanno e si rifugia in clinch usando il serve & volley, anche sulla seconda. C’è il break per Domenico nel quarto gioco. È un break che fa male. La scarsa conversione delle palle break, 2 su 10, fino a qui pesa tanto e la maggiore precisione nei colpi di Thiem fa spostare l’ago della bilancia dalla parte austriaca. 38 minuti e si pareggia.

L’inerzia della partita sembra girata, però si sa che prima o poi Thiem giocherà un game pessimo. Aspettiamo. Nelle prime battute il servizio domina e lo scambio si fa molto più corto. Dominic ha trovato le misure e anche se la palla gira come una trottola trova il modo di mandarla dall’altra parte. Non mancano i vincenti, suo marchio di fabbrica. Ci sono i lungolinea di rovescio che impreziosiscono una partita entusiasmante. Eccolo il game pacco. È l’8°. La tds numero 7 sbaglia l’impossibile e si ritrova 0-30. Sciagurato Federer che non piazza il colpo ferale di dritto che l’avrebbe portato a 0-40. C’è una palla break sul 30-40, ma non si passa. È il punto della vita. Da questo momento il poi la proverbiale lucidità elvetica si appanna. Ha anche la possibilità di chiudere portandosi a 2 punti dal match, ma sono un paio di scelte sciagurate ad affondarlo. Viene a rete senza criterio e viene passato. Poi si mette in testa di fare 2 palle corte morte che vengono riprese facilmente. Zappatina e 2 punti facili. Palla break subito convertita. È la zampata decisiva. Thiem va a prendersi il primo Masters 1000 della carriera dopo un pessimo inizio di stagione e con pochi riflettori puntati addosso dopo quanto di buono fatto vedere in questi anni.

Il torneo

Difficile parlare del torneo partendo dal vincitore. Thiem era uscito dai radar dal tennis che conta ormai da tanto tempo. Di fatto è dalla semifinale Bercy, quando venne piallato da Khach (in parallelo alla Piallata per eccezione) che non si vedeva così ad alti livelli. Pessimo inizio di stagione e fallimentare Golden Swing in cui è uscito anche al primo turno contro Djere a Rio de Janeiro. Indian Wells non è mai stato il suo torneo, però questo cemento che ogni anno diventa sempre più lento, ormai dovremmo essere alle velocità negative, è un terreno fertile per Domenico che tanto bene ha fatto sulla terra battuta e sfodera una straordinaria potenza che sul cemento è garanzia di risultati.

L’esordio con Thompson è stato molto soft, così come la partita contro Simon, bombardato senza pietà. La partita con Karlovic poteva essere storica, ma non lo è stata. Ivo è diventato il primo 40enne a vincere 3 partite dai tempi di Connors a San Francisco 1993 e poteva essere storia con una quarta vittoria, spostando il record fino ai tempi del grande vecchietto Ken Rosewall. Così non è stato, e ci mancherebbe. È plausibile che il gigante croato possa vincere contro qualche tennista, anche se non così scarso, come lo è Coric, per esempio, però il primo grande avversario di una certa caratura ti butta fuori. Facile 6-4 6-3 e quarti di finale che si preannunciavano scoppiettanti. Monfils ha dato un giro di vite non indifferente alla sua carriera dopo il fidanzamento con la Svitolina e sembra essere più concentrato e più concreto nel suo gioco, sempre potente e penetrante. Ha piallato Philipp Kohlschreiber con tanto di bagel (bagel anche nella partita precedente. Prima volta per lui che mette a segno 2 bagel in 2 partite differenti dello stesso torneo). Però il destino è beffardo e un infortunio lo costringe al ritiro. Peccato. Si arriva così in semifinale dove c’è un ritrovano Raonic. La loro partita è un po’ scialba e segue quell’anti-climax che ha accompagnato la notizia del ritiro di Nadal e del mancato Fedal XXXIX.  “The Show Must Go On” disse Freddy Mercury, sicuro della sua imminente morte. Il copione della sfida Thiem-Raonic è quello che ci si aspetta ed è il servizio a farla da padrone seppur con caratteristiche differenti. È il tiebreak del primo set ad essere dirimente e a indirizzare la partita dalla parte austriaca. Il secondo set si gioca sulla falsa riga del primo. C’è una sola palla break per Dominic, ma è cancellata da un ace al sapore d’acero. Ancora un tiebreak spezza l’equilibrio (non è un caso che si chiami così). Questa volta è il canadese ad approfittare degli errori austriaci, pochi e veniali, ma qui pesano tanto. Si va al terzo e dopo 125 minuti c’è il primo break della partita che decide tutto. Milos non ha la forza di strappare il servizio all’avversario e con un 6-4 finale si regala la finale con Federer.

