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Australian Open 2019: Settebello. Djokovic domina e conquista il 15° Slam

Stesa. Djokovic domina una finale senza storia contro Nadal e vince il suo 7° Australian Open e 15° titolo del Grande Slam.

La partita

C’era grande attesa sulla finale degli Australian Open. Il classico 1 vs 2 aveva alle spalle dei bei precedenti per far ben sperare in un match epico. Come non ricordare la mitologica finale del 2012, durata quasi 6 ore, una partita talmente brutta e noiosa che il giornalista newyorkese Steve Flink l’ha usata, a caso, come copertina del libro The Greatest Tennis Matches of All Time. A conti fatti la rivalità tra Nadal e Djokovic è la più prolifica dell’era Open in termini di partite giocate, anche se non ha creato quello scisma religioso e bellico del Fedal. Djokovic è arrivato in finale da favorito, Nadal è arrivato a sorpresa all’atto finale dello Slam aussie stupendo tutti disputando un torneo straordinario, asfaltando tutti i suoi avversari. Tutte le attese però sono state smentite clamorosamente.

È Djokovic a vincere il sorteggio e sceglie di servire. Fin dalle prime battute si capisce che NOLE è di un’altra dimensione. Non appena si entra nello scambio non ce n’è per nessuno, e Nadal arranca clamorosamente. Siamo solo nel primo game. Aspettiamo. È il secondo game che dice tutto su quella che sarà una NON partita. Nadal usa il suo neo-serve, ma qui non serve a nulla. Djokovic è padrone del campo e non deve neanche strafare per portare a casa il punto. Le geometrie del servizio manacoregno vengono disinnescate come The Hurt Locker. Risultato: Nadal non ne ha. Il break a 15 arrivato nel 2° game chiude di fatto la tenzone. Djokovic è troppo sicuro di sé, vuole andarsi a prendere il suo Slam e, perché no? il record di Slam, già che ci siamo. L’occhio concentrato e attento di chi ha un solo obiettivo, quest’oggi è spalancato come un cocainomane in certa di una dose. La dose arriva subito, e Rafa regala come non aveva mai fatto in tutto il torneo. Che Djokovic avrebbe vinto si sapeva, ma ci sono 5-6 non forzati non da Nadal che spara il suo dritto in corridoio come un Thiem qualsiasi. Anche se nel primo set c’è un solo break, il divario nella sostanza è molto più ampio. Basti pensare che il primo punto spagnolo sul servizio avversario arriva sul 5-3. Dominio assoluto. Sono passati 36 minuti e il numero 2 del mondo è sotto un treno.

Qualcuno aspetta il calo di Djokovic, che in passato gli è costato caro, però la manetta è a fondo scala e si superano i 2-3 Mach (non c’era John). Facile registrare il break Nole sul 2 pari con Rafa ancora inerme anche con il suo dritto che tanto male ha fatto ai suoi avversari. Nole riesce a girare lo scambio con il suo rovescio sopraffino, che non è un rovescio, ma un secondo dritto (come si diceva di qualcuno). Questa significa che dopo il 3° scambio Nadal è costretto o a usare un rovescio di fortuna o a girare sulla palla per colpire di dritto. Non è il Nadal del 2005, manco quello del 2008, non ha la forza nelle gambe per correre quei (tanti) metri in più per fare girare il punto. Arriva un secondo break serbo, sempre a 15. Oggi non c’è partita. Dopo altri 40 minuti e siamo 2 set a 0. C’è un solo uomo in campo. 30-15. No, non sono i punti del game, come un brillante francese (?) ebbe l’accortezza di chiamare i punti di un game rifacendosi (forse?) all’orologio. Sono i punti vinti da Nole vs quelli vinti da Nadal. Imbarazzo.

