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US Open: 10 match memorabili – Parte I

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Considerato al 2° posto come importanza dietro a Wimbledon, gli US Open sono stati molto spesso teatro di incontri memorabili che sono rimasti nella storia. Da sempre il torneo più ricco del mondo ha cercato di avvicinarsi allo Slam londinese mettendo in primo piano l’innovazione e la tecnologia, non a caso è stato il primo Slam ad introdurre in tiebreak nel 1970, il challenge nel 2006 e ad avere il più grande stadio del mondo, l’Arthur Ashe Stadium, che con i suoi 23.000 posti non ha eguali nel mondo. Per diverso tempo lo Slam a stelle e strisce è stato il più importante torneo del mondo, essendo frequentato dai tennisti di casa che dominavano il circuito mondiale, per cui gli altri colleghi dei Paesi europei si trasferivano negli States per sfidare i migliori mentre a Wimbledon non andavano gli americani, evenienza da non trascurare in un eventuale confronto tra vari tornei. Molto complesso considerare l’era pre-Open anche se le cronache ci parlano di grandiosi match per cui l’attenzione va dal 1968 in poi. Come tutte le altre top 10 non vuole essere una classifica ma piuttosto una selezione.

Back to Black

10) 1968. Finale Arthur Ashe b. Tom Okker 14–12, 5–7, 6–3, 3–6, 6–3

La prima partita non poteva non essere la finale del 1968. Per la prima volta a New York si gioca il tennis Open con tutti i migliori del mondo al via. Come accadeva spesso in quegli anni professionisti e dilettanti partecipavano agli stessi eventi e anche se, come è logico pensare, i pro erano sulla carta erano superiori agli amateur, molto spesso capitavano delle sorprese. E’ il caso di Arthur Ashe, 24enne nero di Richimond, che riesce a conquistare lo Slam americano da dilettante e per questo motivo non riceve nessun premio in denaro se non la coppa del valore di $280, contro i $14,000 che vanno al finalista, l’olandese Tom Okker. La sorpresa è veramente grossa anche col senno di poi: nessun giocatore di colore aveva vinto gli US Open e nessuno l’avrebbe vinto in seguito. Il tenente dell’esercito Ashe riesce a sconfiggere il più quotato Tom Okker in una maratona durata 3 ore e conclusasi con il punteggio di 14-12, 5-7, 6-3, 3-6, 6-3 (ancora non era stato introdotto il tiebreak). Per Arthur si tratta della 25a partita vinta consecutivamente che lo fanno diventare il numero 1 del mondo sia tra i pro che i dilettanti. La partita è stata un climax di emozioni: per le prime 2 ore c’è stato un grande equilibrio e lo testimonia anche il punteggio, ma è nel 5° set che si è raggiunto lo zenith. Ashe, dopo aver perso malamente il 4° set, reagisce subito e nel 5° si porta subito avanti 2-0. Preziosi sono i ricami di Arthur con un lob perfetto sul punteggio di 30 pari e con Okker costretto poi a sbagliare una volèe facile di rovescio che va a rete. La partita si conclude con l’americano che vince la sua battuta a zero, va a rete per dare la mano ad Okker, non c’è tanto entusiasmo (a quei tempi difficilmente si vedevano esultanze esagerate). Le statistiche della partita registrano 28 ace per Ashe contro gli 11 di Okker che però ha commesso anche 8 doppi falli contro i 5 dell’avversario. Ashe dirà:”Ho guardato sempre avanti e non ho mai pensato a quello che era successo e guardato indietro“. Siamo nel 1968 in piena rivoluzione culturale e qualche domanda non può non andare al razzismo che ancora imperversa negli USA, Arthur non vuole entrare nel merito della questione limitandosi a dire:”Un uomo deve essere libero di prendere le sue decisioni“. Arthur morìrà nel 1993 a causa dell’AIDS, ma per il suo grande contributo umano rimarrà per sempre, non a caso il centrale degli US Open è dedicato a lui.

