ATPUltimi articoli

ATP Roma 2019: Nono pietà, Nadal si conferma campione al Foro Italico

Ancora è finito. Ancora non ha finito. Nadal torna a vincere a Roma e si prenota per il Roland Garros.

La partita

Si arriva alla domenica della finale con l’incognita della pioggia e con la quasi certezza che non si gioca. Però Binaghi fa l’ennesimo miracolo e fa girare il vento che allontana le nuvole e fa splendere il sole sulla città più bella del mondo. Sul Centrale del Foro Italico si gioca la più attesa delle sfide in questo torneo che ancora una volta fa registrare il record di incassi. Un classico numero 1 contro numero 2 globale che trova un corrispettivo nella classifica locale della terra battuta. È la sfida numero 54 tra i 2, la più frequente dell’Era Open (almeno in soli match ATP). Djokovic viene dalla splendida coppa conquistata a Madrid, mentre Nadal è uscito con le ossa rotta nella capitale spagnola per colpa di un sempre più veterano del giuoco Stefanos Tsitsipas. Ci sono seri dubbi sulla condizione di un Nadal sempre concentrato sul suo gioco, ma non più incisivo come una volta e con un Djokovic in continua ascesa con un occhio o forse più a Parigi. Però durante il torneo il numero 1 ha dovuto faticare parecchio per presentarsi all’atto conclusivo, mentre Rafa ha perso in tutti 13 game con annessi 3 bagel (record personale di Monte Carlo 2010 eguagliato). Dovendo scegliere tra i 2 senza considerare il percorso Nole sarebbe davanti, ma il fatigue index pesa tanto e corregge i pronostici e soprattutto le quote che stranamente danno un 1.40 per Rafa e 2.50 Djokovic.

Quella fatigue che sembra un numerino lanciato là, ma si concretizza fin da subito. Nole sembra essere sotto un treno fin da subito, mentre Nadal è concentrato come Paolo Coniglio al Rischiatutto. Rafa non lascia niente per strada e macina la terra battuta come solo lui sa fare. Dall’altra parte della rete Djokovic commette troppi errori per poter pensare di giocarsela con il King of Clay. Subito 2 rovesci sbagliati danno il break in apertura al numero 2 del mondo, che ringrazia. Quando è lui a servire aumenta ancora la concentrazione, qualora ce ne fosse bisogno. Game tenuto a zero e 2-0 facile. Nel 3° game Djokovic annaspa terribilmente. Sembra la versione fri fri e gaia del pre-2011, quella delle imitazioni da Fiorello, presente nelle tribune, che usava a iosa il dropshot e non vinceva mai. Rafa azzanna anche 3° e 4° game e si porta sul 4-0. L’unico game combattuto è il , ma è quello che sigilla il grande incubo serbo. C’è una sola occasione per chiudere, a fronte di 5 palle break. Nadal è assatanato e ricorda con disprezzo e nausea le tante ferite procurate dal serbo, ancora non rimarginate e più dolorose dell’altro grande rivale, lo svizzero poliglotta. Il 3° break arriva con rabbia e suggella il bagel che mai c’era stato nelle precedenti 53 edizioni della sfida più pallettara dell’era Open. Sono passati 40 minuti e ora Djokovic è seriamente sotto un treno.

Il bagel quando arriva in una sfida tra pari livello è molto spesso cattivo consigliere perché molto spesso è frutto di una scelta tattica di chi sta sotto e sa che ormai il parziale è andato. Nole lo sa e lascia fare. Ed ecco il primo game serbo che arriva grazie a 3 ace. 1 a 0 che viene accolto con un boato. Il pubblico romano ha una grande ammirazione per il serbo che non ha mai lesinato i complimenti per il Belpaese e per questo vengono ricambiati volentieri. La partita si fa molto più combattuta e finalmente l’equilibrio porta lo spettacolo. C’è addirittura la prima palla break per Nole nel 3° gioco, ma viene prontamente annullata. La partita segue il servizio ed è il 7° gioco ad essere la chiave del parziale. Djokovic va terribilmente sotto e sbaglia uno smash dei suoi e siamo sullo 0-40. Reazione del campione e 5 punti consecutivi. Il numero 1 del mondo è ancora vivo. Il tiebreak sembra l’epilogo naturale per questo estremo equilibrio, ma Djokovic butta il cuore oltre l’ostacolo e si va a prendere il 10° gioco che vale anche l’1 pari. Boato romano e partita tutta da assegnare.

