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US Open 2016: Stan The Superman, Wawrinka vince a New York il suo 3° Slam in carriera battendo in finale Djokovic

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L’uomo della Provvidenza è ancora Stan Wawrinka. Dopo aver vinto in Australia nel 2014 e a Parigi nel 2015, lo svizzero si aggiudica gli US Open battendo ancora una volta in finale Novak Djokovic. Per lui si tratta del 3° Slam su 3 finali disputate e a 31 anni e 6 mesi diventa il più vecchio a trionfare nell’era Open a New York dai tempi di Ken Rosewall che ci riuscì nel 1970 a 36 anni.

La partita

C’era grande attesa per vedere l’ultima finale Slam della stagione e i presupposti per un grande match c’erano tutti. L’atto conclusivo doveva essere lo zenith di un torneo che in alcune fasi è stato molto deficitario nello spettacolo, soprattutto nella parte alta del tabellone, compensato, ma solo in parte, dall’altra metà. Doveva essere il redemption match e così è stato.

Tutti i favori del pronostico sono per il numero 1 del mondo che come successo nel 2011 e nel 2015 si appresta a vincere il suo 3° Slam stagionale. Il suo cammino per arrivare a giocarsi la coppa è stato a tratti ridicolo e quasi tragicomico, ma “non dire gatto se non ce l’hai nel sacco“. Le poche ore spese nel campo ti danno un grosso vantaggio in termini di freschezza atletica ma ti tolgono qualcosa dal punto di vista della preparazione mentale alle situazioni difficili e soprattutto non ti fanno scaricare a terra tutti i tuoi cavalli vapore che hai tenuto in serbo per un super torneo di 2 settimane con 7 partite al meglio dei 5 set. Eppure l’inizio dell’incontro aveva fuorviato tutti, anche i migliori esperti del settore.

A vincere il sorteggio è Djokovic che decide di servire. Nole è subito in palla, anche se lascia per strada 2 punti, ma tutti possono ammirare il suo atletismo che gli permette di andare da una parte all’altra del campo come faceva un certo Barry Allen. Quando è Stan a servire per primo, i fantasmi del passato iniziano a materializzarsi. Si sa che lui è un uomo che fa della forza mentale l’arma migliore e se non funziona la testa c’è poco da fare. La tempia è ancora nella custodia e ben presto arriva l’esiziale break. Il saggio Gianni Ocleppo evidenzia che è necessario tenere la battuta successiva per confermare il break, Nole non lascia traccia nel suo delitto perfetto e siamo già 3 a 0 in un amen. Sembra una di quelle giornate storte per Stan e il 13° Slam per Djokovic è in ghiaccio. Stan non ci sta a subire passivamente il suo destino che non lo farà mai diventare numero 1 e inizia a salire con i colpi. Il 3-1 è una formalità, ma serve a dargli fiducia. Arriva subito il 4-1 e Nole ha la possibilità di ammazzare set e partita quando sul vantaggio esterno nel 7° gioco ha una palla break. Stan annulla e allarme rientrato. Lo svizzero delizia il pubblico con il repertorio di elettrodomestici lanciati a velocità tachionica, ma i punti migliori sono concentrati malamente, e si sa che nel tennis bisogna vincere i punti più importanti e non quelli più belli. D’altro canto Nole dimostra la sua consueta solidità e, pur non lesinando lo spettacolo, è cinico. il set potrebbe chiudersi sul 6-3 quando è Stan a servire, ma all’improvviso Stan diventa The Man. Gioca attentamente i punti che contano e, salvando 2 palle break, fa girare il set, la partita e le sorti della storia del tennis. Il game successivo è un capolavoro, e la televisione non dà l’idea della velocità dei colpi dello svizzero che lascia impalato Nole, un ghepardo con il freno a mano tirato. I rovesci con il mirino sono numerosissimi e Nole non può far altro che applaudire e il match si riapre. 5 pari.  Le statistiche riguardanti il tiebreak giocati negli H2H sono impietosi per lo svizzero, un 8-1 senza storie, per cui a Stan conviene chiudere subito la pratica, prima che si passi ai calci di rigore dove ha la stessa freddezza di Pellè. Putroppo i turni di battuta corrono via lisci ed arriva l’apologetico tiebreak. Inutile stare a parlare di un non contest in cui  Nole fa il suo dovere e Wawrinka spara non forzati come se piovesse. 7 punti a 1 e set in cascina per il serbo.

Remenber Paris” avrebbe potuto dire qualcuno. Sì, perché nel Roland Garros del 2015 ci fu un andamento simile nel match e alla fine la spuntò Stan in 4 set. Ma non ci crede nessuno. Forse la terra battuta è amica dello svizzero, ma il Decoturf è un altro mondo e qui non si trova di certo a suo agio. Al di là delle considerazioni tecnico tattiche che si possono fare, l’idea di base è che con una percentuale di prime così scadente non si va da nessuna parte: il 39% serve solo ad allungare l’agonia. Cosa consigliare allora? Aumenta il numero delle prime! Grazie, facile da casa, ma sul campo? Bene, Wawrinka segue telepaticamente questo consiglio e gli basta salire fino al 50% per dettare legge il resto lo fa il serbo. Il break arriva nel quarto gioco quando Nole butta via tutto quello che aveva costruito di buono fino a quel momento commettenno doppi falli nei momenti salienti. Stan sale 4-1, ma deve fronteggiare un Nole duro a morire e sempre disposto a dimostrare che è lui il numero 1, si procura 3 palle break consecutive sullo 0-40 e sembra che il set si possa riaprire, invece stavolta è Wawrinka a tirare su un game che ormai sembrava perso ed è un aspetto essenziale del match, per tanti anni siamo stati abituati a vedere Nadal (quello dei bei tempi) giocare così, ma mai ci saremmo aspettati uno Stan duro a morire. Questo 5° gioco ottenuto è uno “huge hold” come dicono i telecronisti inglesi. Nole vuole riprendersi la partita e fa presto a chiudere il suo turno di servizio e mette in mostra tutto il suo splendore nel 7° gioco quando brekka e riapre le sorti del set. Ancora un gioco “en blanco” come dicono gli spagnoli. Un altro tiebreak sembra inevitabile quando è The Man a salire in cattedra. Ancora una volta è lucido nei momenti chiave e ottiene il break dirimente che gli consegna il secondo set. 1 a 1 e palla al centro.

