ATP Shanghai 2018: La Grande Muraglia. 4° titolo a Shanghai per Djokovic
Ingiocabile. Djokovic spazza via tutti gli avversari e vince il Masters di Shanghai senza perdere mai il servizio.
La partita
La finale di Shanghai è una partita finita prima di cominciare. A contrapporsi sono 2 tennisti uguali nello stile di gioco. Un gioco a specchio, dove da una parte c’è il campionissimo che ha costruito una carriera leggendaria con questo tipo di tecnica e tattica, dall’altro quello che doveva/deve essere il suo erede ma che non è mai riuscito a esprimere il suo potenziale in alcun modo. In fin dei conti questo è il miglior risultato in carriera per Borna, che può ritenersi soddisfatto di essere arrivato fino a qui. La sfida tutta balcanica segue il copione che deve seguire. Djokovic è preciso al servizio e non lascia nulla al caso, dall’altra parte Coric non tentenna e quando c’è da chiudere non si tira indietro. La fase di studio serba dura 5 game. Nel 6° game arriva la prima sgasata. Subito 0-30, Coric si arrampica sugli specchi con le ventose, recupera fino ad arrivare ai vantaggi, ma dall’altra parte sembra di vedere il Milan di Sacchi: pressing asfissiante e super-difesa. Il numero 19 del mondo sbaglia con la sua arma più pregiata, il rovescio, doppio errore, primo break e fine delle ostilità. 4-2. Nole è un muro, non passa niente e ributta tutto dall’altra parte. Troppo superiore, Troppo NOLE. Il primo parziale va via veloce e dopo 38 minuti di gioco il numero 3 del mondo è avanti di un set.
Secondo set e dolorino per Borna che chiama il fisio. Nulla di grave, però prevenire è meglio che curare. La situazione precipita subitaneamente quando Djokovic alza di 1 mm il livello. Borna non può nulla se ogni palla ritorna di qua come quando un neutrone becca il nucleo di un atomo. Serve & volley sciagurato ed è subito break. Nole chirurgico e siamo sul 2-0. Nel terzo gioco è ancora show serbo. Vorrebbe ammazzare tutto e tutti. Vincere la partita, cancellare 2 anni di inferno, eguagliare tutti i record di Federer. Però il tempo non è altro che una dimensione e si limita ad andare a palla break. Ce ne sono ben 4, però Borna dimostra una discreta tigna e le salva tutte. 12 minuti per un game che poteva dire fine a qualcosa che non è mai cominciato. Dopo 2 game interlocutori finalmente Coric ha la possibilità di breakkare. Nole parte bene, e gioca splendidamente anche a rete. Mai visto così. L’unico suo neo rimane lo smash e, tanto per svegliare il pubblico, ne sbaglia uno facile facile. Come al solito. La palla break però è annullata. Borna serve per rimanere nel set e nel match, ma sbaglia tutto. Va sotto 0-40. Però c’è ancora tempo per qualche colpettino come un lob e un dritto niente male. Qui arriva lo smash infame e game che va in Croazia. Però Nole vuole andare a casa. Facile 10° gioco che si chiude con un errore croato. 1 ora e 37 minuti di ordinaria amministrazione. 4° titolo a Shanghai. Nole ha fame.
