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No, Ruggè, nun sei er tennis!

Hanno fatto discutere non poco le parole di Angelo Binaghi, presidente della FIT, circa la presenza di Federer gli Internazionali d’Italia. Ormai la polemica sembra essere passata, gli altri tornei sono andati avanti, c’è stato il ritorno di Nadal e Federer, come aveva annunciato, non ha partecipato a nessuno di essi. Ormai Binaghi è diventato un personaggio, oltre a essere il nostro presidente. Le sue dichiarazioni non sono mai scontate e sono spesso sopra le righe o fuori luogo (per alcuni). Il suo merito da presidente è stato quello di mantenere saldamente in alto il torneo di Roma che si disputa dal 1930 (allora si giocava a Milano) nella categoria appena inferiore a quella degli Slam. Inutile dire che le solite sparate sul 5° Slam non hanno senso, lo sappiamo benissimo, ma rimanere in alto e non precipitare di categoria o peggio ancora essere cancellati è un grande pregio in uno sport, come il tennis, in continua evoluzione. Nel 2009 venne varata la riforma del calendario e da allora si cominciò a parlare di Masters 1000, 1000 perché erano (e sono) i punti massimi che il torneo assegna(va) al vincitore della competizione e quasi tutto rimase come prima, ma il quasi è più importante del tutto, perché Amburgo, storico torneo tedesco sulla terra battuta, venne declassato ad ATP 500 (categoria nata sempre nel 2009) e al suo posto venne piazzato il Masters di Madrid che da indoor passò al clay della Caja Magica e grazie ai milioni dell’eccentrico Ion Tiriac riuscì a non farsi inghiottire dal progresso che avanzava. L’Oriente per la prima volta ebbe un torneo di grande impatto con Shanghai a prendere il posto di Madrid indoor. La brutta fine fatta da Amburgo poteva benissimo capitare a Roma ed è qui che vanno dati i meriti di Binaghi che, ancora presidente per diversi anni, avrà il gravoso compito di mantenere lo status attuale del torneo della Capitale anche dopo la riforma che ci farà nei prossimi anni.

Si sa che i giornalisti fanno il loro lavoro e spesso le domande agli intervistati sono tarate per avere una risposta piccante. Il presidentissimo interrogato sull’assenza di Federer ha sentenziato:”Guardate, state parlando con uno che è sempre stato un grande tifoso di Rafa Nadal. Dopotutto Federer non ha neanche mai vinto qui e non credo che abbia dei bei ricordi considerando che avrebbe dovuto vincere almeno due volte”. Di questa risposta sibillina fa un po’ scalpore il riferimento a Nadal. Certamente questa uscita Angeluccio se la poteva risparmiare, ma è altrettanto importante sottolineare un punto chiave del discorso, ossia: il tennista non è più importante del torneo. Tutti i Federer fans si sono alzati per condurre una sommossa, che giustificabile data la frecciatina contro il 18 volte campione Slam mai vincitore nella capitale nonostante sia andato diverse volte vicino al successo: famose sono i 2 match point sprecati contro Nadal nella finale del 2006 in una delle più belle partite giocate sulla terra battuta, tanto bella che non se ne vedeva una così affascinante forse dalla finale del Roland Garros 1984 tra Lendl e McEnroe.