Ultimo tango a New York

9) 2002. Finale Sampras b. Agassi 6–3, 6–4, 5–7, 6–4

Non poteva andarsene come uno qualunque. Non lui. Il record man di Slam (13 fino a quel momento) aveva deciso che voleva chiudere con il botto. Per tutti il 2001 non aveva vinto nessun titolo e tutti gli chiedevano perché non si ritirasse, una domanda legittima, anche se Pete aveva solo 30 anni. Umilmente era ritornato a lavorare su se stesso anche se aveva rimediato delle cocenti batoste soprattutto a Wimbledon. Nel 2001 aveva perso contro uno sconosciuto svizzero così come nel 2002, ma il primo avrebbe messo in cantiere una carriera leggermente superiore al secondo. Inutile dire il nome del primo tennista, più utile quello del secondo: tale George Bastl scomparso dopo questo splendido upset. A New York Pete si presenta da numero 17 del mondo e con un nuovo coach. Abbandonato lo storico Annacone, succeduto a Tim Gullikson, l’americano si era affidato al fratello gemello Tom per ritrovare se stesso.

Agevolato da un tabellone non proprio proibitivo (più difficile era stato quello del 2001 con la finale persa contro Hewitt) si presenta all’atto conclusivo e ad aspettarlo dall’altra parte della rete c’è il rivale di sempre Andre Agassi. Quest’ultimo aveva dovuto affrontare una semifinale molto complessa contro il numero 1 del mondo Lleyton Hewitt a differenza di Pete che ha affrontato la sorpresa Sjeng Schalken.

Ancora una volta è Pistol Pete ad avere la meglio sul Kid di Las Vegas, ma questo volta lo fa contro pronostico. Nelle precedenti sfide era stato sempre dato favorito, fin dal lontano 1990 quando i 2 ragazzini si erano sfidati per la stessa corona. Oggi però i due sono diventati uomini, così Pete fa registrare un record singolare: nel 1990 era stato (ed è ancora) il più giovane a vincere lo US Open, e nel 2002 diventa il più vecchio dai tempi dell’inarrivabile Rosewall del 1970 vincitore a 35 anni (nell’anno dei 36). A 31 anni colleziona il suo 14° Slam in carriera e in quel momento sembra che nessuno potrà mai insidiare questo record. “I’m back” dirà Pete a fine match. “Ho giocato molto bene oggi ed è proprio Andre a permettermelo, quando gioco contro di lui viene fuori la parte migliore di me“. Non ha giocato bene nel terzo e nel quarto set Pete, ma questo è meglio non dirlo, meglio non dirlo soprattutto ad Agassi che incassa ancora una sconfitta in una finale Slam. Ma Sampras ha usato bene la sua arma migliore: il servizio, mettendo a referto 33 ace. E’ stato fondamentale anche sul 5-4 nel quarto set quando la mano ha iniziato a tremare. Un ace prima e un volèe vincente hanno messo fine alla tensione samprasiana che si è sciolta quando ha salito le scale per abbracciare la moglie incinta Bridgette Wilson.

Le statistiche della partita come sempre evidenziano una netta contrapposizione di stili: Sampras ha servito con punte di 132 mph vincendo 69 punti su 105 discese a rete. Agassi scendeva a rete solo per dare la mano all’avversario e così si registrano solo 13 discese, ma di contro Andre ha messo a segno 19 passanti. Ma a volte i 2 rivali hanno invertito i ruoli. Sampras ha messo a segno una risposta vincente di rovescio per breakkare nel secondo set e Agassi ha servito una prima a 113 mph per salvare una palla break sul 3 pari nel quarto.

In realtà quella giocata a New York non doveva essere l’ultima partita di Pete, per tanto tempo si rincorreranno voci su un suo rientro. Ma era tutte infondate perché non si allenav più e forse è stato meglio così. Chiudere con un alloro simile non è da tutti.