Il torneo
Il Masters di Shanghai doveva darci 2 risposte: Djokovic è tornato dominatore? Federer è con un piede nella fossa? Entrambe le domande hanno avuto una risposta positiva, con le dovute conseguenze, ovviamente. Parlare del torneo del vincitore è prassi, però qui c’è poco o nulla da dire. Se un giocatore favorito vince senza mai concedere break pur non essendo un big server, anzi, allora vuol dire che non c’è stata partita con nessuno. La tds 2 sta un po’ stretta a Nole che però non ci fa caso visto che essere 1 o 2 è la stessa cosa. A tutti gli effetti è stato Bye il suo peggiore avversario. Un Bye fastidiosissimo che ha lasciato estrema incertezza su quando dovesse esordire il futuro numero 1 del mondo. Mistero svelato: si gioca di martedì e il malcapitato è Jeremy Chardy che non è mai riuscito a strappargli un set. Un 26-0 che sa di storia. È questo il momento per vincere almeno un parziale? No, assolutamente no. Geremia viene liquidato facile con un 6-3 7-5 (inutile dire che non ci sono break, ormai si è capita l’antifona). Nel terzo turno c’è la revenge di Parigi contro il palermitano Marco Cecchinato. Quel quarto di finale è storia, sia per il tennis italiano, che per il tennis mondiale. Di fatto segna il punto più basso della carriera di Djokovic da quando è diventato Djokovic. Perdere contro il better di Mondello è stato un colpo troppo pesante da digerire, però, di fatto, è stato il punto di non ritorno per uno dei più grandi comeback della storia del tennis. Gli H2H indicano uno 0-1 visto che i 2 non si erano mai affrontati, ed essendo Nole il re degli H2H (titolo strappato non si sa quando a Nadal) deve per forza vincere. Alla vigilia di Parigi non c’erano dubbi su chi avrebbe vinto, e neanche in questa occasione. Allora andò tutto storto, ora va tutto dritto. La partita esiste solo nel primo set, poi è mattanza. Bagel numero 87 per Nole che va spedito. Ancora una volta si ripropone la NON finale di Wimbledon, e l’esito non può che essere quello annunciato. Ancora una volta la partita si gioca nel primo set. Per il resto super-Djokovic che già aveva messo tutto in chiaro nel tiebreak. Anderson è spazzato via ancora una volta. Ancora semifinale e ancora un H2H da mettere a posto. Questa volta c’è Alex Zverev, vincitore dell’unico confronto tra i 2, quello di Roma del 2017, quando Djokovic non era Djokovic e Sasha stava per piazzare il primo grande risultato della sua carriera. Il confronto è imbarazzante. Per quanto Alex possa tirare forte la palla ritorna sempre di qua. Incredibile come Djokovic vada a prendere tutto in tutte le parti del campo anche quando non c’è bisogno. Magari si potrebbe perdere il punto, però meglio mettere pressione, stare con il fiato sul collo dell’avversario che deve soffocare prima nella mente e poi nel tennis. Il servizio di Djokovic funziona alla grandissima e quando si entra nello scambio non ce n’è per nessuno. Il risultato è impietoso, ma comunque specchio dei valori visti in campo. Sasha si incazza pure e rompe una racchetta. Ma ha poco da recriminare. Quando ha vinto lui ha vinto contro dei giocatori che non erano al massimo della forma o contro altri giocatori meno quotati. Se dall’altra parte c’è mezzo Fab che è minimo al 70% delle sue possibilità la festa è finista ancora prima di cominciare. Incredibile pensare come tutti i Fab 3(+1) siano riusciti a risorgere, a reinventarsi con uno stile leggermente diverso, certamente meno performante del loro prime, ma comunque sufficiente a spazzare via ogni avversario. Questo è un grande merito per i Magnifici 3, ma segna una nota dolentissima per tutti i tennisti della nuova generazione incapaci di battere e di stare davanti ai vecchi campioni che non hanno deciso di andare in pensione. Nole über Alles!