Il terzo set è una formalità. L’unica incognita potrebbe essere un tiebreak strappato con le unghie e vinto di rapina, come quello della finale degli US Open 2011. No, non è giornata. Nole mette subito tutto in chiaro breakkando nel 3° gioco. La partita è finita. I tweet sono pronti (quelli di Nadal salvati per ricordo). C’è solo un piccolo sprazzo per scarabocchiare uno dei tanti record che possono nascere quest’oggi, ossia una finale Slam senza palle break. Così come successo (dal 1991 in poi) a Federer contro Philippoussis a Wimbledon nel 2003, a Sampras contro Becker ai Championships nel 1995 (qui Pete perse un set) e allo stesso Nadal nella finale di New York del 2017 contro Anderson. L’utopia di vedere mezzo set combattuto si infrange sulla rete così come il rovescio di Rafa. Per le statistiche il match si conclude nel 9° gioco del 3° set, sul servizio Nadal, ergo con tanto di break in chiusura. Djokovic non esulta più di tanto, si limita ad alzare le braccia al cielo. Nel 2012 prima si era buttato a terra, poi si era strappato la maglietta urlando come King Kong sull’Empire State Building nella partita più noiosa e inutile di sempre.

Il torneo

Doveva essere il suo torneo e lo è stato. Il sorteggio non era stato benevolo per Djokovic, come mostrato nelle simulazioni. Però queste simulazioni hanno il difetto intrinseco di pesare il tabellone sostituendo ad ogni giocatore quello con la forza media. In quelle in cui si pesa la potenza di NOLE era dato ampiamente favorito, anche se lo scarso lucky index aveva fatto alzare di un millimetro le sue quote. Osservando bene il draw di Novak ci si rende conto subito che le insidie sono arrivare fin da subito. Il primo turno è una formalità, non si sa chi sia questo Mitchell Krueger. Dicono sia un americano, ma chi lo sa. L’unica cosa certa è che le battute su Nightmare si sprecano. Una volta era figo sapere il nome del protagonista di questo horror cult, oggi no. Va bene la netta superiorità però trovare uno Tsonga al secondo turno non è certo da fortunati. Questa sfida è stata la finale del 2008. Nel frattempo, Nole ha vinto un pochettino, mentre Jo non è mai esploso come ci si aspettava dopo questo exploit australiano ormai lontano 11 anni. È nel terzo turno che Djokovic comincia a scricchiolare. Che non sia il Djokovic dominante degli anni passati si sa. Però non è da dimenticare il suo migliore anno, in termini di risultati, il 2015. Anche allora non brillava particolarmente, ma nonostante questo riuscì a mettere a segno la seconda stagione dell’era Open dopo il 1969 di Laver. Quello bello bello era il Nole del 2011. Devastante e vincente, con grandi avversari. Il Nole di questo ultimo periodo domina, almeno negli Slam, ma non dà l’impressione di schiacciasassi, almeno non lo fa con tutti. Non si sa se sia una tattica, oppure è proprio la tanca della benzina che si è ristretta per evidenti motivi anagrafici. Spetta ad un inconsapevole Shapovalov strappargli il primo set del torneo. Un 3° set regalato, subito però tappato con un bel bagelozzo con tanti saluti alla Next Gen. Difficile da dire allora, facile da dire ora. Il giocatore che lo ha fatto penare maggiormente è stato il russo Medvedev, colpevole di avergli strappato un set. Il 2° del torneo, e di essersela giocata anche nel 3° quando era avanti di un break. Tolta la polvere degli stivali, con tanto di scroscio degli speroni, Nole ha iniziato a cavalcare il dorso del suo rovescio letale disintegrando il malcapitato Daniil. Ci ha provato la testa di serie numero 15, però ancora ne deve mangiare pane prima di arrivare al livello dei più grandi del circuito, soprattutto nel 3 su 5, che rimane ancora una volta appannaggio dei vecchi. Ancora una volta, con tanti saluti alla Next Gen.

