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Questi o quelle per me pari sono, tennis maschile vs tennis femminile

Battle of Sexes

Hanno fatto tante discutere le dimissioni di Raymond Moore, tennista sudafricano, che ha ottenuto discreti risultati in singolare e buoni in doppio, che ha usato una espressione poco felice circa la differenza sostanziale che c’è tra il tennis maschile e quello femminile dicendo, secondo quando riportato dai giornalisti, che “le donne dovrebbero inginocchiarsi davanti a Federer e Nadal“. Ora non sappiamo che parole esatte abbia usato, ma se i toni e il modo sono da stigmatizzare forse nella sostanza non ha tutti i torti e ci sono dei fondamenti ben precisi in questo concetto che è chiaro per molti, ma non per tutti a quanto pare. La WTA oggi come oggi ha molti meno introiti dell’ATP e anche a livello di Slam, che sono organizzati dall’ITF, le donne non se la passano meglio rispetto agli uomini, basta guardare i dati di quello che in Italia chiamiamo Auditel per renderci conto che i match dei tornei maschili sono molto più appetibili e hanno un maggiore pubblico rispetto a quelli femminili. Tutto questo, seguendo una logica che sta alla base del capitalismo, dovrebbe riflettersi su una proporzione diversa riguardo i montepremi degli uomini che dovrebbero essere molto superiori a quelli delle donne, invece negli Slam sono esattamente uguali e non si capisce perché debba essere così visto che sono gli uomini a generare maggiore profitto. Questo non vuol dire che la WTA sia da buttare o che non dovrebbe esistere, ma dovrebbe inchinarsi a quella che è una evidenza matematica che porta sul piatto numeri e statistiche piuttosto che ragioni politiche, sociologiche e ideologiche che lasciano il tempo che trovano. Questo problema che è emerso durante il torneo di Indian Wells ed è vecchio quando il mondo del tennis e fin tanto che non ci si doveva spartire la torta degli introiti tutto è andato bene, ma quando, a partire dall’era Open, tutti hanno cominciato ad avere un tozzo di pane perché giocavano a tennis e vincevano qualche torneo allora la situazione si è complicata parecchio.

Visto che il problema sta all’origine dobbiamo prendere una De Lorean trasformarla in una macchina del tempo e andare nel 1877 dove tutto è cominciato. So che molti sanno di questa storia ma è meglio ricordarla perché molto spesso ci si dimentica da dove si è partiti e così non si riesce ad arrivare ad una verità condivisa. Nel 1877 venne disputata la prima edizione del Torneo di Wimbledon che era riservata esclusivamente agli uomini. Quella edizione fu fatta quasi per gioco e l’assenza delle donne non destò il ben che minimo scalpore anche perché nella società vittoriana della Gran Bretagna era difficile in qualche modo pensare che le donne potessero essere sullo stesso livello degli uomini. Il problema inizia ad essere reale a partire dal 1879, quindi 2 anni dopo la prima edizione di Wimbledon, quando venne disputato il primo vero torneo importante femminile (anche se alcune testimonianze parlano di eventi antecedenti a questo) che è l’Irish Championships del Fitzwilliam Lawn Tennis Club di Dublino. Allora Dublino e l’Irlanda tutta facevano ancora parte del Regno Britannico e quindi questo torneo è da considerarsi a tutti gli effetti britannico e non irlandese. Il torneo era quello che oggi definiremo “combined” ossia riservato sia agli uomini che alle donne, una grande rivoluzione del mondo del tennis e dello sport in generale. In nessuna attività sportiva agonistica di fine ‘800 si potevano trovare tornei che mettessero sullo stesso piano uomini e donne. Il calcio, il cricket e il rugby in Gran Bretagna, il football, il baseball e il basket negli USA potevano solo sognarsi questa parità di trattamento e, come se non bastasse, basti pensare ai primi Giochi Olimpici del 1896 per renderci conto della situazione. Per quanto Pierre de Courbetain fosse un rivoluzionario per l’epoca, oggi verrebbe etichettato come sessista e maschilista, perché ad Atene nel 1896 non invitò nessuna donna a partecipare in nessuna disciplina, ma questo desta scandalo oggi, ma ai tempi, come già ripetuto in precedenza, era tutto nella norma.

