Il quinto Slam non esiste
Nel mondo del tennis è sempre di moda tirare fuori la storiella del quinto Slam per accendere un po’ le polemiche e per permettere a qualche miliardario di sventolare al vento i suoi dollaroni per farci capire che il suo torneo è il migliore del mondo e quindi merita di entrare nell’elite del tennis mondiale acquisendo lo status di torneo del Grande Slam che è il massimo possibile. Quello che non sanno molti (forse) e che nel corso della storia ci sono stati tanti tentativi di fare diventare 5 i tornei più importanti del circuito ma nessuno ancora ci è riuscito e molto probabilmente non ci riuscirà per vari motivi.
Il discorso di base nasce da molto lontano. Il tennis essendo organizzato in tornei e non in campionati ha sempre avuto l’esigenza di stilare una classifica di quale evento fosse più importante degli altri e quale, alla fine, al di sopra di tutti. La differenza tra torneo e campionato che in molti sport non esiste sta nel fatto che se vinci un campionato, come dice la parola stessa, si diventa “campioni” di qualcosa: arrivare primi nella Serie A ti fa diventare campione d’Italia, vincere la finale di Champions League di fa diventare campione d’Europa e vincere i Mondiali di fa diventare campione del mondo. La vittoria di un torneo di tennis non determina lo status di campione a chi lo vince anche se molti si sono arrogati, falsamente, la prerogativa di essere “campionati del mondo” ma in malafede perché non sono mai esistiti campionati del mondo di tennis.
Tutti sanno che il primo torneo della storia fu quello di Wimbledon, ma nella sua prima edizione giocata quasi per caso non c’erano quelli che oggi definiremmo “tennisti” ma sono dei gentiluomini che sarebbero diventati tennisti solo dopo la nascita del “Torneo di Wimbledon”. In quell’anno non si disputarono altri eventi significativi se non un torneo in Scozia di cui abbiamo pochi frammenti. Ma mano che il tennis si diffondeva a livello mondiale, soprattutto Gran Bretagna e Stati Uniti, si cominciarono ad organizzare sempre più eventi che però facevano riferimento ad uno principale che raccoglieva i migliori tennisti del mondo e gli servivano, anche se impropriamente detto, “da preparazione”. Il primo evento ad avere di satelliti fu ovviamente Wimbledon che fin dalla seconda-terza edizione fu accompagnato da altri eventi in Gran Bretagna che videro la nascita dei primi grandi campioni che cominciavano a fare registrare i primi record. Tra gli eventi importanti c’erano gli Irish Championships che furono i primi ad introdurre quello che noi chiamiamo “torneo combined” ossia un torneo in cui giocano sia uomini che donne contemporaneamente, tutto questo già nel 1879, appena 2 anni dopo la nascita di Wimbledon. All’appuntamento irlandese (che poi ha poco di “Irish” visto che l’Irlanda sarà indipendente solo nel 1922) si affiancavano i tornei di Manchester conosciuto come Northern Championships, quello di Bath conosciuto come “West of England Championships”, quello di Eastbourne conosciuto come “South of England Championships” e diversi altri che componevano un grande circuito sull’erba che aveva posto le basi per la diffusione del tennis.
Essendoci in Gran Bretagna tanti campi da cricket che usavano l’erba come superficie (altrimenti non sarebbe così famoso il “prato inglese” che molti hanno nel loro giardino), si decise di usarli per giocare a tennis e senza essere codificato in qualche regolamento particolare l’erba divenne la superficie “ufficiale” del tennis. Molti allora si sarebbero aspettati che la storia finisse là, perché, come è facile capire, tutti gli sport del mondo o quasi si giocano su una superficie: nel calcio, nel rugby, nel football americano, australiano, canadese si gioca sempre sull’erba e non c’è nulla di strano e a nessuno verrebbe mai in mente di cambiare il campo come tutti siamo abituati a vedere nel tennis. Ma perché c’è stata questa anomalia nel nostro sport? Tutto è dovuto ai fratelli Renshaw che furono i primi grandi campioni del tennis “mondiale” plurivincitori di Wimbledon (soprattutto William, meno Ernest) i quali decisero di installare dei campi per poter praticare questo curioso hobby anche in Francia, esattamente a Beu Site, un quartiere di Cannes, quindi Costa Azzurra. Ben presto i Renshaw si resero conto che l’erba non era adatta a quel clima mediterraneo perché questa seccava subito, allora per non rinunciare al loro passatempo preferito decisero di togliere l’erba e di cospargere il campo con del mattone tritato ricavato dallo sbriciolamento di vasi di terracotta. Una grandissima rivoluzione che avrebbe creato tutti i casini del tennis da lì in avanti. Questo escamotage nato quasi per caso piacque tanto agli organizzatori dei tornei sulla Costa Azzurra e con la nascita dei tornei di Nizza, Monte Carlo e Cannes il seme era stato piantato e non si sarebbe più tornati indietro.
