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ATP Parigi-Bercy 2017: Un americano a Parigi. Sock vince il 1° Masters 1000 della carriera

L’americano Jack Sock si aggiudica uno dei più anomini Masters 1000 di sempre, e lo fa spezzando il sogno di Krajinovic alla sua prima finale ATP.

La partita

Guy Forget non ne può più. Dopo essere stato l’involontario bersaglio degli improperi di tutti gli appassionati di tennis al Roland Garros 2016, quello della grande pioggia, del ritiro di Nadal, quell’asterisco, deve presenziare ad una finale senza big e neanche nuovi grandi talenti pieni di prospettive. Da un lato c’è il serbo Filip che è sempre e comunque un giocatore da Challenger, un medio-man che ha avuto solo la fortuna di approfittare di un tabellone molto easy. Facile tirare fuori la storia del giocatore sfortunato, pieno di infortuni che arriva a coronare il sogno della sua vita. Ma il serbo rimane sempre e comunque un mediocre. Ha 25 anni e nessuno è pronto a puntare qualche dollaro su un suo futuro radiante. Poteva essere il nuovo Stefanki, vincitore del torneo di La Quinta nel 1985 come riportato in questo articolo, ma dall’altra parte c’era Jack Sock, un po’ meno medio di lui, grande doppista, ma mai sugli scudi come qualcuno aveva previsto, che però oggi ha avuto il suo quart’ora di gloria.

Nonostante non ci siano big in campo l’atmosfera prima dell’inizio dell’incontro è da brividi. Luci stroboscopiche illuminano l’Arena, ricordando che qui una volta si giocava un torneo serio, uno dei migliori, se non il migliore al di fuori degli Slam. Se proprio vogliamo trovare un copione al match che sta andando in scena possiamo tirare fuori un po’ di stereotipi e dire che sono contrapposti il solito yankee dal servizio e dritto contro un serbo dal bel rovescio. Sono solo boutade per abbellire un incontro che di per sé non ha nulla di bello, se non che si gioca su un palcoscenico storico.

L’incontro procede tranquillo nei primi game. Nonostante si vada ai vantaggi nei primi 2 non ci sono palle break. O meglio nei primi 2 di Jack Sock. Quello che soffre di più è l’underdog cui il pubblico parigino sembra dare il maggiore sostegno. Il Calzino non lascia nulla al caso quando è lui a servire e colleziona 2 giochi en blanco. Filip si salva. Però si sa che il tennis è il giuoco del diavolo: anche se non lasci nessun punto all’avversario in x giochi, se in quello x+1 subisci non conta nulla quello che è successo prima. Questo pseudo-teorema trova verifica nel 6° giuoco. Jackie soffre tantissimo ed è costretto a fronteggiare 2 palle break. Prima annullata con coraggio garibaldino dove si vede un bel serve&volley, ma nella seconda commette un errore imperdonabile, anche IL errore imperdonabile. Doppio fallo e break serbo. L’underdog non è più under ma è over, anzi up. Il vantaggio dura pochissimo. Braccino Filip e favore restituito. Altro IL e l’unforced di dritto. E’ tutto da rifare. Gli scossoni cominciano a diminuire fino a diventare quasi nulli. Il tiebreak sembra la soluzione più ovvia di un set con un equilibrio molto stabile, ma nel 12° gioco c’è l’imprevisto. Sock non è preciso. Svarioni in tanti punti, unforced e palla break-set point che si chiude con un dritto che cavalca il nastro ma rimane dalla parte americana. 7-5 in 47 minuti e la favola sta per diventare realtà. Popovic, non è Greg (San Antonio Spurs) ma Petar spera, ma invano.

