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Lo psicologo di Kyrgios

Nick Kyrgios of Australia sits on the bench during his men's singles tennis match against Benoit Paire of France at the Japan Open championships in Tokyo October 9, 2015. REUTERS/Thomas Peter - RTS3P98

Incredibile scoop della nostra redazione! Grazie ad un nostro infiltrato – le cui generalità, per motivi legati alla privacy, non saranno qui rivelate – siamo riusciti ad ottenere la trascrizione della prima seduta di Nick Kyrgios dallo psicologo che gli è stato assegnato. Ve la proponiamo in quest’articolo, con tanto di note ed appunti scritti dal terapeuta stesso.

ATTENZIONE: per venire incontro al senso del pudore di alcuni, le parolacce sono state censurate mediante l’inserimento di asterischi sparsi in maniera totalmente casuale.

Buona lettura.

T: Buongiorno. Accomodati, prego. Mettiti pure a tuo agio.

(Il paziente si guarda intorno con aria indifferente. Dopodiché, accetta di sedersi)

Pz: Mettiamo subito le cose in chiaro, Doc: non me ne frega niente di tutta questa storia. Voglio solo che tu mi aiuti a chiuderla il prima possibile.

T: Non è certo un buon modo per cominciare, non trovi?

Pz: Andiamo, Doc! Lo sai anche tu che tutto questo è una buffonata. Che senso ha mandarmi da te? È solo una soluzione di facciata, non gliene frega un c*zz* di quello che sono e quello che penso… vogliono solo che chieda scusa a tutti ed inizi a comportarmi da bravo bambino, così che io un domani possa parlare della mia redenzione, di quanto sono cambiato ed altre st*o*za*e varie… è ridicolo!

T: Bene. Mi pare di capire che tu ritenga tutto questo una perdita di tempo e che lo stai facendo solo perché ti è stato suggerito di farlo, nella speranza che questa situazione si risolva quanto prima. Ok. Ma, al di là di quello che vogliono questi fantomatici “loro”, non credi che parlare con qualcuno, sfogarti, raccontare un po’ la tua storia, possa in ogni caso aiutarti nella tua crescita personale?

Pz: Ma non è questo il punto, Doc… hai presente Valerio Jahier? Era un amico di Italo Svevo e soffriva di una malattia nervosa. Scrisse una lettera a Svevo, chiedendogli consiglio sull’opportunità di intraprendere una cura psicanalitica, dato che era a conoscenza dell’interesse del suo amico sull’argomento, nonché dei suoi contatti con Freud. Sai che cosa gli rispose Svevo? Lo sai, Doc?

T:

Pz: “Tieniti la tua malattia”. Questo rispose Svevo. Cioè… capisci, Doc? Questo qui aveva problemi seri e Svevo gli suggerì di tenersi la sua malattia! Io, invece, poiché quel giorno mi sono svegliato scog*ion*to e non c’avevo voglia di fare un *azzo vengo mandato qui, a parlare con te! Ma in che razza di mondo bacato del ca**o viviamo!? Dimmelo tu, Doc. Dimmelo tu, sei tu lo scienziato!

(Il ricercare conferma ed approvazione da parte del sottoscritto evidenzia nel paziente una certa insicurezza e carenza affettiva, probabilmente dovute ad un difficile rapporto con la figura paterna. In questa situazione, agli occhi del paziente, l’analista funge da surrogato del padre).

T: È evidente, in te, la presenza di un senso di insoddisfazione, di incompiutezza. A che cosa è dovuto? Che cosa c’è che non va nella tua vita?

(Il paziente scuote la testa e guarda nel vuoto. Rimane in silenzio per un minuto abbondante)

Pz: Lo leggi Open di Agassi, Doc?

T:

Pz: … e allora ascolta questo passo che conosco a memoria, è perfetto per l’occasione: “odio il tennis, lo odio con tutto il cuore, eppure continuo a giocare, continuo a palleggiare tutta la mattina, tutto il pomeriggio, perché non ho scelta. Per quanto voglia fermarmi non ci riesco. Continuo a implorarmi di smettere e continuo a giocare, e questo divario, questo conflitto, tra ciò che voglio e ciò che effettivamente faccio mi appare l’essenza della mia vita”.

(Il paziente si ferma e mi guarda, accennando un sorriso soddisfatto e cercando una mia reazione).

T: Dunque, sei un tennista?

(Il paziente scoppia in una fragorosa risata. Sembra pian piano iniziare a sciogliersi ed intenzionato a creare un rapporto col suo analista. Dopo qualche istante, tuttavia, cessa lentamente di ridere e mi fissa con sguardo tra l’incredulo e il severo).

Pz: Mi prendi per il cul*?

T:

Pz: Tu sai chi sono? Segui il tennis?

T: No… no, non seguo il tennis. Ma non è importante ai fini del…

Pz: Ma Cristo Santo, sei o non sei uno psicologo dello sport!?

(Il paziente sembra alterato. Appaiono sempre più evidenti i segnali di un difficile rapporto con la figura paterna: la rabbia repressa nei confronti del genitore trova adesso sfogo verso il suo analista, in maniera ASSOLUTAMENTE immotivata).

T: Sì, sì… certo che lo sono… ma non c’entra. Sai, io seguo solo il calcio ed un pochino l’atletica. Una volta ho anche avuto in cura uno sciatore, ma…

Pz: (si alza in piedi di scatto) Ma p**ca p*tt**a, ma che caz** ci faccio qui!? Mi mandano da uno che non sa nulla di me, neanche segue il tennis, e questo qui dovrebbe aiutarmi!?

(Il paziente adesso non appare semplicemente alterato: è proprio inca**ato nero. Emerge un altro aspetto estremamente importante: la difficoltà a gestire la propria emotività, anch’esso senz’altro dovuto ad una notevole carenza d’affetto e ad un difficile rapporto col padre. Soprattutto perché, ripetiamo, la rabbia verso il suo analista non ha NESSUNA ragione di esistere).

T: Ad onor del vero, il tennis non è uno sport così divertente. Anzi, diciamo la verità: è piuttosto noioso. Lo sai anche tu, l’hai detto prima che…

(Il paziente se ne va, sbattendo la porta del mio studio).

T: Ci vediamo mercoledì prossimo.

(CONCLUSIONI: il percorso è appena iniziato e non si può certo dedurre troppo da un solo incontro, ma sento già di poter dire che la strada sarà lunga ed irta di ostacoli. Il paziente presente numerose problematiche legate a grosse difficoltà emotive ed a dinamiche famigliari ancora oscure, ma certamente determinanti per quel che ha riguardato la formazione del suo disagio psico-emotivo. Certe esternazioni rabbiose – ribadiamo, immotivate ed ingiustificate – necessitano di tempi lunghi e di ripetuti approfondimenti affinché esse possano essere comprese appieno. Ed il comprenderle appieno è l’unico modo che abbiamo per poter intraprendere il percorso di rieducazione del paziente in questione.

Nelle prossime sedute, in base ai tempi di maturazione del paziente, ci proporremo di scavare a fondo nel suo vissuto personale, con l’obiettivo di ricercare l’origine della sua malattia, trovarla e rimuoverne le cause, affinché egli possa tornare a vivere una vita sana, ben inserito nella realtà sociale. Come detto, tuttavia, il cammino sarà lungo).

(Odio il mio lavoro. Lo odio con tutto il cuore).

by Claudio Albergo