Contemporaneamente alla Gran Bretagna anche negli USA si diffuse la passione per il tennis e fin da subito (1881) venne organizzato un torneo “nazionale” che oggi noi chiamiamo US Open a cui partecipavano i migliori tennisti americani. Così come era avvenuto per i cugini d’oltreoceano anche gli americani iniziarono ad organizzare tornei satelliti al “National” che avevano una struttura molto simile a quella attuale, e stiamo parlando della fine dell’800, l’era Open era ben lontana, ma nonostante tutto si applicavano già dei concetti che oggi sembrano “normali” ma sono nati là e quelli che sono arrivati dopo non hanno fatto altro che copiare questi concetti. La struttura dei tornei USA preveda dei tornei nazionali che per definizione erano i tornei più importanti, sotto c’erano i Major, sotto ancora i tornei interregionali e alla base i tornei statali, esattamente come avviene oggi per tornei del Grande Slam, Mastes 1000, ATP 500 e ATP 250. I tornei nazionali erano 3 ed erano: gli U.S. National Championships giocati sull’erba, gli U.S. Clay Court Championships giocati su terra battuta e gli U.S. National Indoor Championships giocati su parquet indoor. Come potete vedere la prima classificazione della storia dei tornei prevedeva 3 super eventi principali e non 4 come accade oggi, tutto questo frutto di un discorso logico che non fa una piega, ossia: deve esistere un torneo superiore a tutti che, prendendo spunto dal golf, potremmo definire Major per ogni superficie. Ovvio che l’erba era la superficie di riferimento per tutti, ma la terra battuta non era da meno, e in inverno era difficile giocare all’aperto così fu naturale usare le arene delle palestre dei college americani per giocare a tennis anche quando fuori c’era la pioggia e la neve.
Questa idea americana di creare 3 eventi superiori a tutti gli altri per definizione piacque alla ILTF (oggi ITF) che a partire dal 1913 istituiti i suoi “campionati del mondo”. Le scelte dei tornei a posteriori è alquanto discutibile, perché se da una parte Wimbledon fu la scelta più logica come “World Grass Court Championships”, quindi campionato del mondo su erba (il più importante), la scelta del World Hard Court Championships giocato a Parigi sulla terra battuta fu leggermente azzardato, per non parlare del World Covered Court Championships che fu un vero fiasco basti pensare che venne disputato dal 1913 al 1923 (tranne dal 1914 al 1918 a causa della Prima Guerra Mondiale), quindi 6 edizioni, in 6 posti diversi. Come si può notare ancora una volta il numero magico è il 3 e non il 4.
La scelta di questi 3 eventi fu molto stigmatizzata dalla USLTA (la federazione americana) che non vide riconoscere al proprio torneo più importante, lo U.S. National, lo status di Major. Il tutto fu dettato da una politica filoeuropeista che era alla base dell’establishment della ILTF che pur sapendo che il torneo di Newport fosse di grand lunga il secondo evento per importanza a livello mondiale preferì cassare le richieste americane che però ben presto si riveleranno fallaci.