Il sogno serbo si spezza già nel primo game del secondo parziale. Game a vanvera e grande castagna di Jack consegnano il break in apertura allo statunitense che gira la partita. L’inerzia del match cambia totalmente e il rovescio di Filip non funziona, o meglio non è efficace come ci si aspetterebbe. La nave sta per affondare quando Krajinovic subisce un altro break che lo porta sotto 4-1. Oggi però Sock è in vena di regali e decide che almeno un break lo deve lasciare. E’ solo uno, l’altro lo conserva con cura fino alla fine del set che procede spedito. Altri 39 minuti. Parità nei parziali, ma partita che pende tutta dalla parte del giocatore nel Nebraska.

Filip soffre terribilmente sul suo servizio. Nel primo gioco del 3° si va a vantaggi, ma mai a palla break. Dal canto suo Jack non ha intenzione di lasciare nulla al caso. Sa di essere il più forte e lo dimostra nei suoi turni di servizio quasi immacolati. Il colpo ferale sferrato dal cowboy arriva nel terzo game. Splendido passante down the line misto a cambio di mano. Coefficiente di difficoltà: 3.8. Media voti: 8.97. Arriva il break decisivo e i titoli di coda. Filip lotta strenuamente anche nel 5° gioco. Non vuole lasciare il palcoscenico e annulla ben 2 palle break. La benzina è finita. Siamo di domenica, i distributori sono chiusi e il self-service non funziona. Break Sock, 5-1 facile e altro break in chiusura. 6-1. Sock festeggia il titolo più importante della sua carriera. Lo fa a mo’ di Slam accasciandosi a terra. Sa che forse non avrà altre occasioni come questa. Ce l’ha fatta. L’albero di ferro battuto è suo. La top 10 pure e in omaggio, per essere rientrato nelle prime 100 telefonate, c’è un biglietto per Londra, destinazione: Nitto ATP Finals.

Il torneo

Complesso giudicare un torneo come quello di Bercy 2017. Quando il gatto non c’è i topi ballano. Di solito però i gatti sono tanti e se non c’è quello più grosso i più piccoli sono sempre pronti a rimpiazzarlo, ma qui sono andati tutti allo sbando. L‘assenza voluta di Federer per preparare le Finals si fa sentire. In realtà era nell’aria, però un pensierino a questo Mastersino 1000 bisogna sempre farlo, se non altro perché risulta secondo gli atti notarili un torneo “obbligatorio” o se preferite mandatory. Non c’è Rogé, ma c’è Raffaé, che ha saltato Basilea per essere pronto a prendersi Parigi, non quella rossa, quella è già sua, c’è anche una statua che ricorda che lì ha vinto 10 volte, ma quella di plastica, sintetica, verde, grigia, blu, non si di che colore è, sempre illuminata dalle luci artificiali che ci ricorda che il tennis è anche indoor. Non ha mai vinto a Bercy e questa potrebbe essere l’occasione d’oro. E’ il favorito dai bookies, è il favorito dalle proiezioni astrali di qualsiasi algoritmo conosciuto, però c’è un importantissimo traguardo intermedio da raggiungere. Abaco alla mano viene fuori che se Nadal vince una partita è matematicamente il numero 1 di fine anno per il 2017. Un traguardo da non trascurare. Però se sei in un torneo importante vuoi vincere, non stai lì a fare conti. O ci sei e vai fino in fondo, o rimani a casa. Tertium non datur. La vittima designata è Hyeon Chung che ha fatto penare il numero 1 del mondo a Barcellona salvo poi cedere alla distanza. Anche qui si ripete lo stesso copione solo che l’incantesimo si spezza prima della città catalana. Rafa sistema Hyeon. E’ numero 1 del 2017. L’ATP lo festeggia sui social, tutti lo festeggiano sui social. E’ la quarta volta che ci riesce, così come ha fatto Djokovic, e lo fa ancora una volta partendo da dietro. Mai è riuscito a cominciare e chiudere l’anno in testa. Però c’è un torneo da vincere. L’avversario successivo è Pablo Cuevas, che ha disputato una pessima stagione rispetto al 2016. E’ un terraiolo e a Bercy non c’è clay. Nadal soffre più del previsto. l’uruguaiano mette in seria difficoltà lo spagnolo. O forse c’è qualcosa che non va? Sì, purtroppo sì. Il maledetto ginocchio che perseguita Nadal da sempre presenta il conto di una stagione giocata al limite del possibile per un tennista di 31 anni e per il gioco che ha il mancino di Manacor. Saltare Basilea gli aveva permesso di recuperare un po’ dall’infiammazione al tendine, però non è bastato. Così come in un pomeriggio di primavera del 2016 nella stessa città, è un freddo microfono ad annunciare che non continuerà. Quella del Roland Garros 2016 fu una batosta pazzesca. Qui è lo è di meno. Però che sfiga! Quest’anno sembrava l’anno in cui l’indoor gli doveva essere amico, ma ancora una volta è successo qualcosa di grave. L’indoor e Nadal sono come diavolo e l’acqua santa, se non fosse per quel tetto messo a caso a San Paolo nel 2013 lo spagnolo avrebbe uno 0 nella casella dei tornei giocati al coperto.