Se Djokovic ride, Federer piange. Il campione svizzero, protagonista del botto di inizio anno era chiamato a ribadire che ancora non è finito. L’Australian Open vinto a inizio anno è una medaglia che pesa troppo sul petto di questo Roger che appare spaesato in un tennis che non doveva avere certezze, ma che si ritrova ancora una volta un dominatore, un vecchio dominatore che tanto fastidio gli ha dato in carriera. Se sarà dura…la chiamerò sfortuna! La suddetta sfortuna si manifesta fin dal sorteggio che mette nella parte di tabellone del 20 volte campione Slam gli avversari più ostici, tra tutti Del Potro e Nishikori. Però Il Tennis non guarda i tabelloni. Ed ecco al primo turno Danil Medved. Stu’ cazz’ e russ’ viene dalla vittoria di Tokyo dove in finale ha battuto l’idolo e semi-dio di casa Kei Nishikori e anche piuttosto nettamente. Però tu sei Federer, non puoi avere timore di lui, soprattutto sul cemento. Sì, vero, però Roger non esprime il suo miglior tennis. Difficile trovare un particolare da mettere in evidenza per dire cosa cambiare e quali sono i suoi difetti. Il gioco è globalmente meno performante dei tempi migliori, e nella sua globalità è costretto a sopperire a dei difetti che una volta sembravano quasi dei pregi. Il risultato è un Federer abbastanza moscio che però riesce comunque a portare a casa il risultato, che poi è l’unica cosa che conta. Lascia per strada un set. Meglio così. Avanti insieme. Lo stesso copione si ripete nella sfida contro AGUT. Il rognoso spagnolo gioca il suo tennis e riesce anche lui a portare a casa un set. Però questo volta Roger ha perso la bussola e il parziale di 2-6 è pesante persino per lui. Si rimedia subito, però che brutto Federer. Le voci sul suo ritiro ruotano come degli elettroni eccitati termicamente, ma lui non lascia, ma raddoppia. Il primo avversario ostico sulla carta è Sushi. Numero 8 del seeding e in cerca di una dimensione che non potrà mai più avere, ma sempre di primo piano in un tennis sempre alla ricerca di certezze. Finalmente si vede un Roger come si deve. Non eccezionale, ma con i colpi giusti al momento giusto. Questo fa ben sperare per una finale che dovrebbe dire molto su chi è il migliore del cemento in questo momento, almeno per quanto riguarda lo scontro diretto. Lasciamo stare i punti. In semifinale c’è Coric che già quest’anno lo aveva battuto ad Halle. Una sconfitta grave che avrebbe palesato tutte le lacune del campionissimo svizzero poi manifestatesi violentemente a Wimbledon. La partita è dominata dal croato. Prestazione eccezionale in tutti i fondamentali soprattutto con il servizio. 78% di prime in campo tirate a tutta e nessuna palla break concessa. Coric non è un big server, ed è assurdo che Federer non sia mai riuscito neanche ad avvicinare il suo avversario quando rispondeva. Era da Halle 2015 che non capitava un’evenienza del genere, però allora c’era Ivo Karlovic dall’altra parte della rete, Coric, pur essendo della stessa nazionalità, è un altro paio di maniche. Rogé esce mestamente dal campo, una semifinale in un Mastes 1000 può sembrare cosa buona e giusta, ma non per un super top player che fin quando avrà una racchetta in mano sarà chiamato a vincere sempre e comunque. Esce male da Shanghai Federer che pure dice di avere giocato bene. Ci sta perdere contro questo Nole, non ci sta perdere contro Borna Coric, perché questo significa che sei molto più vulnerabile di quello che si credeva e contemporaneamente abbassa molto le probabilità di vederlo vincente in un grande torneo (Slam e Masters 1000), allontanando il record di Connors, il famoso 109, che ad inizio stagione sembrava ad un tiro di schioppo. 109 – 98 = 11. Sono 11 i titoli per andare a prendere Jimbo. Oggi sembrano una utopia, ma Jimmy è riuscito ad essere competitivo fino a 39 anni raggiungendo semifinale a Flushing Meadows. Federer, che è il tennis, non può essere competitivo fino ai 40 anni? Senz’altro lo sarà.
