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Non chiamiamolo FAB

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Non chiamiamolo FAB, fabulous, né tra i 4 né come quinto, né ora né mai. Non perché Wawrinka sia, a differenza degli altri 4, un campione giovane. Non anagraficamente, ma tennisticamente è quasi nuovo. Semplicemente perché in più di una occasione, durante l’anno, si dimentica di esserlo. Ma la vittoria agli US open, quella sì, un qualcosa di favoloso ce l’ha. Accantoniamo le frasi ad effetto e la mitologia che circondano Stanislas:  Stan the man, l’uomo dalle 11 finali consecutive vinte, svizzera 2 ora più 1 che mai, dito alla tempia e animali vari connessi alla sua stazza. Stan non ha giocato un torneo all’altezza del Roland 2015, per quanto anche in quell’occasione si svegliò dagli ottavi, sonnecchiando e non facendo faville i primi turni. L’impressione che ha dato fin dai primi match è che fosse fisicamente sofferente al caldo, oltre ad avere uno, o forse più, bendaggi alla cavigliapiede. E se anche dopo la finale lui stesso ha ammesso di aver avuto crampi per parte del terzo e quarto set,  vien da dire che la stanchezza era reale. Eppure è anche su una condizione atletica superiore a quella dei suoi avversari che Wawrinka ha costruito il suo successo, restando in campo più di 21 ore in sette partite,  in condizioni ora ventose, ora di forte umidità, col tetto aperto e poi al chiuso, di pomeriggio e di sera. Ma la vera favola è stata la sua tenuta mentale. Dito o non dito, sotto quella tempia c’è una mente che si è rivelata inviolabile. Racconta Stan che, pur sentendosi a pezzi, prima della finale, aveva deciso insieme al suo coach di non lasciar trapelare nulla, nessuna sofferenza, nessuna debolezza. Proprio lui che quando è in giornata no, si presta a scenate e lamentele per ogni cosa, tipo il rumore dei piatti sulla terrazza del centrale di Montecarlo. Calma olimpica. Ha impressionato, più ancora della tenuta atletica, della sopportazione silenziosa del dolore, l’intelligenza tattica mostrata in tutto il torneo, dispiegata con una calma, lucida freddezza da killer. Contro Nishikori, ha dichiarato che lo vedeva in difficoltà fisica nel secondo set, perciò ha cercato di tenerlo sempre un metro fuori dal campo, colpendo maggiormente in topspin e variando spesso i colpi, cambiando ritmo, per sfiancarlo. Stessa tattica contro Del Potro, sulla cui performance atletica c’erano legittimi dubbi, dato il recente rientro e la finale giocata a Rio.

La maglia del suo trionfo è stata filata attraverso la fatica, tessuta a denti stretti, imbastita di intelligente tattica e cucita di determinazione. Lui stesso lo ammette: stavolta non voleva fare un buon torneo, voleva vincere, ad ogni costo. Una frase riassunta nel match point salvato contro Evans. Forse però qualcuno a quel punto del torneo poteva dire che era uno Stan distratto, non in condizione, non centrato. Ma quando tiri fuori gli artigli in finale contro il numero uno del mondo, si spaventa pure lui. Perché è questo che, al netto di infortuni al piede e problemi al servizio per Nole, crampi e errori non forzati di Stan, ha deciso la finale. 14 palle break salvate su 17. 6 palle break su 10 convertite. Nole stesso ha ammesso di esser andato fuori di testa, aver perso il controllo della partita. Capita, ha detto. Sì, lo capiamo. Capita soprattutto quando l’avversario fa paura. Non quanto a Melbourne ’14 e Parigi ’15, ma i 46 vincenti di Stan nella finale di New York farebbero cadere molte teste, su ogni campo di gioco. Ma dopo questo US open, si potrà smettere di parlare di Wawrinka come GOAT dei picchi di gioco: ha dimostrato di saper vincere uno slam anche senza potervi contare.