Tolto di mezzo il numero 1 del mondo Bercy diventa un torneo tautologico. Si spera che possa essere l’occasione buona per i giovani della Next Gen di piazzare il colpo, ma forse i migliori di questa categoria stanno pensando a Milano (sì, ma chi ci crede?). Il più promettente della cucciolata, Alex Zverev perde contro l’arciere Haase. I non più Next Gen, ma sempre pronti alla zampata cadono ad uno ad uno: fuori Thiem contro Verdasco, Dimitrov contro Isner e Goffin contro Benneteau. Vabbè, abbiamo capito, è il torneo favola. Chi vuole entrare nella storia? Il più promettente a scrivere una storia da Hollywood è Julien Benneteau, 10 volte finalista e mai vincitore di un torneo ATP. Ha deciso che questo potrebbe essere l’ultima anno di carriera, è qui grazie ad una wildcard e ha 35 anni suonati. E’ lui! Giuliano ci crede e a poco a poco ci credono tanti altri insieme a lui. I francesi, stranamente patriottici, si schierano tutti a favore del beniamino di casa. Noi sappiamo come andrà a finire la storia, ma il tempo va in una direzione e bisogna andare a ritrovo per misurare le emozioni. La prima partita di Julien è contro Shapovalov. Si è detto tanto del teenager canadese ed è inutile ribadire. Qui può dire la sua, ma viene schiantato dal veterano di casa per 6-4 6-4. La stagione di Shapovalov si chiude qui. Avrà modo di rifarsi, ce lo auguriamo tutti, ne abbiamo bisogno. Tsonga è di un altro pianeta rispetto a Benneteau, non c’è bisogno di scomodare il palmarés. Jo ha vinto 4 tornei quest’anno, mica pizza e fichi, eppure è da qui che la magia inizia a prendere vita. Dopo un primo set buttato, lacrime e sangue per il numero 83 del mondo e splendida vittoria. La partita contro Goffin sembra il classico semi-bye o scommessa sicura che serve a far aumentare la vincita di una schedina. Ma David in questa seconda parte di stagione ha boccheggiato come un pesce rosso dentro il sifone del water e qui dimostra di non essere al suo peak e perde malamente. Ok, applausi, però Cilic è la tds 3, è un cementifero (o come si scrive) non ci sarà gara e…invece no. Splendido Julien ad incartare il croato come un regalato di Natale. E’ un grande traguardo. Tutti ci credono, bisogna crederci. Se hai battuto Cilic puoi anche battere Sock, sì, però sockazzi. Jack è molto più concreto del croato. Non lascia nulla al caso e il topspin esasperato non permette al suo avversario di irretirlo. C’è lotta nel primo parziale, non c’è lotta nel secondo. Il sogno finisce qua. Il figlio di Julien corre ad abbracciare il padre. E’ l’immagine più bella di questa torneo. Peccato che le immagini non fanno storia, ma sono i risultati a farlo. Sarà per la prossima volta, tanto…non mancherà occasione.

