ATP Miami 2018: It’s a Long John Road. Isner vince il suo 1° Masters 1000
Finalmente Long John. Dopo 3 finali perse su 3 giocate nei tornei Masters 1000 Isner riesce a vincere battendo Zverev in una finale che lo vedeva sfavorito.
La partita
Si gioca l’ultima finale a Crandon Park che tanto ha fatto la fortuna del Masters di Miami che con gli anni ha perso a poco a poco la sua energia potenziale passando da sicuro 5° Slam a Masters bistrattato a favore del cugino Indian Wells. Siamo a Miami e non ci può non essere caldo. Giornata primaverile al limite dell’estivo. 30° C e cappello d’obbligo. Cappellino orange per ricordare le origini olandesi della Florida. No. Non c’entra niente. Lo sponsor principale Itaù ha voluto omaggiare gli spettatori di questa accessorio.
Inutile scomodare la retorica, però si gioca sul servizio di Isner. Grande analisi tennistica. Chiaramente non si può non considerare la battuta dall’americano come il termometro di questo match. Dall’altra parte c’è un altro che sa servire discretamente sul cemento ed ecco a voi il famoso tennis “bim bum bam”. Pochi scambi e tutti condizionati dalla battuta. Il primo ad avere la possibilità di sfondare è John che ha ben 3 palle break nel 2° gioco. Vengono annullate tutte e questa sarà una costante del match. x/y nella conversione delle PB con y >> x e x piccolo quanto si vuole. Il 3° e 4° gioco non presentano palle break, però dal 5° in poi è la sagra delle ciofeche. Chi è alla battuta dimostra di sapere giocare poco a tennis e abbozza un tentativo maldestro di esibire una tecnica che alla fin fine non appartiene a nessuno dei 2. Quello meno dotato dovrebbe essere Isner, e questo si sapeva, però Zverev non è così brillante quando è richiesto il tocco del pallacordista. Il risultato è una palla break per Alex che non concretizza, 2 palle break per John che non concretizza. Finalmente il lanciapalle di Greensboro setta i parametri giusti e comincia a bombardare. Non si gioca da una parte. Non si gioca nemmeno dall’altra. La castagna tedesca è bella calda e il tiebreak è l’inevitabile epilogo della festa delle bombe e delle castagne. Le Jeu décisif è il trionfo degli errori. Doppi falli da una parte, doppi falli dell’altra. Il pessimo spettacolo sta per sconfinare nell’hard porn, per fortuna che il tiebreak per come è concepito bene finire subito! Ci pensa Sasha a chiudere. Ringrazia dei regali a stelle e strisce e porta a casa il set dopo 58 minuti di gioco. La partita-non partita sembra chiusa, però qualcosa sta per cambiare.
Isner sembra stanco, ha 32 anni (nell’anno dei 33), ed è normale che sia così. Dall’altra parte c’è un ventenne che già ha azzannato 2 trofei importanti e ha giocato ben 4 partite nel serale. Però la velocità del servizio è troppo alta per poter cambiare gli equilibri. Il servizio domina ancora, e non serve avere un fisico bestiale per andare dietro una sassata a 230 km/h. Solo così Long John si salva e sarà anche la sua pietra filosofale. Nel secondo parziale ci sono 8 game che assomigliano molto ad un congresso della Democrazia Cristiana. Poi d’improvviso un lampo, la luce che cambia la storia. 9° gioco soffertissimo di Zverev al servizio che gli costa carissimo. Isner breakka e va a servire per portare la partita al 3°. Tutto facile? No. Dopo 4 turni di passeggiata di salute il kid della Carolina ha qualche problema sul suo B-52 gentilmente sponsorizzato dal Presidente Trump. Sasha ha la possibilità di salvarsi. Non lo fa. È un game fiume, 12 punti, 2 palle break non sfruttare. John chiude. Si va al terzo. Abbiamo una partita. Almeno incerta per l’esito finale.
Isner esce dal campo, cambia la sua Fila da bianca a gialla. Non potrebbe essere legale perché il sole si riflette come sui catarifrangenti, però l’effetto è piccolo e trascurabile. Adesso quello stanco è Sasha che comincia a sudare e non sa più che pesci pigliare. Commette errori banali e lascia all’avversario l’iniziativa che a tratti sembra quasi un tennista. Piovono palle break ma John non passa, è una maledizione, però il canovaccio sembra chiaro: primo o poi l’americano passa. Il passaggio chiave è quello del 4 pari. Zverev parte al servizio con un doppio fallo sacrilego. Servizio andato a paripatetiche e break a 15. È la fine. John si esalta come non aveva mai fatto in vita sua dai tempi della finale NFC del 2015. Servizio di platino. Si chiude con un ace. L’America torna agli americani come profetizzato da un collega di Donald 195 anni or sono.
Il torneo
Il torneo di Miami è stata una sensazione nova che te fa’ sent’ proprio strano. Dopo tanti anni i famosi Fab 4 non hanno vinto nessuna partita in un torneo. Se questo vuol dire cambiamento si può anche accettare, ma siccome sappiamo che il cambiamento è strutturato in un altro modo, non si può dire che c’è stato un cambiamento. Il Masters Della Florida lascia più perplessità che incertezze.