La formula del combined piacque molto agli organizzatori dei primi tornei di tennis, che, come è facile immaginare, erano dei semplici eventi di club in cui partecipavano solo i più abbienti. Questo successo fu talmente apprezzato che nacque una specialità più unica che rara in tutto l’ambito sportivo, stiamo parlando del “Doppio misto“. Uomini e donne potevano giocare insieme, qualcosa di mai visto fino a quel momento e che anche oggi è rarissimo da vedere, se non in qualche gara a squadre tipo staffetta nello sci nordico, o nelle gare di tuffi e basta, ma mai uomini e donne sono contemporaneamente in campo. Quello che non tutti sanno e che tutti i tornei o quasi erano combined e così negli almanacchi che riportano i risultati dell’epoca è quasi sempre facile trovare il nome dei vincitori maschili vicino a quelli femminili. Questo succede soprattutto nei tornei americani che fin dalla fine dell’800 avevano organizzato un circuito vero e proprio che in alcuni aspetti aveva la stessa struttura di quello attuale.

Tutto va alla meraviglia e più passa il tempo e più il tennis prende piede nei Paesi maggiormente sviluppati e uomini e donne sono felici e contenti fino a che qualcuno non mette sul piatto un dollaro. A compiere questo gesto e folle è Charlie Pyle che nel 1926 organizzò un primo primordiale circuito professionistico, per professionistico leggasi soldi in bocca. Qui casca l’asino. Perché fin tanto che i tornei sono dilettantistici e nessuno dei partecipanti non guadagna niente non succede nulla, ma quando c’è da spartirsi la torta allora nascono tante questioni. Per fortuna all’inizio il fenomeno professionismo era relegato a semplici esibizioni e i primi pionieri di questa rivoluzione silenziosa furono Vincent Richards per gli uomini e Suzanne Lenglen per le donne. Solo che ad un certo punto, come in una Sliding Doors, il tennis professionistico femminile dopo il prematuro ritiro della Divina (unica e sola con buona pace della Sharapova o ancorché di Federica Pellegrini) e la sua dipartita, di fatto scompare, i tornei professionistici a in gonnella sono rarissimi e del tutto irrilevanti dal punto di vista statistico e storico, invece gli omologhi maschili hanno un successo straordinario e a guidare la rivoluzione è Bill Tilden che in quegli anni, stiamo parlando degli anni ’30 è il tennis. E’ Big Bill a guidare la truppa dei pro in tutto e per tutto e spingere i dilettanti a diventare professionisti per giocare in un circuito in cui ci sono i migliori. Dopo Tilden, Don Budge diventerà pro, il primo uomo della storia a fare il Grande Slam, e allora tutto cambia. I tornei dello Slam e la maggior parte restano amatoriali, ma i migliori sono altrove a giocare e a guadagnare qualcosa, poco, ma pur sempre qualcosa. Questo significa che le donne restano per tanti anni confinati nel loro regno incantato e immacolato del dilettantismo e nessuna ha la ben che minima intenzione di diventare professionista per tanti e tanti anni.