Yo soy el número uno

8) 1977. Finale. Guillermo Vilas b. Jimmy Connors 2–6, 6–3, 7–6(4), 6–0

Il 1977 è l’anno di Vilas. Tutti ricordano le sue 46 vittorie consecutive sulla terra battuta record che rimane tutt’oggi e che difficilmente verrà superato. Ma è a New York che Guillermo el Conquistador raggiunge il suo apice. La sua vittoria contro Connors è storica ed epica e fa registrare la più grande caciara di tutti i tempi per la vittoria di un torneo di tennis. Mai più si è vista un’invasione di campo di stile calcistico per acclamare il vincitore di una partita di tennis. Gli argentini con il sangue latino, misto alla discendenza dell’Italia del sud sono molto passionali e quando c’è da festeggiare lo fanno in grande stile. Il 6-0 finale forse è una punizione che Connors non merita, ma la terra battuta è più amica di Guillermo che sua. Sì, perché a Forest Hills si gioca sulla terra battuta, quella verde non rossa, ma comunque sempre terra battuta è. Sarà l’ultima edizione a Forest Hills, dall’anno successivo si andrà a Flushing Meadows e si giocherà sul cemento e non si poteva che chiudere con il botto.

La partita inizia in un pomeriggio fresco, con un bel sole e finisce di sera. Il detentore del titolo è Connors e non vuole cedere così facilmente la corona e il primo set è suo. Ma come spesso accade in queste circostanze chi ha più motivazioni riesce ad avere la meglio. La partita di fatto finisce nel tiebreak del 4° set vinto da Vilas e nel 5° praticamente non si gioca. Entusiasta della vittoria Guillermo non nasconde il suo maggiore obiettivo:”Adesso voglio essere il numero uno“. Ma per la folla lo è già: i 12.644 del West Side Club non hanno dubbi e gridano a gran voce:”Numero uno, numero uno. Il quarto set è stato accompagnato anche dal tifo casalingo per Jimbo, ma questo è stato sovrastato dai tanti, tantissimi argentini presenti. Significativo è stato l’ultimo punto. Né il giudice di linea, nè l’umpire erano convinti della chiamata. La palla di Connors è nettamente fuori, ma per qualche secondo rimane l’incertezza. Il pubblico inizia a gridare, sa che la palla è fuori, ma Vilas vuole una conferma ufficiale, guarda verso l’umpire che finalmente dà il punto e chiude ufficialmente la tenzone. La finale registra un significativo dato statistico: è l’unica partita che sia durata più di 3 set, tutte le altre si erano conclude o in 3 o meno, perché i primi 4 turni si erano giocati con il 2 su 3. Se proprio vogliamo trovare una pecca al trionfo argentino questa è il primo set. Complice un vento che soffia oltre le 20 mph Vilas è molto lento e subisce un parziale di 5 giochi consecutivi perdendo poi per 6-2 l’unico set del torneo. L’argentino capisce poi che è meglio colpire sul dritto di Connors che sul suo rovescio e  da lì inizia una nuova partita. L’ATP non concederà mai il platonico titolo di numero 1 del mondo all’argentino, ma dopo questa vittoria tutti sanno che è lui il più forte giocatore di tennis del mondo.

Nole me tangere

7) 2011. Finale. Novak Djokovic b. Rafael Nadal 6-2, 6-4, 6(3)-7, 6-1

La versione più mostruosa (aggettivo che appartiene di diritto a Nadal) di Djokovic si materializza nella finale degli US Open 2011. Sopravvissuto non si sa come alla semifinale contro Federer, è nell’atto conclusivo che mette in mostra tutto il suo campionario. Tra tutti i colpi che hanno fatto del 2011 la migliore annata di Nole a livello di gioco il non plus ultra è il rovescio lungolinea spesso vincente che oggi sembra ormai smarrito. Lo slogan di questa partita potrebbe essere:”Ti brekko quando voglio!”. Sì, perché Nole è micidiale in risposta e anche se dall’altra parte c’è Nadal che serve piano ma una grande percentuale di prime non ce n’è per nessuno.