Il protagonista indiscusso e indiscutibile doveva essere Federer e lo è stato. Però questa volta non è andata secondo i piani. Al Palio di Siena si dice sempre che è meglio arrivare ultimi che secondi. Qui non proprio così. Cavalli non ce ne sono e le contrade in giuoco hanno una carriera limitata. A differenza di quelle della città storica toscana. A Indian Wells Rogé era arrivato secondo per un millesimo di incollatura facendosi passare sulla corda del traguardo dal puro sangue argentino Del Potro. Ben 3 match point buttati e un 40-15 che sarà storia. La prima partita del numero 1 del mondo doveva essere una formalità, come lo è stata per lunghi tratti. Il mai esploso talento australiano Thanasi Kokkinakis, nome tipico del Queensland del Sud ha tirato fuori il coniglio dal cilindro, o meglio, ha ammazzato un coniglio agonizzante che si trascinava da un po’ di tempo solo grazie alla tecnica. L’elemento fisico è essenziale nel tennis moderno, e se contro un Borna d’annata hai vinto non si sa come, poi con Del Potro hai buttato la partita, prima o poi paghi. Roger dopo aver vinto il primo set perde la luce e i cavalli vapore. Thanasi ne approfitta e vince. Poi c’è un ritorno rabbioso del vecchio leone ferito, ma serve a poco. Basta prendere la palla e buttarla di là. Dopo appena 2 giornate si concretizza la più grande sorpresa dell’anno e Rafael Nadal, solerte nell’allenarsi sul suo humus naturale, ringrazia, si va a prendere di nuovo il numero 1 e lo sarà per almeno per altre 3 settimane. Anzi lo sarà solo per altre 3 settimane.
I pozzi indiani ci avevano dato un protagonista sicuro su cui puntare gli occhi. In un’era di non campioni, o campioni a mezzo servizio, un vincitore Slam così in forma è una manna dal cielo. Juanito dopo l’uscita della tds 1 è il favorito d’obbligo, però non è che lui se la passi così bene. La prima partita contro Haase è un inferno e sta quasi per lasciarci le penne. Molto più soft gli impegni contro un senza dimensione Nishikori e contro un nome che non dirà mai niente di importante, che però si sta ritagliando quegli spazi lasciati dai campioni convalescenti o semplicemente defunti. Stiamo parlando di Filip Krajinovic. Il gigante di Tandil si è tirato fuori dagli impicci contro un molto più concreto e in forma Milos Raonic che ad Indian Wells le aveva prese di santa ragione. Il risultato della semifinale contro John Isner sembrava scontato, però anche Del Potro ha pagato il tour de force di inizio stagione che l’ha visto trionfare ad Acapulco e Indian Wells. Nel primo set scende in campo un giocatore che non ha capito dove si trova e la benza è finita. Johnny ne approfitta. C’è un tentativo minimo di risveglio nel secondo, però il tiebreak certifica che ad oggi è molto difficile vincere tanti tornei consecutivi. Ci sono riusciti quei 3 campioni là. Ma quelli erano fatti di un’altra pasta. A Juan Martin non va che un applauso. La terra non è il suo ambiente. Salterà tanto della stagione rossa. Però lo vedremo sicuro protagonista a Parigi dove è dal 2009 che non esprime il suo vero potenziale. 2009, annata in cui stata per mettere a segno il colpaccio.
Difficile parlare del vincitore. Sempre rilegato in campi secondari e poco attenzionato dalle telecamere. Nessuno si aspettava un suo exploit. I pronostici lo dava spesso e volentieri sfavorito, però molti, se non tutt,i hanno sottovalutato che siamo sul cemento. Il servizio perfetto seguito da un gioco per lo meno accettabile a volte paga. A parte il secondo set contro Jiri Vesely, non ha mai sofferto e subito l’avversario. Ha vinto tutti i tiebreak che ha disputato e ben 53 turni di servizio consecutivi. La vera dimostrazione di forza è arrivata contro Chung. Il nerd del tennis era favorito, però è dovuto soccombere sotto le bombe trumpiane di Long John. Una partita senza storia che ridimensiona un po’ le aspettative su Hyeon che però ora sarà chiamato a fare bene sulla terra battuta, superficie sulla quale se la cava benino.