Il protagonista di questo torneo doveva essere un altro, anche se l’abbiamo dimenticato, spesso e volentieri. È Novak Djokovic l’assente ingiustificato di questa passerella sempre scintillante di grande tennis. Il vincitore degli Australian Open e degli ultimi 3 Slam giocati è sempre stato protagonista qui ai Pozzi Indiani. Ha vinto 5 volte e messo a referto tante partite di antologia. Prima dell’inizio del torneo l’aveva detto, e sembrano sibilline le sue parole quando parla di maggiore impegno negli Slam e un po’ di defezione negli eventi minori. Sembra proprio intenzionato ad andarselo a prendere quel record di Laver e Budge, e forse ha capito la lezione. In questo tennis così dispendioso e faticoso che ti chiede tanto a livello fisico non ha senso giocare a tutta gli eventi a cui si partecipa, anche se questi sono dei signori tornei, come lo è Indian Wells. Nel 1969 Laver disintegrò tanti record vincendo tutto quello che c’era da vincere, ma era un’altra epoca e noi ne parliamo bene perché poi fece il Grande Slam. Chissà cosa sarebbe successo se il roscio austrialiano avesse ciccato anche solo un appuntamento con i Major. Non si sa. Volete una stagione ciccata per un niente? Andare a ripassare il 1956 di Lew Hoad. È il pittore Philipp Kohlschreiber ad estromettere dal torneo uno spento Nole che deve anche subire l’onta del nervosismo dettato dal ritardo e poi rinvio del suo match per pioggia. Non c’è il tetto e questo fa tutta la differenza del mondo, almeno per quanto riguarda la carriera del serbo. Kolhi non aveva mai battuto un numero 1 del mondo, lo fa a 15° tentativo, ormai vecchio (il 4° più vecchio dell’Era Open a battere il primatista della classifica ATP).

Abbiamo atteso anche troppo, ma è arrivato il momento di parlare di Roger Federer. Spinto dall’entusiasmo della vittoria un po’ sistemata del torneo di Dubai, quella del 100, del Triple Digit che non si scorda mai, aveva delle buone sensazioni e anche il sorteggio era stato benevolo con lui. Con pochi avversari significati fino alla semifinale, aveva buone chanche di vincere qui per la sesta volta. A dire il vero dopo l’uscita di Djokovic la coppa era ormai in tasca e non poteva fare certo paura Rafael Nadal, un giocatore cui pesano sempre di più gli anni che si porta sul groppone. Dovrebbe già essere ritirato, anche da diversi anni. Per prendere un po’ le misure: il tanto agognato Sampras si ritirò dopo la finale degli US Open 2002 (anche se ufficialmente solo l’anno dopo) a 31 anni. Facendo un piccolissimo conticino con Excel viene fuori che Nadal ha avuto la stessa età dell’ultima partita di Pete nel giugno 2017. È passato un bel po’ da allora. Il tabellone easy di Federer propone un illeggibile Peter Gojowczyk al primo turno, subito domato in 2 set. “Chi trova un amico trova un tesoro”. Ed ecco lo scudiero Stan Wawrinka al terzo turno. Un Wawrinka un po’ spaesato, alla ricerca di sé stesso e della felicità, ma lontano dai suoi proverbiali peak. Viene sistemano in 59 minuti e 48 secondi, giusto in tempo per aggiornare le vittorie di Federer prima dell’ora. 2 break per set e via a…dormire. Edmund non si sa neanche perché sia qui. Ha fatto bene a partecipare ad un Challenger prima di questo torneo, ma qui siamo su altro pianeta, e il suo Maestro lo sistema per le feste. Ingeneroso è il 6-1 6-4, però quello che conta è andare avanti. Anche Hubert Hurkacz deve fare conti con una buona versione di Federer, che nonostante l’età riesce ancora a remare e a mettere in fila questi sbarbatelli che bussano alla porta del grande tennis. Il polacco è soddisfatto di essere arrivato qui, e la partita con Roger è più un premio alla carriera che una sfida da vincere. Basta poco per porta a casa la semifinale. Hubert ringrazia per la lezione aggratis. Non è un predestinato e neanche un rematore, alla Ferrer per intenderci, forse non sentiremo più parlare di lui. Come già accennato salta il Fedalone che sarebbe stata un’ulteriore ciliegina sulla torta per la più sentita rivalità della storia del tennis inizia ben 15 anni a Miami (anche se i dati ci dicono che non è l’Head-to-Head più longevo, questo record spetta al match-up Federer-Youzhny, 2000-2017, però il Fedal è senz’altro l’H2H più longevo tra gente di un certo calibro, superiore a quello tra McEnroe-Connors, che pure è stato uno dei più caratterizzanti degli anni ’80). È la prima volta che succede, però Nadal ha tutte le ragioni del mondo. Nel match contro Khach era uscito a pezzi, e non si sa come abbia fatto a vincere. Stupido il russo a non chiuderla, ma Rafa ha mostrato una grande duttilità tecnico-tattica adattando il suo gioco alla condizione menomata con cui si è trovato a giocare. L’infortunio non sembra grave, il pullaggio di Miami era nell’aria e lo rivedremo sulla terra battuta, sperando che anche qui ci sia l’occasione per un Fedal che manca ormai da troppo tempo. È dalla finale di Roma 2013 che i 2 non giocano sulla terra battuta. Speriamo.