E se non è favoloso questo…

by BB

Non di solo Nole vive il tennis. I momenti OOOOH del 2015

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Iniziamo oggi una nuova rubrica a cura di voi utenti che avete voluto dedicare un poco del vostro prezioso tempo per scrivere un racconto, un articolo, una raccolta di emozioni che il 2015 tennistico ha lasciato nella vostra mente. Il primo racconto della serie è della nostra BB.

 

2015, anno del cannibale. In un pianeta tennistico desertificato, raso al suolo dalla forza devastante di Atomic Noiak, pochi superstiti lottano per la sopravvivenza, alla ricerca spasmodica di un’oasi di gloria. Si trascinano affamati da un torneo all’altro, bramando le briciole lasciate dal dominatore.

Ma come nel buio basta una fiammella a far luce, così nella storia ATP 2015 i sussulti di orgoglio dei ribelli hanno saputo destare un “Ooooooh” .

Ooooh di stupore, sorpresa, commozione, delusione, rammarico, rabbia. Piccoli grandi Ooooh che sussurrando sgusciarono via dalla noia.

“Ooooh che classe!” Roger sconfigge Nole a Dubai, con una grazia e leggiadria tale da farlo sembrare una visione nel deserto, un ologramma danzante sul campo, un semidio senza età né tempo. Fare tesoro di quell’oooh, ce ne saranno ben pochi altri.

“Oooooh è l’anno buono!” Stan imbrocca la prima settimana da animale a Rotterdam, battendo in una finale di alto livello e in rimonta un ottimo Berdych, dato per favorito prima del match.

“Ooooooh è tornato, anzi no!” Rafa ingrana la quinta marcia nel match contro Raonic a Indian Wells, tornando a lanciare banane(shot) sulle righe, per poi ammosciarsi sul più bello, visibilmente affaticato, lontano dalla sua consueta iron-mind.

“Ooooh ma su terra è tornato davvero! Anzi, no!” Rafa sbriciola Berdych 6-1 nel secondo set in semifinale a Madrid, facendo partire un filmino del King of clay che fu. Anzi, no: il filmino si inceppa sul più bello e sul campo della finale si rivede ZombieNadal, protagonista di un film horror di serie B, girato in casa peraltro.

“Oooooh troppo bello per essere vero, ma è tutto vero!” Santo Stanislas compie il miracolo, l’impresa di vincere il Roland al posto di sua maestà l’imperatore della terra rossa Rafael Nadal, strappandolo alle grinfie di Nole. L’eco di quell’oooooooh risuonerà a lungo.

“Oooooh e finalmente!” Benoit Paire vince a Bastaad il suo primo ATP, conquistando così in un anno solare sia un challenger che un futures che un atp. A fine anno raggiungerà il suo best ranking al numero 19 e il premio di best comeback of the year, meritatissimo. OOOOH, allez benoit!

“(T)Oooooh un 500!” e Rafa che, persa forza, perso il dritto, persa freddezza mentale, ha tutte le armi spuntate, tranne il cuore, e torna ad Amburgo per vincere il suo unico torneo 500 dell’anno. Di puro orgoglio.

“Ooooh suonale ancora a Nishi” L’indomito cavallo pazzo purosangue Paire batte e ribatte il numero 5 del mondo Kei Nishikori, soprannominato Sushi per la sua durezza e resistenza fisica e mentale. Lo fa al primo turno degli US Open, negandogli un comunque impervio cammino verso la finale che difendeva, e in semifinale a Tokyo, negandogli la difesa del titolo. Ooooh si, bestia nera anche nel 2016!

“Oooooh, amarcord il Fedal!” e dopo non so più quanti mesi e quante ragnatele accumulatesi sulle loro sfide, torna il più amato dei duelli, tra i due più amati degli anni 2000. In finale, oltretutto. Vince Roger sul superveloce di casa sua, ma va bene così. Grazie, ragazzi.

“Oooooh che quarti!” Sarà perché li ho visti dal vivo, ma Andy-Gasquet al terzo, Isner-Ferrer pure e soprattutto quattro tie break di fila, han dato luogo a una maratona di tennis e tifo stremante, finita all’una di notte. E se fossero andati al terzo pure loro? Oooooh no, non avrei più avuto voce.

…..di Breaking Bad (BB).

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