Archiviato il personaggio ingombrante e scomodo come Rogé Binaghi ha ribadito IL concetto base:” Penso che, come è successo a Wimbledon quando ci fu lo sciopero di tutti i giocatori, un evento come il torneo di Roma sia più forte delle assenze dei grandi giocatori e dei campioni. Infatti quest’anno batteremo ogni record di incasso e biglietti venduti“. L’episodio cui si riferisce è l’edizione 1973 dei Championships. L’allora yugoslavo Nikola Pilic era stato squalifica dall’ITF, che gestisce gli Slam, per un anno a seguito della sua mancata presenza dopo la convocazione ad un tie tra la Jugoslavia e la Nuova Zelanda. La squalifica venne ridotta ad un mese, ma fu sufficiente ad estrometterlo dal torneo più importante del circuito. I giocatori allora protestarono contro questa decisione, e per essere solidali con Pilic, non presero parte al Torneo di Wimbledon. In realtà la questione è ben più ampia, ma possiamo sintetizzarla dicendo che l’allora neonata ATP, l’associazione dei tennisti professionisti, voleva fare sentire la sua voce e tutelare gli interessi dei suoi soci contro la sempre bigotta e austera ITF. Binaghi dice che “tutti i giocatori scioperarono“. Non è vero. Il torneo si giocò lo stesso e il tabellone a 128 non venne scompaginato. Ci furono tantissimi lucky loser che presero il posto degli scioperanti e tutto andò come previsto. Jan Kodes vinse su Metreveli, e questo conta poco, ma quello che conta è che nonostante la defezione di 80 giocatori tra i primi al mondo Wimbledon registrò il 2° più alto afflusso di spettatori della sua storia, circa 300.000 presenze. Ecco, nonostante non ci fossero i più forti e molti big, a partire dal detentore del titolo Stan Smith, il pubblico rispose alla chiamata del tennis che vive di tornei e non solo di personaggi.

I tornei fanno i tennisti e i tennisti fanno i tornei, ma chi è nato prima? Qui siamo alla solita domanda ingannevole o che non può avere una risposta immediata come quella dell’uovo e della gallina. Ma nel caso del tennis la bilancia questa pende leggermente verso i tornei. La data tradizione della nascita del tennis è fissata nel 1877 anno in cui venne disputata la prima edizione del Torneo di Wimbledon. Ci scuseranno i partecipanti di quella manifestazione ma quelli non era o proprio tennisti, o meglio lo sarebbe diventati dopo la partecipazione a questo evento. Il vincitore Spencer Gore era un “tennista” in senso lato, lawn tennis player avrebbero detto allora, ossia non proveniva da sport simili con racchette e palline ma con altre regole come il finalista William Marshall che proveniva dal real tennis. Il tennista Spencer Gore prese parte alla seconda edizione di Wimbledon perdendo nel challenge round da Frank Hadow, un altro “turista” prestato al tennis che dopo questa vittoria si ritirò per giocare a cricket. Quindi i tennisti andavano e sparivano ma il torneo rimaneva e a poco a poco iniziò a diventare un evento mondiale e nessuno si sarebbe sognato di anteporre la presenza di un giocatore al torneo stesso. Magari non sarà esistito un Binaghi che prende il tè alle 5 del pomeriggio che intervistato:”Che ne pensa dell’assenza di Frank Hadow?” abbia risposto:”Hadow? No, io ho sempre preferito Marshall“, ma nessuno nel 1879 si è strappato i capelli per l’assenza del campione uscente.

La forbice torneo-tennista si allarga maggiormente e irreversibilmente con la nascita del professionismo. Inutile stare a ribadire qualcosa che dovreste già sapere, di Vincent Richards primo dilettante a diventare professionista nel 1926 poi seguito da Tilden nel 1930 e via via tutti gli altri a partire da Vines, poi Perry, Budge per finire con Rosewall e Laver. I campioni diventavano professionisti e non potevano partecipare ai grandi tornei, compresi quelli del Grande Slam. Nonostante il tentativo di creare degli omologhi ai Major amatoriali i tornei professionisti non sfondarono mai e nonostante l’assenza delle stelle a Wimbledon e US National Championships c’erano molti più spettatori di un London Indoor Pro Championships, il torneo che si giocava alla Wembley Arena, quindi parquet indoor, sponsorizzato in primo luogo dalla leggenda Tilden e nato nel 1934 per essere superiore a Wimbledon. Per quanto i montepremi aumentavano di anno in anno gli spettatori preferivano andare ai Championships piuttosto che andare a vedere qualche partita alla Wembley Arena. Anche dall’altra parte dell’Oceano accadeva lo stesso. Per quanto le prime tappe dei tour professionistici facessero registrare numeri da record come i 16.000 della sfida tra Riggs e Kramer al Madison Square Garden nel dicembre 1947 le altre era poco seguite e quando i professionisti si incontrava per giocare nella splendida cornice del West Side Tennis Club di New York lo US Pro Championships gli yankees preferivano andare a vedere il torneo dei dilettanti piuttosto che Riggs, Kramer, Segura o Pancho.