Record

  • Thiem è il 67° giocatore a vincere un Masters Series / Masters 1000 dal 1990
  • È l’11° giocatore a battere Federer su 3 superfici diverse, il 4° su cemento-terra battuta-erba, dopo Djokovic, Nadal e Tsonga
  • Thiem è il 1° austriaco a vincere un Masters 1000 da Muster a Miami 1997

Conclusione

Il torneo di Indian Wells conferma un trend che ormai è evidente, anche nei numeri e nei grafici. L’articolo apparso qui qualche settimana fa evidenza una particolare tendenza che è quella della maggiore forbice di età tra i vari vincitori o comunque tennisti che raggiungono un certo risultato. Questo si concretizza in un dominio fatto dai soliti che però si apre spesso e volentieri a nuovi innesti come accadeva prima del dominio unico e schiacciante dei Fab 4. Non è un caso che negli ultimi 15 Masters 1000 ci siano stati 7 vincitori nuovi e prima di Roma 2017 in ben 86 Masters 1000 c’era stato lo stesso numero di innesti. Il dominio non più straripante dei vari Federer, Nadal e Djokovic prima o poi doveva arrivare. Si credeva che questi 3 avrebbero comunque condotto le danze in un valzer in cui a turno questi giganti avrebbero condotto la donzella chiamata tennis. La musica finisce e questa volta nel famoso gioco delle sedie a rimanere in piedi sono quei 3 che escono ridimensionati ognuno a modo loro in questo torneo che ormai è diventato così importante. Non fa scalpore la vittoria di Thiem che ha dimostrato tanto in questi anni, con tanti prestigiosissimi piazzamenti, ma mai concretizzati con la zampata odierna che corona una carriera di un tennista che ha sempre avuto i mezzi per poter sfondare, e, come accade sempre, non sono mai stati incanalati nella direzione giusta. In un mondo in cui tutti ti dicono cosa fare, e molto spesso non si ascolta la voce di chi sa ed è l’unico che può indicarti la strada giusta. Massu non è un mago, però dare il consiglio giusto al momento giusto può fare cambiare la vita di ogni persona, molto spesso impregnata di una cocciuta coerenza che per la maggior parte delle volte non ti permette di cambiare le carte in tavole per esprime appieno quello che è il tuo potenziale, potenziale che è lampante, che tutti vedono, ma da potenza non passa mai ad atto, per dirla all’Aristotele. Thiem ha rotto il muro della mediocrità. Ora ha un grande trofeo che pesa, anche in senso letterale, e può lanciarsi in quei traguardi che le leggende gli hanno sempre precluso. Non è un giovane, non è vecchio. E questo può essere un grande vantaggio, perché unire la freschezza della giovinezza con il manubrio dell’esperienza può portare ad avere un bolide che va lontano e veloce. Lo aspettavamo da tanto e ora è arrivato. Ci sarà anche lui a giocarsela in questa stagione unica, con 14 vincitori diversi su 14 tornei (prima volta da quando il circuito è organizzato in questo modo, ossia dal 1990 con la nascita dall’ATP Tour). Djokovic rimane l’uomo da battere ma non da abbattere. C’è da scommetterci che da qui a Parigi tirerà i remi in barca per poi dare tutto quando conterà. Ora c’è subito Miami. Non c’è Nadal. Federer ha confermato. Si gioca all’Hard Rock Stadium, la casa dei Dolphins. Questa volta a darsele di santa ragione non saranno i tigh end o i running back, ma i migliori tennisti del mondo.