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Miami Open 2019: One O One, Federer conquista in Florida il 28° Masters

Federer vince a Miami a distanza di 14 anni dal primo titolo in Florida…ora sono 101.

La partita

L’Hard Rock Studium non è uno stadio di tennis. È uno stadio di football dove nuotano i Delfini, è anche la casa degli Uragani. Però gli americani ci hanno sempre sorpreso e da qualsiasi impianto hanno tirato fuori un palco per qualsiasi sport. Pur di non perdere il torneo che nel 1985 era nato come Winter Slam, hanno ricavato una grandissima tribuna al centro di un grandissimo complesso. Il colpo d’occhio e pessimo, e niente e nessuno può far ricordare il bellissimo colpo d’occhio di Key Biscane, la baia con l’acqua che arriva fin dentro casa e con gli Hovercraft che contrabbandano cocaina.

Si fa un po’ di melina perché la partita che per tradizione si chiama “finale” e che gli americani chiamano “finals” al plurale, non si capisce perché, non esiste. Già alla vigilia c’erano dubbi su quanto avrebbe resistito il lungagnone del Nebraska che, almanacco alla mano, risulta il defending champion. Il match dura appena 2-3 secondi, il tempo di lanciare la monetina. Federer sceglie di risponde, come sempre fa con i big server, proprio per breakkarli quando ancora sono freddi. C’è un po’ di riscaldamento e poi è massacro. Long John serve come un cane fin da subito e il break iniziale è la mazzata già definitiva ad uno scontro che non ha motivo di esistere. Federer non è un big server, ma siamo lì. La superficie veloce, almeno rispetto a quella di Crandon Park lo ha agevolato e lo agevola. Partenza a razzo e subito 2 a 0 in un amen. I buoi sono scappati, però almeno qualche turno di battuta Isner lo deve tenere, altrimenti si potrebbe pensare male. Il 3° game è tenuto a 0 e forse non ci saranno bagel. Forse. Federer non lascia niente al caso e anche lui non perde punti al servizio. Tutto sembra presagire ad un set esay per Roger con uno solo break, ma ecco che la situazione precipita. Il servizio di Isner non funziona e quando lo fa lo scambio lo penalizza in toto. Poi si scoprirà perché, però la cronaca ci parla di un altro break e un 4-1 pesante. Ancora Roger al servizio e nessun punto perso. È in grande spolvero il tri-campione, però dall’altra parte non c’è nessuno. Terzo turno di battuta consecutivo a 0 e palla ancora a John. Non è proprio giornata. Al secondo break/set point si chiude il parziale. Sono trascorsi appena 24 minuti. Statistiche impietose per il campione uscente, che non doveva vincere, ma almeno giocare: 46% di punti vinti sul proprio servizio e appena il 26% del totale giocati. Insomma, un’ecatombe.

Finalmente nel secondo parziale la situazione si stabilizza e il servizio Made in USA inizia a dare i suoi frutti. Il problema dell’americano è che anche l’altro serve alla grande. Risultato: Tennis Bim Bum Bam. Straordinaria è la streak del numero 5 del mondo che colleziona 21 punti consecutivi al servizio prima di perdere un 15 nel 5° gioco che non vale nulla (anche in termini di winning probability). La soluzione più logica di questo estremo equilibrio sembra il tiebreak. Why not? Isner ne ha giocati e vinti 9 fino a ora. Record sia per tiebreak giocati in un torneo, 3 su 5  e 2 su 3, sia per quelli vinti. Ed ecco la sintesi della disgrazia. Il piede cede. Mannaggia, mannaggia! (grida quell’altro nell’altro canale). John chiede il Medical Time Out, ma non serve a nulla. La partita sarebbe stata persa lo stesso, così però fa male. A Federer non rimane che dare il colpo ferale ad un moribondo animale da soma. È finita. 6-1 6-4. Federer esulta e il pubblico un po’ lo fischia, ma conta solo risultato. “See you next year”. Mobbasta però.