Accertato il fallimento del World Covered dopo appena 10 anni la Federazione Internazionale decise di riformare il suo pacchetto di Major eliminando il torneo giocato indoor e inserendo il Major americano che finalmente cominciò a stare dove doveva stare e introdusse un nuovo torneo ex abrupto che erano gli Australia Championships, oggi Australian Open. L’idea di un Major australiano che oggi è del tutto plausibile allora, e stiamo parlando del 1924, era qualcosa di assolutamente azzardato ed è da qui che nasceranno tutte le diatribe e discussioni che portano sempre a pareri discordanti sull’argomento Slam/Major che sono alla base di tutto il tennis. Il torneo itinerante australiano (ricordiamo che prenderà pianta stabile a Melbourne solo nel 1972) era un evento che non c’entrava tanto con gli altri Major scelti dall’ILTF che ricordiamo essere: Wimbledon, US National e World Hard Court (poi riciclati in quello che oggi noi chiamiamo Roland Garros), questo perché a livello di sviluppo sociale ed economico l’Australia era lontanissima dalla fiorente America e dall’Impero Britannico che per secoli aveva dominato il mondo. Anche la Francia dopo la Prima Guerra Mondiale si era ripresa economicamente, invece l’Australia non era all’altezza degli altri Paesi, ma la sua grande forza se non la possiamo trovare nei soldi la possiamo trovare nei suoi tennisti ed è questo il motivo principale della scelta della Federazione. L’Australia aveva prodotto grandi campioni, forse i primi veri campioni del tennis mondiali, che erano stati Anthony Wilding e Norman Brookes, plurivincitori dei Major e soprattutto della Coppa Davis che in quegli anni era il torneo più importante del mondo perché l’unico in cui i migliori potevano incontrarsi per poter determinare chi era il più forte visto che molto spesso gli australiani non andavano a Wimbledon o USA, e gli altri molto più frequentemente non andavano in Australia per non gravarsi di una traversata in nave che durava giorni senza avere, tra l’altro, un compenso economico. A questo punto della storia siamo a 4 tornei e il 5 latita e latiterà sempre e andando avanti scoprire perché.
La vittoria di un Major da parte di un tennista a partire dal 1924 dava molto prestigio a chi la otteneva, ma nessuno aveva mai pensato a cosa sarebbe successo se qualcuno avesse vinto tutt’e 4 i tornei più importanti nello stesso anno, un po’ perché i tornei erano molto distanti tra loro e quindi i tennisti più forti non partecipavano a tutti i Major per una scelta personale, come Tilden, solo per citare l’esempio più eclatante, che non andò mai in Australia, un po’ perché chi partecipava a tutti i Major non era così forte da poter vincere 4 tornei così competitivi nello stesso anno. Ma qualcosa stava cambiando e a produrre l’insight dell’idea del secolo fu un australiano che avrebbe per sempre cambiato la storia del tennis. Stiamo parlando di Jack Crawford. Il tennista australiano nel 1933 aveva disputato una stagione straordinaria vincendo il Major di casa e imponendo anche al Roland Garros e a Wimbledon. Alla vigilia del Major americano un editorialista del maggior quotidiano sportivo della Pennsylvania, il Reading Eagle, scrisse che se Crawford avesse vinto anche a Forest Hills avrebbe completato il “Grande Slam”. Scandalo!!! Che cosa vuol dire “Grande Slam”? Oggi lo sappiamo tutti, ma i tempi non era così scontato. La definizione venne presa dal bridge, un gioco di carte, in cui il massimo punto realizzabile è proprio il “Grande Slam”. Tutti sanno che Crawford non riuscì mai a completare l’impresa perdendo malamente la finale contro Fred Perry per 6-3 11-13 4-6 6-0 6-1. Ma ormai l’idea era iniziata a circolare e quando Don Budge riuscì in stessa impresa il nome di come chiamarla era già bello confezionato.
Come accade spesso nella storia una volta risolto un problema ne nasce uno nuovo di difficile soluzione. Se da un lato il Grande Slam era diventato il centro del tennis mondiale dall’altro la nascita del professionismo prima lesina e poi distrugge questo concetto tanto originale quanto labile. I tornei dello Slam erano i più prestigiosi del mondo, ma erano interdetti ai professionisti e fin tanto che i migliori erano dilettanti questo ban, per tanti versi ingiustificato, era passato in sordina, ma quanto i migliori passarono dalla dark side of tennis allora il problema divenne sempre più grosso fino ad essere insostenibile. Il passaggio ai pro di Bill Tilden, Don Bugde e Fred Perry aveva fatto perdere il valore intrinseco dei tornei del Grande Slam, che mantenevano lo stesso questo status, ma non essendoci i migliori non si può non declassarli. I migliori del mondo li potevano vedere in tanti tornei ma non in quelli dello Slam e così viene automatico collocare più in alto a livello di “peso della vittoria” un Wembley Pro del 1950 piuttosto che il suo omologo amatoriale che era il Torneo di Wimbledon. Nonostante tutto però il Grande Slam rimarrà quello e nessuno si sarebbe mai azzardato di togliere qualche pezzo o ancora peggio di aggiungerne un altro per portare a 5 il numero degli eventi superiori per definizione.