I record
- Djokovic vince il suo 32° Masters Series / Masters 1000, 2° dietro a Nadal con 33 successi
- 72° titolo in carriera
- 53° titolo sul cemento in carriera, 2° all time dietro Federer
- 3° giocatore a vincere un Masters 1000 senza perdere il servizio (Dopo Federer a Cincinnati 2012 e 2015, e Zverev a Madrid 2018)
- 1° giocatore a vincere un Masters 1000 prima gli US Open e dopo gli US Open
- 1° giocatore a vincere 24 Masters 1000 su cemento
Conclusione
Mentre Nadal è impegnato a spalare il fango a Maiorca, Djokovic vince, convince e stravince. Dopo i Masters 1000 primaverili americani sembrava che il meglio di Nole fosse ormai alle spalle. Per lui si era prospettato un onorevole finale di carriera, come successo a tanti. Tanti tornei e passerella finale. Ricordiamo sempre che il serbo ha 31 anni. Diversi campioni si sono ritirati alla sua età dopo aver giocato come ha fatto il 14 volte campione ad Indian Wells e Miami. Il giro di vite è arrivato a Wimbledon. Galeotto fu il tetto e chi lo chiuse. L’ormai antologica semifinale dei Championships contro Nadal ha cambiato completamente il corso della storia. Chi ha visto quella partita, ma soprattutto chi l’ha rivista non si capacita di come il serbo sia riuscito a portala a casa. Nadal ha buttato via una partita, una stagione. Poteva essere il canto del cigno, ma non lo è stato. L’estate americana è stata un’estate noliana, solo Zizzi potrebbe dire il contrario, ma solo ed esclusivamente lui. Gli altri tutti zitti sotto, e tu, Nole, puoi anche muoverti. La parentesi di New York era troppo lontana. Troppo tornei, torneini ed esibizioni in mezzo. Ci voleva un altro botto per ribadire che il numero 1 del 2018 è lui. Lo dicono i 2 Slam vinti, lo dirà tra poco la classifica ufficiale dell’ATP. Da qui a Londra Nole è destinato a fare di nuovo cappotto come successo nel 2013 e nel 2015. Allora c’erano Federer e Nadal, oggi va da solo verso l’infinito e oltre, là dove nessun umano ha mai messo piede. La fame di risultati è tanta e per fortuna per gli altri 2 che non si giochino Slam in questo periodo. Il 20 di Federer non è così lontano (si fa per dire). Come se non bastasse si potrebbe aggiungere un torneo last minute da accludere alla collection. Potrebbe essere Vienna, poco suggestivo. Meglio Basilea, in casa del nemico, a ribadire che oggi c’è solo un numero 1 a prescindere da come stanno gli altri. Per tanti anni Nole ha vissuto all’ombra degli altri 2. Questo è stato questo contemporaneamente un suo truccio e la sua forza. Il dover essere all’altezza dei migliori lo ha spronato a migliorare, migliorare tanto. Difficile in questi casi dire chi ha battuto come, se l’uno era al massimo e l’altro no, e viceversa, però possiamo dire con certezza che Djokovic ora siede allo stesso tavolo di quei 2. Conta poco la differenza di Slam, di tornei totali. Stiamo parlando di caratura storica del personaggio, non di una classifica in cui inevitabilmente uno deve stare davanti e l’altro dietro. Vincere 0 Slam o 3 Slam cambia tutto. Vincerne 17 o 20, nonostante lo stesso +3, non è così determinante. Se mettiamo un 14 buttato lì, non è detto che sia così meno pesante a livello storico di un 20. È sempre un – 6, – 6 in fieri che certamente si accorcerà. Ormai è inutile parlare dei giovani che raccolgono le briciole e riempiono quei posti che devono essere inevitabilmente riempiti, avendo un tabellone ad eliminazione diretta dove qualcuno arriva in finale, semifinale, quarti (tautologico). Ora c’è una settimana morbida con 3 ATP 250, poi splendida doppietta Vienna-Basilea, prima del magico mondo dell’indoor che conta a Bercy. Tutti contro Nole, Nole contro tutti.