Arrivati a questo punto non si può non parlare del vincitore. Però non è così semplice. E’ un vincitore che ha veleggiato nell’interstizio di un’onda portante che si è mantenuta costante per tutto il tempo e che ha trovato modo di espandersi per una settimana solo grazie a tante vicissitudini favorevoli. Come tds 16 Sock ha avuto il bye al primo turno che non fa mai male. Ha faticato non poco contro Kyle Edmund che è difficile classificare. Difficoltà che diventa impossibile di fronte a Lucas Pouille. Chi è? No, la domanda non è “chi è”? La domanda è “Perché”? Perché Pouille appare come tds? Perché Federer si è ritirato a tabellone compilato e prima di giocare. Bene, ma merita la testa di serie? No. Fine del discorso. Inutile stare a parlare della partita. E’ utile invece parlare della sfida contro Nando. Anche lui poteva scrivere una grande favola e per un set c’era pure riuscito. Però se l’avversario davanti a te è più forte c’è poco da fare. Peccato. Della sfida Bennettau-Sock abbiamo parlato. Che dire? Sock è diventato a sua insaputa un happy endings breaker.

Dopo il vincitore i riflettori si spostano sul finalista. Nome: Filip, cognome: Krajinović, città: Sombor, nazione: Serbia. Anche Filip vuole entrare a Hollywood e per un momento, e solo per un passo, non c’è riuscito. Abituato a frequentare Challenger, se non Futures si è ritrovato a vivere la settimana quasi perfetta. E’ partito dalle qualificazioni. 2 turni dove ha battuto prima Pella e poi il connazionale Djere. Già nel primo turno del tabellone principale lo davano per perdente contro Sugita, e il TML Challenge lo dimostra. SQN1 doveva essere il suo capolinea. Però Qwerty ha dato inizio alla crisi dell’altro serbo, quello più famoso e ricco, residente a Monte Carlo, e non vuole essere il giocatore che mette l’ultimo chiodo sulla sua bara, certificando l’uscita del marito di Jelena dalla top 10. Uscirà lo stesso ma l’americano questa volta non ha in mano la pistola fumante. Con Mahut c’è molta incertezza. Il francese gioca in casa. Ma come giudicarlo? Certamente è favorito, ma una sua eventuale sconfitta non sarebbe così scandalosa. Vince Filip. Prossima fermata: Manacor. Ehhhhh. Però Nadal non c’è alla stazione, è andato all’ospedale. Questa non è classe, comincia sempre per “c”, ma non lo è. Filip dispiaciuto, rifiuta e va avanti. Perché non prendere i regali che ci dà la provvidenza? Ok, però il bomber Long John non lo lascerà passare. Ed è qui che si concretizza il vero capolavoro del serbo minore. Nonostante percentuali bulgare al servizio per Isner, Krajinović riesce ad avere la meglio. In realtà nel primo set l’americano non era stato così letale al servizio e aveva lasciato andare il parziale. Lo è stato nel terzo, ed è stata la lotteria del rigori del tiebreak a determinare il vincitore. Grande Filip. Sei arrivato ad un passo dalla gloria, però ora torna nella tana.

Scorrendo il tabellone vediamo chi è stato promosso e chi bocciato. Promosso con lode Krajinović, che più di così non poteva proprio fare. Promossi con riserva Cuevas e Mahut. Bocciati i vari Chung, Ramos, Querrey e Carreno Busta, quest’ultimo ancora in gioco per le Finals. Nadal senza voto. Meglio non andare oltre. Promosso Del Potro che però non porta a casa il titolo da 2° favorito dopo l’uscita di Nadal. Non passano l’esame Dimitrov e Haase, quest’ultimo semi-giustificato. Bocciatissimo Alex Zverev che passa per Milano destinazione Londra. Inutile stare a parlare di Lorenzi, Schwartzman e compagnia bella. Promosso con riserva Cilic, anche lui reo di non aver approfittato di un tabellone autostradale. Un 1000 l’ha già vinto, uno Slam pure. Sta bene dove sta. Bocciato Goffin. Ci si aspettava di più da lui. Lo seguono Tsonga, Ferrer (finito), Shapovalov (mai cominciato, o forse sì), Simon e Coric.  Benissimo Verdasco che però non concretizza. Bocciato Thiem, a casa a studiare! Rimandato Pouille, o forse meglio bocciato. Il bye al primo turno forse gli ha fatto più male che bene. Non passano la soglia della sufficienza: Harrison, Rublev e Donskoy.