Il torneo

Purtroppo, il torneo di Miami è sempre più bistrattato. La sua collocazione appena dopo Indian Wells lo mettono in secondo piano rispetto all’evento californiano che ormai è diventato di gran lunga il migliore dei tornei extra-Slam ad eliminazione diretta. Qui in Florida manca Rafael Nadal, e questa non è una notizia, ormai si sa che anche lui ha tirato un po’ i remi in barca e deve per forza centellinare gli sforzi e concentrarsi sul terreno dove gioca meglio che, manco a dirlo, è la terra battuta. Già le sue suole si stanno impolverando e sul suo profilo non manca di rassicurare i suoi tanti fan e non, già con un occhio a Monte Carlo.

Il protagonista è sempre e solo lui. Uscito malamente da una grande finale combattuta e decisa da pochi punti contro Thiem, c’erano molte perplessità circa la condizione di Roger Federer, ormai in balia di uno schedule che ogni giorno  diventa sempre più un’incognita misteriosa. L’anno scorso era uscito malamente contro 4K ancora frastornato e traumatizzato dal 40-15 della finale californiana contro Del Potro che aveva dato il colpettino alla sfera sul piano inclinato. Una sfera che andava sempre più verso il basso in un 2018 da rivedere, almeno quello post-Australian Open.

Ed è proprio la prima uscita contro Albot a preoccupare i Roger Fans. Lo spettro Ultra HD si sta per palesare con un mediocre mestierante della racchetta, che è il migliore della sua Nazione, sine dubio, però la sua Nazione è grande quanto un condominio. Ognuno di noi è il primatista di qualcosa rispetto ai proprio vicini di casa. Il primo set del secondo turno va a Radu, però tutto torna alla normalità e passatu u lampu, passatu u scantu. Si può dire che Miami l’ha vinto qui Federer, ma è ancora troppo presto per capirlo. Al terzo turno c’è il classico tennista one shot, quello di una botta e via: è Filip Krajinović l’avversario di Federer. Lo stesso Krajinović che arrivò in finale a Parigi, quella indoor, contro Sock in una partita che ha portato più sfiga di un patentato pirandeliano. La svolta è qui. L’avversario non è un granché, si sa, ma il tennis spumeggiante e, a tratti, quello dei bei tempi del 20 volte campione Slam dimostra una straordinaria condizione che basta e avanza in un circuito che sempre di più si discosta dalla visione monarchica autoritaria che si concretizzava nel dominio per aprire il ventaglio a soluzioni eterogenee che inglobano prestazioni di eccelso livello di chi non ti aspetti. Il serbo viene liquidato in 2 set. La stessa sorte spetta a Medvedev. Teoricamente sarebbe la testa di serie 13, però la sua grande incostanza in questo frangente lo colloca nella parte negativa del grafico che incornicia la sua carriera.