L’avversario per i quarti di finale è Kei Nishikori, e ancora una volta la domanda, senza risposta, è sempre la stessa: come ha fatto Sushi a battere Nole agli US Open del 2014? L’interrogativo rimane sempre inevaso anche se qualcuno prova ad abbozzare una timida soluzione, non si sa come, non si sa perché…forse è stato il caldo? A domanda si risponde con domanda. Non il massimo del ragionamento logico-deduttivo. Nishi si rompe. Sembra assurdo, ma è così. Il tennista nipponico di titanio platinato immerso nel nichel si rompe ancora una volta dopo che le stava prendendo dal suo avversario. Non si può far altro che conteggiare l’ennesimo ritiro per il giapponese che vuole andare a prende Tipsarevic in questa particolare classifica. Non si può chiedere di più all’ex numero 4 del mondo, idolo nel suo Paese, per lo più ignari dell’esistenza Jiro Sato, mitologico tennista giapponese davanti a Nishi nell’ipotetica classifica dei migliori di sempre, ma quasi mai citato, se non per sua tragica fine in perfetto stile nipponico. In semifinale c’è un incredulo Lucas Pouille, che ha fatto fuori gente abietta nei primi 3 turni, per poi avere la meglio su uno dei virgulti della Next Gen, Borna Coric, facendo poi fuori Milos Raonic ai quarti di finale, anche lui ignaro di come sia arrivato a questo punto. Chi vince lo sanno anche i sassi, le mascotte, i ball boys e i gabbiani che scacazzano il Melboune Park, però il bello di questo giuoco è capire come si sviluppa la sceneggiatura. Il canovaccio recita una sola parola: piallata. Il francese non esiste per tutto il match. Il 6-0 del primo set è generoso nei confronti del transalpino che non ha un’arma, che sia una per impensierire il suo avversario. Il triplo bagel alla Lendl contro Moir agli US Open del 1987 non arriva perché Nole, oltre a essere imperioso, sa essere generoso. Si registrano solo altri 4 game per lo sfidante, e questo fa entrare la sfida nelle semifinali più dominate di sempre negli Slam. Si temeva che Nole avesse aperto il gas troppo presto, però è meglio aprirlo in anticipo che in ritardo. La stessa veemenza, la stessa determinazione si è vista contro Nadal in finale. Nelle 2 ultime partite il numero 1 del mondo ha perso 12 game. Dominio.

Record

  • Djokovic vince il 15° Slam (3° all time dietro a Federer, Nadal, superato Sampras)
  • 7° titolo agli Australian Open (1° all time)
  • 265 vittorie per Djokovic negli Slam (2° all time dietro a Federer)
  • 68 vittorie per Djokovic agli Australian Open (2° all time)
  • 24a finale Slam (3° dietro Federer e Nadal)
  • 1° giocatore a vincere 3 Slam consecutivamente: 2011-2012, 2015-2016 e 2018-2019 (ne ha vinti anche 4 consecutivamente)

Conclusione

Il 2018 si era chiuso con un quesito. Riuscirà Nole a prolungare il suo dominio? La risposta è arrivata pronta e decisa. Nole si prende quello che è suo e che per un momento della recente carriera sembrava essere finito. Dopo la sconfitta l’anno scorso contro Chung (Chung??!??!) sembrava seriamente finita. Un giocatore allo sbando dopo che aveva fatto tremare tutti, anche gli inquilini dell’ultimo piano, dell’attico e del super-attico. Il Roofgate ha fatto girare la storia del tennis come poche partite hanno fatto. Il Djokovic finito è ritornato di prepotenza puntando a quello che più di ogni altro ti fa diventare grande: gli Slam. Sono giustificate le sconfitte a Toronto prima e Bercy e Finals poi. Però, piccolo particolare, non erano Slam. L’unico non Slam che doveva vincere è stato Cincinnati e così è stato. Un Nole chirurgico viaggia a vele spiegate verso quei record che dopo il Roland Garros 2016 sembravano alla sua portata e che dopo la sconfitta contro Cecchinato sembravano ormai dimenticati. Si punta in alto, però il tempo passa ed è già passato. Federer ha fatto cassa nella sua lunghissima carriera già da quando era giovane, anche se non giovanissimo. Gli Slam 2004-2007, ben 11, hanno scavato un solco incolmabile per chi inizia a vincere relativamente tardi. Anche se il primo Slam di Nole è del 2008, 20 anni, è dal 2011, ossia dai 23-24 anni in poi che il serbo ha iniziato a fare cassa più e più volte. Il – 5 sembra ad oggi lontano, ma non lo è più di tanto, visto che nessuno sembra arrivare dalle retrovie.