Nelle prime battute ammiriamo un Djokovic che ancora deve carburare. Non riesce ad avere la meglio su 3 seconde di Nadal e nel secondo game è costretto a subire il break. Stupendo il punto di Rafa nel 30-15: un inside out micidiale per dimostrare che il braccio è caldo. Ma il 2-0 iniziale è solo un’illusione nel terzo game arriva il break alla seconda occasione con la complicità di Nadal che serve pianissimo e solo seconde. Anche Nole non sembra essere al meglio al servizio, o meglio lo è, ma Rafa non scherza in risposta. Ci sono 3 palle break che potrebbero riportare tutto in parità ma Nole è bravo a disinnescarle. Toltosi dall’impiccio chiude con un ace e 2 dritti vincenti. Quando è Nadal a servire sembra un calvario. I 23.000 dell’Arthur Ashe disturbano non poco chi è alla battuta e dopo un servizio vincente ecco servito il doppio fallo complice anche il vento. Rafa sbaglia anche un falco sul 15 pari, poi 3 punti consecutivi serbi con relativa chiusura di dritto (vincente). Nel 6° gioco non si arriva mai a palla break e questa è già una notizia. Sul 4-2 Nole Rafa è nervosissimo, Djokovic pennella 2 dropshot che hanno sempre fatto parte del suo repertorio, ma che una volta usava molto spesso perdendo, invece ora li usa con molta dovizia. Lo 0-30 è un punto molto controverso e alla fine sarà l’umpire a chiamare l’overrule a favore del serbo alimentando l’ira iberica, qualcosa che non si era mia visto. Break a 30, 5-2, Nole va al servizio e non concede nulla, parziale di 5 punti consecutivi e primo set in tasca.

Rafa è un grande lottatore e quando è al meglio non cede tanto facilmente, ma se dall’altra parte c’è lo squalo della risposta è difficile prevalere. Nadal non ci sta a subire e dopo aver tenuto il suo servizio “facile” riesce a brekkare alla terza occasione nel secondo game. 2-0 e la partita sembra riaperta. Se c’è un game rappresentativo di questa partita è il 3° del secondo set: 22 punti di passione dove Nadal non vuole cedere e la bilancia sembra impazzita. I vantaggi Nole sono 3, ma le palle break ben 6 l’ultima delle quali procurata con un doppio fallo Nadal che completa la frittata con uno smash sbagliato che si addice più all’altro che a lui. Forse la partita a livello mentale finisce qua. Troppo grave perdere un turno di servizio in questo modo e il cannibale di Belgrado lo sa. Nadal è in bambola e il serbo mette a segno 6 punti consecutivi, Nadal è cotto e commette un sanguinoso doppio fallo sulla palla break. Siamo sul 4-2 Djokovic  e Nole si permette anche di giocare qualche pregevole volèe che lo porta a palla break, ma Rafa per fortuna del pubblico annulla. Quando il set sembra andare verso il suo naturale epilogo ecco il graffio del campione: 2 rovesci vincenti di Nole fanno un baffo a Rafa che approfitta di uno smash sbagliato del serbo per portarsi a palla break e affondare alla prima occasione. Dicevano, ti brekko quando voglio….e qui Nole vuole, approfitta di qualche mozzarella spagnola e concede un solo punto al servizio frutto di una stop volley sbagliata. 5-4 e subito 6-4 senza pensarci troppo. Sono passate 2 ore e 5 minuti e Nole è avanti 2 a 0.

La maggiore concentrazione di circoletti rossi si ha nel terzo set. I primi 2 game al servizio procedono veloci, ma nel terzo Nole ha intenzione di ammazzare la partita: arriva il break a 30 e siamo subito 2-1. Nadal decide che ancora non è la sua ora e si riprende il break lasciato per strada. Il festival dei break continua ed è ancora Nadal a cedere che ha un grande sussulto di orgoglio e nel 6° gioco brekka a zero. Rafa mette in fila 7 punti consecutivi che vengono interrotti solo da una risposta vincente. Addirittura è Rafa ad avere la possibilità di portare subito a casa il set ma uno scambio, forse LO scambio del match di 31 colpi premia Nole con annesso doppio circoletto rosso. Nel 10° gioco, quando è Nole a servire Nadal si ritrova a 2 punti dal set, ma è ancora troppo presto per chiudere. Game fantascientifico l’11° con break Nole che sul 30 pari del 12° si ritrova a 2 punti dal match. Ma non è finita, Break Nadal e si fa al tiebreak. Questo è dominato in lungo e in largo da Rafa che ci crede: sale subito 5-1 subito solo un minibreak e chiude per 7 punti a 3.