Ci sono i quarti di finale. C’è Kevin Anderson. Lo Struzzo, 2 volte finalista Slam. È lo stesso Anderson a parlare prima della partita e a dire che la finale di Wimbledon sarebbe andata diversamente se non avesse giocato quella partita di 6 ore con Isner. Gioia mia, NOLE ha vinto contro un Nadal deluxe, tu con Il Destino puoi solo perdere. A prescindere. La tds 6 è al rientro da un infortunio e si vede. È più vicino all’infortunio che al rientro. Se un big server non serve big c’è poco da fare. Rogerino ha sempre giocato alla grande contro questo tipo di tennista, figuriamoci contro uno menomato. Il bagel del primo set è solo il sigillo ad una partita con un solo giocatore in campo. Il secondo set serve solo alla burocrazia, lo sport è un’altra cosa. In semifinale c’è un teenager. E questa è una notizia. È un grande evento se ce ne sono 2. Non accadeva da Miami 2007 quando nel penultimo atto del torneo si sfidarono Novak Djokovic ed Andy Murray. 2 discreti pallacordari che avrebbero concluso qualcosa negli anni successivi. Purtroppo, qui i 2 teenager non sono nella stessa parte di tabellone per cui c’è il concreto rischio di trasformare il Teenage Dream in un Nightmare on Elm Street. Shapovalov è alla sua terza semifinale di un Masters 1000 e già ha battuto Nadal in Canada nel 2017. Facendo un po’ di conticini risulta che Denis ha vinto 1 partita in più di Nole alla stessa età nei Masters 1000. Conta poco, perché poi il serbo avrebbe vinto il titolo contro Canas. Però è essenziale che ci siano questi ragazzini a dare man forte al tennis che ha bisogno di nuove leve e nuovi campioni da tifare. A dirla tutta, si pensava che nessun under 20 avrebbe più potuto ambire ai piani alti del tennis, anche per come è organizzato il circuito. Lasciando perdere la sviolinata di Becker e Wimbledon Junior (mi pare che siamo su un livello di conoscenza un po’ superiore), è gratificante sapere che i giovani possano fare bene. Ci si aspetta la zampa importante, la zampata storica. Però questa non arriva. Federer è superiore. Il mancinismo di Shapovalov è solo un effetto collaterale di un bambino russo concepivo in Israele e canadese di nazionalità. Insomma, un ariano doc. Non è come quell’altro mancino isolano, per cui Rogé lo cuoce a dovere esibendo ancora un tennis di alti livelli che avrebbe potuto competere con le sue versioni migliori. Denis non esiste. Poi parte la solita retorica dei colpi, quelli che non ha preso Al, nel controbalzino magico. Però si compie sempre una sorta di ingiustizia nei confronti di Federer. È come se ci dimenticasse che Rogerino è questo. Un po’ come stupirsi che Meadowlark Lemon la metta da centrocampo. Si sa che è difficile, ma l’ha messa tante volte che è lecito pagare il biglietto per andare a vedere il canestro acrobatico.

Il 101sta è il protagonista, però nel cast non mancano tanti supporting actors, come li chiamano gli americani. Sembrerebbe naturale andare a parare sul numero 1 del mondo, ma come ad Indian Wells ha mancato l’appuntamento, questa volta però con troppa leggerezza. La sconfitta con il Pittore era stata un segnale. Quella con Agut è una dimostrazione chiara e lampante: Djokovic punta agli Slam. Si sa che i Masters 1000 sono importanti, e Nole è forse che quello che conosce questo teorema meglio di altri. Però è anche vero che la storia si fa nello storico 3 su 5 dei Major. Il suo obiettivo è fare il Grande Slam. Vincere quanti più Slam e, perché no, andare a prendere Federer anche se è lontano anni luce. È un Nole troppo brutto per essere vero. Vero nel senso di autentico e performante al 100%. Il Robonole visto a Melbourne qui non c’è ed è ancora Agut, come a Doha, a prendersi gli onori per aver battuto il numero 1 del mondo. Lo ha battuto 2 volte in questo 2019. È un bel record, che solo in pochi hanno registrato. Da qui a Parigi ci sono altri 3 tornei importanti, e non sarà un mistero vedere il numero 1 del mondo a mezzo servizio. Non c’è il minimo dubbio che al Bois-de-Boulogne darà tutto per battere il padrone di casa. Anche perché 10 ragazz…no 11 ragazze per me, posson bastare.