È stato sempre il Roland Garros lo Slam che ha creato sbilanciamenti nei record. La presenza e dominio di Nadal hanno negato a quello che per Federer dopo lo splendido 2004 sembrava scontato: il Grande Slam. Il massimo alloro del tennis torna ancora in gioco e sembra il numero 1 serbo il maggiore indiziato a succedere a Laver, incolpevole di essere sempre citato in questi casi e che mai avrebbe immaginato che a distanza di 50 anni il suo achievement (più che record) sarebbe rimasto lì. Nadal dovrà difendere con le unghie e con i denti il suo fortino parigino. Nole è intenzionato a completare per la 2a volta il giro degli Slam, che vale poco. Chiamatelo Nole Slam, Ciccio Slam. Però il Grande Slam è uno solo. Djokovic ha già battuto Rafa a Parigi, e la batosta australiana fa vacillare l’unica certezza della carriera del 17 volte campione Slam. Nel 2016 non fu la capitale francese a fermare la corsa di Nole, ma fu una stranissima partita in pieno clima cangiante londinese a frenare i suoi sogni, o forse i sogni dei suoi tifosi. Il suo era vincere il Roland Garros, e portata a casa la Coppa dei Moschettieri, non c’era più motivo di essere tirati al massimo e prolungare una concentrazione che procura tensione e quindi dolore oltre ogni limite che l’umano possa sopportare. Budge vinse 6 Slam consecutivamente tra il 1937 e il 1938, ma lui giocava con la consapevolezza di essere di gran lunga il migliore dei dilettanti e dominava senza pressioni. Djokovic dovrebbe ricalcare l’impresa di Donald, però questa volta ci sarà un macigno sulla propria spalla. Immaginatevi uno US Open con 3/4 di Slam in saccoccia. Il record della stessa domanda ripetuta più volte verrebbe superato e si finirebbe per avere un effetto Vinci bis, questa volta molto più deleterio del 2015.

Però se non arriva IL Record, arrivano altri record. Superato Sampras, ormai dietro ai mostri sacri di questa epoca, si punta anche al record di settimane al numero 1 che al momento sono 236 e che un altro annetto potrebbero arrivare a 280-290. L’Australian Open vinto quest’anno dà qualche garanzia solo per le prossime 52 settimane. Andare oltre è quasi impossibile e sarebbe come prevedere se pioverà o meno tra 50 giorni. Solo supposizioni. 310 non è così lontano, ma il tempo non può essere accelerato. La (quasi) certezza della permanenza sul trono arriva da un Next Gen che non esplode e su cui è inutile dire 2 parole. È lecito lasciare una riga bianca e scrivere quello che pare al lettore. È tutto sprecato. Nadal non ha più le gambe e soprattutto i tornei per mettere in cassa i punti per tornare numero 1 del mondo. Federer è all’ultimo giro di giostra e i suoi obiettivi sono mirati e non così globali come la collezioni di punti ATP per arrivare in cima. Nole sarà ancora numero 1 a lungo ed è una bella storia da raccontare. Perché lui è andato in alto, poi è caduto e si è rialzato. Non è stato sempre in alto. È diventato così ispirazione per tanti e anche lui, molto più saggio e oculato del passato, non manca di rimarcare come tutto quello che sta vincendo sia una “benedizione” e non qualcosa che doveva arrivare necessariamente perché “io sono il più forte”.

Per il momento il grande tennis si ferma. Tra venerdì e sabato (manco la domenica, maledetti!) ci saranno le qualificazioni per quell’obbrobrio della Pique Cup che si giocherà in 2 giorni con in 2 su 3. Si guarda questo evento perché non c’è niente da guardare. Nessuno si è accorto che nella settimana dopo gli US Open non ci saranno tornei! Come?!?!? No, settimana vuota in mezzo alla stagione. Mah. Non rimane altro che allestire un boicottaggio che potrà essere violento o sarcastico o entrambe le cose. Uniti.