Tutti i professionisti sognavano di ritornare a Church Road per disputare il Torneo di Wimbledon, là dove era diventati grandi, ma l’ITF per tanti anni ha fatto lo gnorri perché nonostante tutto i dilettanti attirano sempre più pubblico anno dopo anno. Finalmente con la riforma del 1968 e la nascita dell’era Open i migliori tornarono a disputare i tornei più importanti ma nel corso degli anni ci fu modo per alcuni grandi campioni di farsi notare per la loro assenza, ma come sempre il torneo fu più forte del giocatore. E’ il caso degli Slam con gli asterischi citati in questo articolo di cui fa parte Wimbledon 1973 ma ce ne sono diversi altri. Il primo della lista è il Roland Garros 1974 che preferì bannare Connors vincitore degli Australian Open per via della sua firma in un contratto per giocare nella World Team Tennis. Ad oggi tutti danno torto alla FFT, la federazione francese, ma in quell’anno non si facevano sconti a nessuno, compresi i grandi campioni. Qui è il caso opposto di Federer, Connors voleva partecipare ma gli fu impedito, a Roma Roger non vuole partecipare e si cerca di far pesare la sua assenza. Jimbo non parteciperà allo Slam francese fino al 1978, ritorna nel 1979 ma in quei 5 anni di assenza Philippe Chatrier, il presidentissimo francese, non si è certo disperato. “Connors? Ho sempre preferito Nastase“, forse gli sarà scappato. Sempre in quegli anni Borg preferì giocare delle esibizioni nel 1977 rinunciando al Roland Garros, scelta folle col senno di poi, plausibile in quegli anni, ma l’avere gettato al vento l’occasione di vincere uno Slam, anzi il suo Slam per Bjorn non è stato un toccasana per lui, ma Philippe rifiuta e va avanti.

In anni recenti qualcuno si è permesso di saltare Slam, ma ormai il gap torneo-campione era talmente ampio che nessuno se ne è accorto più di tanto. E’ il caso di Andre Agassi che da affermato campione non giocò a Melbourne fino al 1994 per poi vincere nel 1995. Tanti anni di assenza che non hanno fatto rumore e sono visibili solo per mezzo dei database che raccolgono statistiche. Mah, non siamo così cinici, forse qualche agassiano se ne sarà accorto che Andre non c’era agli Australian Open soprattutto dopo aver vinto Wimbledon nel 1992. Altri big saltavano sistematicamente Wimbledon, i cosiddetti terraioli: Kuerten non andò a Londra dopo aver vinto il Roland Garros nel 2001 e poi l’anno successivo. Bruguera, che dal 1989 al 2002 partecipò ai Championhips solo 4 volte su 13. Qualcuno se lo ricorda? Pochi, ma non tanto da fare così clamore. Nel nuovo millennio le assenze riguardano i Masters, Monte Carlo sta con un piede dentro e uno fuori, Bercy è sempre in bilico essendo collocato a fine stagione e a ridosso delle Finals e meno male che da pochi anni a questa parte hanno piazzato una settimana cuscinetto tra i 2 eventi.

Dispiace per Roger, ma la tua assenza a Roma non sarà così fondamentale, i record di incassi verranno battuti, ci saranno grandi match e gloria per il vincitore e magari una personcina educata si alzerà sul Pietrangeli e dirà:”No, Ruggè, nun sei il tennis!“.