L’inerzia è girata, ma è solo un fuoco fatuo. Djokovic ha vinto un set solo con i nervi e con la forza mentale che solo un campione come lui può mettere su un campo da tennis. Da qui in poi la lancetta della benzina va sotto, sotto e sotto. Il rosso lampeggia prepotentemente e poi la spia diventa fissa. Il break in apertura è la mazzata definitiva al numero 1 del mondo che ha dato tutto e semplicemente non ne ha più. Fresco come una rosa, Nadal batterebbe in fila tutti gli ex campioni in tribuna, compreso un sempre sorridente Guga Kuerten. Chissà che sostanze assume. Un game Nole lo porta a casa, però si capisce fin da subito che ormai è andato. Nadal è praticamente perfetto e limita tantissimo gli unforced che contro Zizzi a Madrid erano stati troppo numerosi. Djokovic tenta troppe volte la palla corta. È un chiaro segnale di resa. Magari con il gigante Del Potro avrebbe funzionato, ma con il gatto delle Baleari non ce n’è. C’è un secondo break sul 3-1. È finita. Djokovic porta qualche punto dalla sua parte perché alcuni colpi li gioca da dentro al letto in automatico, ma oggi non basta. Arriva un 6-1 pesante che dà il 9° trofeo a Nadal ancora una volta vincitore sulla sua superficie preferita. È il 16° anno consecutivo che vince un titolo Rafa. È record dell’era Open. Superati tutti i mostri di longevità, Federer e Connors su tutti. Con un bel italiano ringrazia il pubblico romano che riconosce il campione che è, e non manca di ricordare la prima edizione in cui vinse da debuttante in finale contro Coria in una partita che Supertennis non cederebbe neanche in cambio dei diritti di tutti gli Slam.

Il torneo

Lo aspettavano in tanti il botto. Di solito arrivava all’inizio della primavera nella Costa Azzurra, quest’anno è arrivato molto in ritardo. Il crescendo rossiniano è iniziato a spirare dalle Baleari per arrivare nel Caput Mundi con una violenza vista raramente in passato. Rafa aveva rassicurato i suoi fan dicendo che la condizione era buona e che i risultati sarebbero arrivati. Tutto vero, però le cartucce da sparare sono poche e la terra battuta che conta si chiude forse troppo presto, a meno che non si voglia andare agli esami di riparazione di luglio in uno scorcio di stagione che è sempre più senza senso e che a poco verrà forse risucchiata dalla stagione erbivora che a partire dal 2015 ha avuto una settimana di proroga. Perdere con Zizzi oggi è una grave neo, forse quando avrà il record di Slam peserà meno, ma il futuro non influenza il passato, ed essere alla mercé di un monomane à la Federer non è un buon segnale, considerato che Rogé è stato il tuo bersaglio preferito sul rosso per tanto e tanto tempo. Un indizio apparentemnte insignificante ha rivelato l’assassino: l’altura. Madrid è stato troppo veloce per essere un torneo su clay e magari gli ibridi con gomme da clay hanno avuto maggiore fortuna. Roma sta sui 7 colli, ma solo sui libri di storia, il Foro Italico è a 25 metri s.l.m, quindi praticamente in pianura. La palla viaggia più lenta e si vede. Purtroppo per Rafa e tutti gli appassionati di tennis il mercoledì da leoni si trasforma in mercoledì da babbaluci. La pioggia è tremenda e cancella tutta la giornata, quella in cui dovevano esordire i Big 3. Viene presa una decisione drastica, impopolare, però la più logica possibile: giovedì i vincitori dei rispettivi secondi turni dovranno giocare 2 incontri. È la decisione più logica perché bisogna sfruttare le giornate di sole e non aspettare oltre. Far slittare la finale a lunedì è la soluzione di chi non sa organizzare i tornei, dei divanisti che credono che domenica o lunedì sia la stessa cosa per un evento sportivo, soprattutto quando i biglietti della finale di domenica sono stati venduti un anno prima. L’imperativo categorico e impegnativo per tutti è vincere (Piazza Venezia non è così distante), ma soprattutto risparmiare energia. Zelante come non mai Nadal non lascia niente ai suoi avversari. Sono poca roba, però sono dei professionisti regolarmente iscritti all’Associazione Professionisti. Il primo a capitolare è Jeremy Chardy che rimedia 1 solo game. Quindi bagel. L’altro è Nikoloz Basilashvili, che sarebbe numero 18 del mondo. Sarebbe. Un solo game anche per lui. Quindi bagel. E sono 2 di fila. In una giornata Rafa ha giocato 2 partite, ma è come se fosse una sola e anche scarsa. Nei quarti di finale c’è un altro avversario alla portata, che però Nadal ha patito in diverse occasioi. È Nando Verdasco. Il veterano spagnolo mette a nudo le carenze di questa nuova versione del King of Clay che subisce come un disperato il gioco piatto. Per i primi 8 game la partita è appannaggio del madrileno che sembra essere l’ennesimo carneade che batte Nadal sulla terra battuta. Però all’improvviso il vento cambia. Ottenuto il break il numero 2 del mondo saluta tutti e se ne va. Incredibile il cambio di marcia e di potenza. Verdasco non vede più mezza palla e non può fare nulla contro il muro che c’è dall’altra parte della rete. Altra partita, altro bagel. È il terzo consecutivo. Sembra una statistica rara, ma in passato questa eventualità si è verificata tante volte.