Un paragrafetto a parte merito il povero NOLE. Una volta dispiaceva per Andy (continua a dispiacere, ci mancherebbe), ora dispiace per Novak. Il campione serbo che doveva disintegrare tutto e che era riuscito a spezzare l’incantesimo del Fedal si è ritrovato senza arte né parte. Non doveva partecipare al Sunshine Double, però ha deciso lo stesso di farne parte. La sconfitta con Taro Daniel era stato un campanello d’allarme, quella contro Paire è stata la sirena dei pompieri, quella di fuori in 60 secondi. Vero è che Djokovic non è in forma ma contro Paire un Novak anche a mezzo servizio una volta vinceva anche con una gamba sola. Per quanto il livello di un infortunato possa scendere, non è giustificabile questo atteggiamento passivo e rassegnato del leone pazzo che nel 2015 ha messo a segno migliore stagione dai tempi di Laver del 1969. Se da un lato però l’infortunio giustifica questa debacle, dall’altra c’è l’evidenza dei fatti che lo boccia. Il Djokovic sceso in campo contro Benoit è stato un giocatore senza infortuni. Il gomito, dichiaratasi parte lesa, ha funzionato a dovere, è tutto il resto che non c’era. Ed è forse questo l’aspetto più preoccupante. Se è un muscolo, un osso a darti problemi, riparandolo puoi tornare te stesso, ma se tutto il fisico funziona alla perfezione ma non risponde più come un tempo, allora la soluzione è lontana e a volte può essere anche impossibile. Il lato psicologico in questo caso gioca un ruolo essenziale. Però è difficilissimo inquadrarlo. Ed è altrettanto difficile mettere una toppa a questo tipo di problemi. La psiche è molto più complessa da curare del fisico. L’allontanamento di Agassi non è una sorpresa, se mai lo è stato il suo ingaggio. Monte Carlo sarà un torneo che ci dirà molto su Nole, ma chissà che Nole troveremo. Si spera competitivo, però sembra palese che il mangiatore di uomini sia andato in pensione e il dominatore profetizzato dai blog è definitivamente sparito. Lo erano anche Nadal e Federer nel 2016, però, e al destino, si sa, non manca in senso dell’umorismo.
Record
- Isner è il 65° giocatore a vincere un Masters 1000 / Masters Series
- Isner a 32.90 anni è il più vecchio a vincere il suo primo Masters 1000
- Dopo 69 Masters 1000 vinti da un giocatore europeo gli ultimi 3 sono stati vinti da giocatori non europei
- Per la 1a volta dal 2003 2 tennisti non europei vincono Miami e Indian Wells
- Gli ultimi 3 Masters 1000 sono stati vinti da 3 tennisti che non l’avevano mai vinto. Non accadeva dal 2003 con Coria vincitore ad Amburgo, Mantilla a Roma e Roddick a Montreal
Conclusione
Miami segna la cassa integrazione della retorica. La prima parte di stagione che si configurava come un Commowealth scivola lentamente verso un Anarchy che però non ancora così conclamata (lungi dell’essere Hippie). Purtroppo, dispiace dirlo, la vittoria di Isner non segna nessun punto di svolta in prospettiva. È una vittoria alla carriera, un Oscar postumo ad un attore che prima di tutti ha aperto la porta al giocatore gigante buono con il servizio bomba che poteva fare bene sulle superfici veloci. Nel 2010 si parlava un gran bene di Long John e la domanda degli analisti era: un tennista così alto può vincere, visti i limiti inevitabili che derivano da questa costituzione fisica, può vincere? La risposta è più “no” che “sì”. Isner ha vinto solo torneini e a quasi 33 anni nessuno può chiedergli di più. Forse sarà l’altro finalista a vincere molto, però non è un nanetto qualsiasi, è altro 1.98 m. Ha già vinto 2 Masters 1000 e fatto finale qui. Questo sì che dovrà essere un protagonista del tennis che dovrà venire, a partire proprio dalla stagione sulla terra battuta che comincerà a breve. John non fa altro che inserirsi nel torneo che segna un punto di non ritorno del dominio targato Fab 4 i cui membri sono messi uno peggio dell’altro. Il front-man, Roger Federer, dopo la batosta australopigreca ha deciso di saltare, come l’anno scorso, tutta la stagione sul rosso. Nadal non se la passa meglio, e dopo un inizio non proprio brillante di stagione non si sa in che condizioni sia. La convocazione in Davis, dove giocherà per la sua Spagna e per le Olimpiadi di Tokyo sull’amata terra battuta è un buon segnale, ma chissà come reagirà a questa ennesima prova di forza contro sé stesso e contro il suo fisico. Djokovic ormai non esiste più. Andato forse definitivamente, cercherà una nuova dimensione a casa sua, la tanto amata patria Monte Carlo. Murray sta quieto a casa, non brucia le tappe, e pare che possa rientrare a ‘s-Hertogenbosch, in una superficie che tante soddisfazioni gli ha dato. Il 5° Beatle a questo giro spetta interpretarlo a Del Potro che si presenta sul rosso con molte certezze, però non sarà un protagonista, almeno nella prima parte, perché deve rifiatare. In un circuito che si mescola, con tante nuove variabili da considerare, non è difficile prevedere che anche il rosso sarà foriero di novità con il suo Re che magari per un’annata possa riposarsi, così come ha fatto nel 2015 dove era calato terribilmente sotto i suoi standard. La terra battuta è superficie per specialisti ed è complesso estrapolare dal mazzo del circuito ATP qualche giocatore che possa fare bene se non quelli che hanno già fatto bene sul cemento, ovviamente quelli che vi partecipano. Questa settimana ci sarà il week-end dedicato alla Davis, forse l’ultima edizione vera della Coppa per Nazioni più antica che ancora oggi si disputa. Poi passaggio soft sul clay con 2 ATP 250 prima del Gran Galà monegasco.