Una nota positiva e quasi commovente di questo torneo è Félix Auger-Aliassime. Il canadese, figlio di un mondo sempre più globalizzato, e mai un secondo impregnato del puzzo del secolo breve e più sanguinoso della storia, ha dato spettacolo nello Stato del Sole. Già a Rio aveva fatto vedere tanto, però quello era un torneino, qui si gioca su altro livello e lui ha saputo essere all’altezza della situazione. Felix ha 18 anni e mezzo e ricorda vagante un altro 18enne che fece bene fin da subito 15 anni fa. Allora però, nel 2004, eravamo ignoranti e non avevamo i mezzi per poter avere live le statistiche che poi sono la base delle proiezioni con tanto di intelligenza artificiale, machine learning e chi più ne ha più ne metta. Quindi era impossibile, per esempio, notare come i record di precocità di Nadal erano unici nell’era Open e sullo stesso piano, a livello di Masters Series, solo a quelli di Fabrice Santoro. Ora ci sono i mezzi, e per questo motivo “si pretende” di avere subito il grafichino per poter parlare di record. Quello più consistente e per certi versi straordinario è quello delle partite vinte nei Masters 1000. Ad oggi ha eguagliato Nadal e basta una sola vittoria da qui a 70 giorni per superarlo. Nessuno si aspettava che sarebbe risuccesso. Questo non vuol dire nulla, perché il futuro è sempre incerto e potrebbe succedere di tutto. Però vederlo qui, concreto, tangibile, fa bene. Certamente i meno avvezzi ai numeri mi scuseranno, però i numeri sono l’unico argomento su cui non ci sono contestazioni e soprattutto interpretazioni, interpretazioni che sono presenti sul gioco del canadese che non ha collocazione univoca come i suoi numeri. Salta subito agli occhi la potenza e la straordinaria velocità di braccio. Però ad oggi sono tutti dettagli. Sono importanti, ma sono aspetti migliorabili (cfr. Nadal). Quello che è più importante, al di là delle cifre, è l’atteggiamento di FAA. Un ragazzo serio, con la testa sulle spalle, un ragazzo che sa che deve lavorare. Insomma, un Fognini con la foglia d’acero. Scherzo. La sconfitta contro Isner in fondo è arrivata per pochi punti e non mancherà occasione per riscattarsi. Quello che però è più importante è mettere un altro tennista così “futuribile” nel circuito. Bene così.

I record

Conclusione

Deve ritirarsi a fine stagione e ora è il numero 1 della Race. Come la mettiamo? Inutile ribadire quanto di grande ha fatto e fa Federer. Non si renderebbe giustizia allo sportivo. L’unico modo per onorarlo è giudicarlo per quello che è, in un contesto in cui lui è una parte del tutto e non il tutto, come qualcuno vorrebbe fare credere. La vittoria di Miami chiude il cerchio di un anno giocato male, non ai suoi livelli. Trofeo importantissimo questo, vinto anche senza pressione e con il sorriso stampato. L’idea del ritiro non è lontana, però allo stesso tempo non è vicina. Un gatto di Basilea che vorrebbe rompere quella fiala per farla finita ma che allo stesso tempo vuole continuare per uno motivo semplice: che faccio quando mi sarà ritirato? Va bene il matrimonio, vanno bene i figli, ma questi aspetti, grazie ai soldini che arrivano ogni anno, sono del tutto gestibili e non mancherà tempo per raggiungere la nevrosi come noi comuni mortali alle prese con i familiari che rompono i cabbasisi. Come un moderno Achille, posto davanti alla scelta se: avere una moglie strafiga e una carriera mediocre o una moglie mediocre e una carriera strafiga, si vede benissimo che cosa abbia scelto. Quale è il suo destino? Morire sul campo con una freccia che colpisce il suo punto debole. Qual è? Le palle break.

Nessuno lo sa però questa è la settimana più buia della storia del tennis. Dopo tanti anni di copertura completa, in mezzo alla stagione c’è un buco. Si giocano i Challenger, e allora? Si giocano i Gruppi Zonali della Piqué Cup, chi se ne frega? Però…credo che c’è un buco grosso, ma anche che, i numeri, qualche statistichetta, le repliche, qualche analisi, i grafici. Beh, ogni tanto questo buco me lo riempiono.