Record

  • Sock interrompe una striscia di 69 Masters 1000 vinti di fila da tennisti europei. L’ultimo non europeo a vincere un Masters 1000 era stato Roddick a Miami 2010
  • Sock è il 1° americano a vincere un 1000 da Miami 2010 (Roddick)
  • 1° americano a vincere un Masters 1000 fuori dagli USA da Montreal 2003
  • 1° americano al Masters dal 2011
  • 7° giocatore americano a vincere a Bercy
  • 3° giocatore con ranking più alto a vincere a Bercy (Berdych 2005 #50, Henman 2003 #31)
  • Sock è il 63° giocatore a vincere un Masters (1000)

Conclusione

Quello che si è appena concluso è un Masters 1000. Di solito un torneo di questa categoria ci dà indicazioni sul futuro e/o su quello che è stato, purtroppo non è il caso di Bercy 2017. Ci perdonerà Sock, ma la sua vittoria non fa né caldo né freddo, perché Jack non dà nessuna garanzia sul futuro e a 25 non ci si aspetta che possa migliorare. Magari un altro giocatore lo potrebbe fare, ma non lui. Nessuno si aspetta chissà cosa da lui. A meno che non si consideri già questo torneo parte della storia, non ci saranno altri capitoli della Grande Storia da riempire con il nome dell’americano. Forse ci smentirà, perché si sa che la storia è sempre piena di sorpresa e non manca del senso dell’umorismo, però lo scetticismo rimane. I grandi erano tutti a casa, il più grande si è rotto. Però sono sempre loro che in un modo o in altro determinano le linee della storia. Tutti gli occhi sono puntati sul Masters di fine anno. Torneo dove parte stra-favorito Federer e se non ci sarà Nadal inutile disputarlo. Tutti i migliori (si fa per dire) sono alla canna del gas. Londra diventa sempre di più il lazzaretto dei primi 8 del mondo, tranne per uno che sa centellinare le forze per dare il meglio là dove si sente sicuro di vincere. Sarebbe ingiusto però non fare un applauso ai vari Bennetteau e Krajinović che ci ricordano che il tennis non è fatto di soli grandi nomi. Ci si aspetta da tanti anni che possa arrivare un’anarchia, preludio di un grande ricambio generazionale, ma non c’è. Ci sono solo dei botti isolati, quest’anno sono stati 3, una grande novità rispetto agli anni passati, ma le fette più consistenti della torta le hanno prese quei 2. Il prossimo anno andrà diversamente. Sarà anarchia? No. La maggior parte dei titoli pesanti andranno ai grandi, lasciando qualche briciola, e si spera che questa briciola sia uno Slam. Si spera anche che siano i campioni del futuro a vincere, non qualche mediocre che prova il tabellone giusto, un giocatore promettente, un Next Gen che depone il re, e che sarà lui tra qualche anno a prendere scettro e trono del re decapitato. Belle le storie, le favole, ma la Storia con la “S” maiuscola è un’altra cosa.

In questa settimana gli occhi del mondo saranno puntati su Milano, per vedere che cosa c’è di buono nella città meneghina, se il futuro del tennis è nell’app di qualche smartphone, nella tecnologia, nella velocità, nel minkiaset, oppure sarà sempre la sacrosanta tradizione ad avere la meglio. Ci sarà un ultimo grande botto. Londra. Il Masterino non vuole più essere tale e si spera che ridiventi almeno Masters se non Masterone. Chi sarà il Maestro? Rotta: 51°30’26”N 0°07’39”W.