La forbice tra dilettanti e professionisti diventerà sempre più ampia fino a sfociare nella nascita dell’era Open in cui finalmente i professionisti tornarono a giocare i tornei del Grande Slam e tutti quei tornei più o meno importanti da cui erano stati banditi. Questi tornei erano e sono combined per cui si crea un certo disallineamento che era facile prevedere ma che nessuno all’epoca aveva preso in considerazione. I tennisti maschi professionisti erano affermati e già da tempo percepivano una parcella per le loro prestazioni, invece le donne si trovavano per la prima volta ad essere pagate per le loro prestazioni, ma le prime professioniste, tra tutte Billie Jean King, non avevano mai ricevuto soldi in passato e i tornei a cui partecipavano non avevano lo stesso appeal degli eventi in cui c’erano Laver, Rosewall e soprattutto Pancho Gonzales, che negli anni ’60 era considerato come un totem del tennis mondiale. Professionisti e professionistiche convissero per un breve periodo nella prima lega professionistica dell’era Open che era la National Tennis League, con Rod Laver, Roy Emerson,  Ken Rosewall, Pancho Gonzales, Fred Stolle e Andrés Gimeno da una parte e Billie Jean King, Francois Durr, Rosie Casals e Ann Haydon-Jones dall’altra. Ma quello che dava fastidio soprattutto alle donne era la disparità dei montepremi nei tornei combined tutti sbilanciati a favore degli uomini con un rapporto di 12:1 rispetto a quelli femminili. Questo portò ad una protesta costante soprattutto da parte di Billie Jean King che sfocerà nella clamorosa finale del Pacific Southwest Championships del 1971 quando Billie Jean e Rosie Casals abbandonarono il campo contemporaneamente quando erano sul punteggio di 6 pari del primo set destando le ire di Jack Kramer che squalificò le due giocatrici che non ricevettero mai compenso, però quella protesta fu l’inizio di una rivoluzione che ben presto avrebbe portato all’equiparazione dei prize money riservati alle donne con quelle riservati agli uomini, soprattutto nei tornei del Grande Slam. L’evento spartiacque fu la famosa Battaglia dei Sessi giocata il 20 settembre 1973. Bobby Riggs, famoso tennista degli anni ’40 e ’50 era convinto che nonostante l’età, 55 anni, avrebbe battuto le migliori tenniste del circuito. A sfidarlo fu Bille Jean King che riuscì nell’impresa di battere Riggs per 3 set a 0. Certamente quella che si giocò a Houston davanti a 30.000 spettatori paganti e 90 milioni davanti alla TV fu un’esibizione un po’ pilotata, ma il senso di quell’evento era chiaro: le donne dovevano avere lo stesso trattamento delle uomini. Il seme era piantato e ben presto con la nascita del Virginia Slims Circuit femminile le donne iniziarono a guadagnare quanto gli uomini e gli eventi di tale circuito non avevano niente da invidiare a quelli maschili del Grand Prix e WCT con i dovuti distinguono.

Quello che appare evidente è che gli eventi maschili avevano sempre maggiori spettatori rispetto ai tornei femminili anche se la rivalità tra Martina Navratilova e Chris Evert aveva fatto lievitare gli introiti rispetto al passato e il tennis femminile aveva acquisito una sua dignità. Con la nascita poi dell’ATP Tour e del WTA Tour i due sessi viaggiano in parallelo ed era facile vedere sugli stessi campi uomini e donne con montepremi del tutto simili se non uguali nei tornei del Grande Slam. Ora il punto è: è giusto che le donne guadagnino quanto gli uomini? Io penso che sia la domanda ad essere sbagliata, la domanda potrebbe essere: ma i guadagni a cosa dovrebbero essere proporzionati? Se una finale Federer-Djokovic fa guadagnare 100 e una finale Pennetta-Vinci 10, perché i corrispettivi dovrebbero essere uguali? Qui non stiamo parlando di prestazione o fatica, il famoso 2 su 3 contro il 3 su 5, ma di introiti. Se una persona qualsiasi fa un punto nel circolo sotto casa non guadagna nulla e se lo fa Federer guadagna milioni un motivo ci sarà? Qual è? I soldi che fa girare, è chiaro. Più soldi fai girare e più tu guadagni, è un discorso freddo e razionale, ma è questa la base del capitalismo, che non si applica solo al mondo del tennis, ma del lavoro in generale, forse è sessista, razzista, e tutte le -iste che volete ma si applica in tutti i posti del mondo, quindi perché il tennis dovrebbe esserne esente. Se una finale femminile ha maggiori introiti di quella maschile, per caso, perché dovrebbero le donne guadagnare quanto gli uomini? Le donne dovrebbero guadagnare di più senza se e senza ma.

Tutte queste riflessioni sono solo teoriche, nel senso che non c’è una vera emergenza nel circuito per cui si devono necessariamente cambiare le carte in tavole. Il tennis, forse come pochi sport, sta ingrandendo sempre di più i propri introiti e non si vede perché cambiare la rotta, ma se mai ci saranno dei problemi come calo di introiti allora si potrà fare una riflessione seria e soprattutto operativa, fino ad allora godiamoci il tennis così come ci viene presentato con tutti i suoi pregi e i suoi difetti.