All’inizio del quarto set arriva l’MTO Nole per un problema alla schiena, ma nulla di grave. Travagliato è il suo primo turno di servizio, ma lo è maggiormente quello di Nadal che alla 5a palla break cede, anche se poteva perderlo prima se non fosse per una corda rotta per Nole che è però di buon augurio. Da qui fino al 4-1 ci sono pochi episodi da segnalare se non che è Nole a decidere che è davvero finita. 10 punti consecutivi serbi mettono ko Nadal che subisce il break a zero con tanto di risposta vincente al fulmicotone. Nadal può solo collezionare 2 punti sul servizio Nole, ma ormai i bui sono scappati , 6-1 Djokovic e primo US Open in bacheca…e non sarà l’ultimo.

Pete and the puke

6) 1996. Quarti di finale. Pete Sampras b. Alex Corretja 7-6(5) 5-7 5-7 6-4 7-6(7)

Molto facile ogni volta considerare la finale la partita più importante di un torneo, ma molto spesso è capitato che il match più difficile non fosse l’atto conclusivo. E’ il caso del 1996. Sampras vince il suo 4° US Open battendo Chang in 3 set ma è nei quarti di finale che è arrivata l’impresa. Nessuno si aspettava l’exploit di Alex Corretja. L’immagine più emblematica è quella di Pete che a metà del tiebreak del quinto vomita davanti a migliaia di spettatori ma riesce lo stesso a buttare il cuore oltre l’ostacolo annullando anche un match point con un ace (il suo 25° della partita).

Dopo 4 ore e 9 minuti Alex crolla sulle sue ginocchia, ma fa in tempo a rialzarsi per stringere la mano all’avversario prima della più che meritata standing ovation. Le prime parole di Pete non possono che andare a Tim, il suo allenatore Tim Gullikson scomparso nel maggio di quell’anno:”Tim era con me, non so come, ma io sentivo la sua presenza“. Il nuovo coach, Paul Annacone non può che essere entusiasta e dice:”Oggi abbiamo visto quello che ha fatto Pete, grande merito va a Corretja, ma quello che ha fatto Pete non ha parole per essere descritto“.  Anche lo stesso Corretja è sorpreso di quello che ha visto e non poteva credere a quello che aveva visto:”Non si può servire a 124 mph dopo 4 ore di partita nel tiebreak decisivo, non si può!”. L’incontro non era iniziato bene per Sampras che si era fatto brekkare in apertura ma era riuscito a riacciuffare il suo avversario sul 5 pari vincendo il tiebreak. Nel mezzo registriamo 25 punti consecutivi vinti al servizio. Fatali nel secondo e terzo parziali sono per Pete i break subiti sempre nel 12° gioco senza che l’americano abbia mai la possibilità di restituire il favore allo spagnolo. I primi segni di malore si fanno vedere sull’1 pari del 4° set e inizia a respirare affannosamente riuscendo comunque ad annullare un break point per portarsi avanti 2-1 ma non sarà sufficiente. Si va al 5° ed è incredibile vedere come nessuno qui ceda il servizio e Sampras mette a referto 6 ace. Alex ha la possibilità di chiudere sul 7-6 del tiebreak decisivo avendo già buttato un match point sul 6-5, questa volta è lui a ricevere, sembra che tutto stia per finire quando Pete piazza una volèe di rovescio che lo porta sul 7 pari. Lo spagnolo non si capacita:”Se avessi giocato il lungo linea avrei vinto….”. La tenzone si chiude con un doppio fallo di Alex, forse la fine più ingloriosa per un match di questa portata, ma non conta. Quello che è successo prima è negli occhi di tutti e chi era lì difficilmente potrà dimenticare.