In semifinale c’è la rivincita di Madrid contro Tsitsipas. È un ottimo test per capire a che punto è arrivato il progetto Paris. Ed è qui che gira. Le 3 precedenti uscite erano state troppo poco probanti. È contro il numero 7 del mondo che Nadal dimostra come la sua condizione non può essere sempre al 100% in tutti i tornei sul rosso come in passato, ma quello che conta è essere a puntino per l’unico appuntamento che sa di storia. Partita esemplare del campéon che rimanda Zizzi come futuro dominatore del rosso. Ha 20 anni, ed oggi è impensabile che a quell’età si possa giocare meglio dei mostri sacri. Una partita balorda può scappare a tutti, ma 2 no. Sono 13 i game persi in tutto da Nadal. Una delle chiavi che gli ha dato il titolo.

Un paragrafo a parte merita il numero 1 del mondo che ha giocato il torneo più faticoso dei 56 qui presenti nella Città Eterna e che ancora una volta ha dimostrato perché si trova più in alto di tutti. Anche lui è stato costretto al doppio impegno con tennisti di ben altra caratura rispetto a Nadal. Shapovalov e Kohli sono stati spazzati via troppo in sordina, però è quello che ci si aspetta dal campione di Madrid. Si pensava che il trend dovesse continuare anche nei quarti di finale, dove c’è un miracolato, ancora una volta, Juan Martin del Potro. Ancora reduce da un infortunio si porta dietro l’injury factor e il fatigue factor. Sfiga tremenda. Però i colpi ci sono tutti, e quando lascia andare il suo martello solo Jurij Sedych gli può stare dietro. Lo scontro tra queste 2 rare particelle è la più bella partita del torneo. Juanito mette anima e cuore in una sfida che illumina la notte di Roma. Arriva fino a match point, ma non ha la freddezza necessaria per uccidere il morente nemico. Si incarta proprio con il dritto e lascia andare un tiebreak già suo. Si sa infilzare alla distanza, ma ha lasciato una piccola ferita in Nole, che sembra facile da rimarginare, ma che poi, infetta, si rivelerà fatale. Contro Er Nano in semifinale non ci sono pronostici che tengono. Si deve vincere, e veloce. Però il brevilineo argentino fa quello che sa fare meglio. Pallettare. Il formato 1:22.5 di Simon non può fare altro che prolungare la sfida in una guerra di trincea in cui a vincere è quello che soffre di meno. Il Matt Damon dei Lego si permette anche di vincere un tiebreak. Ancora terzo set e ancora energie rubate al numero 1 del mondo che lo mata, ma c’è un’altra piccola ferita che deve portarsi dietro. Il sangue delle 2 ferite bagna la sabbia del Foro Italico e il leone iberico, affamato e incazzato, se lo mangia in un sol boccone. Nell’era del shot clock i tornei si vincono anche con il cronometro.

I record

Conclusione

Molti sperano che l’incubo rosso finisca una volta per tutte, però Nadal ha dimostrato ancora una volta che per ucciderlo definitivamente ci vuole un’ondata di terraioli che lo spazzi malamente. Alla fine, è sempre lui che riesce a mettere il horto muso davanti a tutti, e non ha bisogno di aiutini del tabellone. Battere in sequenza Zizzi e Nole è un certificato di garanzia che tutto funziona alla perfezione, e non è la buona sorte a mandartela dal cielo. Sarebbe stata comunque gradita una vittoria alla Bradbury, tanto per allungare le streak che cominciano a diventare troppo pesanti per una storia che sempre di più non trova corrispettivi nel passato, almeno quello che conta. È arrivata una grande vittoria che fa ben sperare per Parigi in primis, ma anche per la rimanente parte della stagione che è sempre stata un rebus nella carriera di Nadal che inevitabilmente deve fare i conti con l’età che avanza e al dosaggio delle forze là dove si ritiene si possa fare meglio. L’anno scorso arrivò il mezzo miracolo annullato solo da un maledetto tetto. Poi la vittoria a Toronto tanto per interrompere la perversa quanto poco salutare smania di aggiornare la lista dei tornei sul cemento saltati. A questo punto diventa lui il primo indiziato per prendersi Parigi. Nole era avanti fino alla scorsa settimana, però ora è leggerissimamente dietro, in una pole position che si preannuncia la più combattuta per il Grand Prix de Paris. Nole deve detronizzare Nadal se vuole andare a prendersi il Grande Slam. Può farlo, ma non sarà facile. Nadal ora può anche perdere a Parigi. L’onore della famiglia è salvo. Un altro anno in più in una carriera che mai nessuno avrebbe pensato…longeva. A coronamento di questa longevità, oltre alle 16 stagioni con almeno un titolo, c’è il sorpasso come settimane consecutive in Top 10 ai danni di Federer, 735 vs 734. Connors a 785 non è così lontano, è distante un anno. Un anno in cui Nadal non deve crollare per andarsi a prendere l’ennesimo record che si pensava impensabile.

Ora settimana di pausa in cui si metteranno a posto i settings per la France. Stats su stats riguardanti lo Slam parigino che già ha fatto partire le qualificazioni per testare i campi del Bois de Boulogne. La storia, come sempre, passa dalla sua maledetta terra rossa.