La parziale ricucitura di questo grande casino avvenne nel 1968 quando finalmente i professionisti iniziarono a disputare i tornei dello Slam insieme ai dilettanti in quella che viene definita “era Open”. A rientrare subito nel novero dei tornei più prestigiosi del mondo furono Wimbledon e gli US Open, un po’ dietro il Roland Garros che per situazioni contingenti ogni anno avrà qualche defezione importante e gli Australian Open rimasero sull’uscio di casa, perché? Perché non erano pronti a far parte del super gruppo a causa della sua arretratezza a livello di impianti e infrastrutture che gli altri avevano rimesso a nuovo per la grande rivoluzione. Il declassamento ufficioso dello Slam aussie autorizzò altri grandi eventi ad arrogarsi, senza motivo, il titolo di Major o di “quinto Slam”. Questo avvenne per il torneo di Philadelphia che negli anni ’70 era il vero sostituto di quello che Rino Tommasi definirà “la gamba zoppa” degli Slam, oppure degli stessi Internazionali d’Italia che in alcuni articoli dell’epoca hanno affibbiata questa etichetta. Ma, per quanto tutti si sforzavano di assurgere all’Olimpo del tennis, gli Slam rimaneva 4 e sempre e solo quei 4, e gli Australian Open erano il quarto Slam e la vittoria dell’evento dava sempre lucro al vincitore che, nonostante venisse da un torneo con un field pessimo, veniva sempre ricordato come “Slammer”.
L’agonizzante torneo australiano fece acuire l’olfatto degli avvoltoi che era pronti a sbarazzarsi di questo evento per tanti e tanti anni così bistrattato. Tanti tentarono di creare un super evento o di far decollarne uno per ottenere il titolo di Slam, ma quello che più di ogni altri era vicino a scompaginare il sacro numero 4 fu il “Lipton”. Nel 1985 l’ex campione americano Butch Buchholz ingaggiò Alan Mills, referee a Wimbledon e aiutato dai milioni di Ted Tinling, un ex tennista e stilista di moda creò un super evento che aveva l’intenzione di soppiantare gli Australian Open. Ecco, ogni volta si ripresenta lo stesso schema: ex tennista, milioni e ambizione, così come oggi ci possono trovare nel torneo di Indian Wells, con Raymond Moore a fare la parte dell’ex tennista, Larry Ellison in quella che “caccia li sordi” e l’ambizione americana che non ha confini. Fino al 1989 il torneo giocato in Florida non aveva nulla di che invidiare agli Australian Open e il field a 128, il ricco montepremi, il 3 su 5, il combined lo collocavano in altro come evento e l’ATP, a buon ragione, assegnava maggiori punti a chi vinceva il torneo americano piuttosto che quello australiano. Il quinto Slam era impiattato, ma questa espressione era più una trovata giornalista piuttosto che un riconoscimento ufficiale, infatti l‘ITF non ha mai riconosciuto questo status di Slam al Lipton e mai lo farà anche perché a partire dal 1990 lo Slam australiano ricuce definitivamente il gap con gli altri 3 fratelli e a Miami si ritorna al 2 su 3, sempre un grande evento, ma con molte meno ambizioni.
Dopo questo lungo excursus quello che possiamo dedurre è che l’idea del quinto Slam per quanto affascinante cozza in maniera decisa contro tantissimi dogmi del tennis che per diversi motivi hanno assunto una determinata direzione, giusta o sbagliata che sia, e quindi è difficile riuscire a scalfire qualcosa che è alla base di uno sport. I milionari megalomani nel corso della storia ci sono stati sempre ma i loro soldi non hanno permesso di uccidere la tradizione che è fondamentale in uno sport secolare come il tennis. Ellison ha ragione a cercare di pretendere uno status superiore rispetto ad un semplice Masters 1000, perché è evidente che il suo torneo non può stare sullo stesso piano di quello di Monte Carlo, per esempio, ma questo non gli autorizza a calpestare decenni e decenni di storia che hanno sancito in maniera inequivocabile che gli Slam sono 4 e solo 4 e devono essere sempre e solo quei 4. Si potrebbe raggiungere un compromesso promuovendo Indian Wells a torneo da 1200-1500, si potrebbe introdurre il 3 su 5, ma i giocatori sarebbero d’accordo? Stiamo parlando di un altro super evento sul cemento, un altro super evento negli USA e in una parte di stagione “monca” perché priva di tornei di preparazione. Ellison potrà pure fare 50 campi e avere un centrale da 30.000 posti ma i suoi soldi non possono comprare la tradizione che, come dice una famosa pubblicità di una carta di credito, “non ha prezzo”.