La partita sembrava finita, ma da qui ne inizia una nuova, sempre però figlia di quello che era successo in precedenza. Emblematico è il primo game in cui Wawrinka annulla 3 palle break e la maledizione del 4/23 si abbatte su Nole. E’ lui infatti questa volta a non convertire tante palle break a disposizione come era avvenuto per Federer nella finale dell’anno scorso. il servizio di Nole cala, forse la spalla fa male, ma la prima non incide come dovrebbe e arriva presto il break. Djokovic potrebbe riprendersi nel 3° gioco, ma posticipa il suo exploit per il 7° gioco e alla seconda occasione si riprende chill’ ca è nuostr. La partita scivola via senza tanti sussulti se non fosse per tanti punti spettacolari che dimostrano come una finale Slam sia di tutt’altra pasta rispetto a qualsiasi altra partita. Wawrinka è bravo con il rovescio, e questo lo sanno anche i ragazzini che oggi per la prima volta si siederanno su un banco con davanti una maestra, ma quello che affascina è il suo slice efficacissimo e delle demi volèe che allietano gli occhi. Altro tiro e altro giro. Tiebreak inevitabile? Può darsi, ma Nole quest’oggi ha deciso di chokare come ai bei tempi (verrebbe in mente la finale del 2007, tanto per non andare lontani, in cui sprecò set point sia nel primo che nel secondo parziale) lo fa nel momento clou, ossia quando si tratta di servire per rimanere nella partita. Chokatissima nel 12° gioco e terzo set che viene marchiato dalla croce elvetica. 2 a 1 per Stan. Incredibile ma vero.

Nole subisce pesantemente il colpo dal punto di vista fisico e soprattutto psicologico. Sembra un pugile suonato e la rottura prolungata che si ha all’inizio del quarto set è figlia di questo malessere. In un amen Stan si ritrova 3-0 con un break e ci sono tutti gli estremi per un KO tecnico. Djokovic sembra quasi per buttare via tutto ma annulla una ferale palla break. Siamo sul 3-1 ed ecco che arriva il fattaccio. Sembra quasi comico o tragico, non si sa, ma arriva l’MTO invocato quasi per gioco dai cyber-spettatori. Il problema sembra essere una vescica all’alluce molto probabilmente provocato da continuo scivolamento sul cemento che provoca delle piccole abrasioni sulla pelle. Tutti sanno che è solo una scusa per prendere un po’ di tempo e fiato e spezzare il ritmo, ma purtroppo il regolamento prevede questo comportamento. Stan cerca di rilassarsi, ma non sta nella pelle e manda un’occhiataccia a Nole che risponde un po’ demoralizzato:”Sorry, Stan….”.  Alla ripresa del gioco, quasi per fare salire la bile a mille degli hater di Nole, Stan deve affrontare 3 palle break, il serbo sembra ritrovato, ma questa volta non ci sono scuse. Wawrinka prende per i capelli un game che poteva fare girare la partita e i titoli di coda passano sotto la partita. Djokovic chiama un altro MTO, ma ormai i bui sono scappati, anche se la mobilità sembra compromessa è Stan a chiudere la porta a qualsiasi illazione, ingiuria, fandonia che si potrebbero dire.Il 6-3 apocalittico arriva sul secondo match point e Stan the Man diventa Stan The Superman.

Il torneo

Torneo dell’anno? Molto probabilmente. Gli US Open sono stati un grande torneo che ha consegnato alla storia grandi partite, grandi sorprese. Alla vigilia c’era grande trepidazione per la grande rimonta iniziata a Wimbledon da parte di Murray dei confronti dell’indiscutibile numero 1. La vittoria ai Championships e la conseguente sconfitta al terzo turno di Nole con Samquerreynumero 1 aveva aperto gli scafali di tutto il mondo per rispolverare gli abachi per metterci a conteggiare i punti recuperati così da stabilire quando e se ci sarebbe stato sorpasso. Toronto aveva detto ancora Nole, ma la batosta olimpica aveva fatto male al serbo come non mai. Un pianto che difficilmente si riesce a trattenere che ha portato alla rinuncia a Cincinnati mentre il Ringo Star del tennis collezionava il 2° oro olimpico della carriera come nessuno aveva fatto mai, non potendo però ricevere punti ATP da questo trionfo importantissimo per una serie di motivi che qualche pagina non basterebbe a contenere. Nell’Ohio Murray era da solo, ma tutti ci eravamo scordati di Cilic che ha inflitto una sconfitta pesante ad Andy, ma nulla di eclatante, si sa che è a New York che ci si gioca il trono mondiale, inutile stare a recriminare.

Il sorteggio aveva arriso a Murray ed è stato un toccasana per il suo morale a volte, se non spesso, molto fragile. Il suo tennis espresso a New York è stato quasi perfetto, “quasi” perché all’improvviso arriva il mostro nero che ti fa svegliare dai tuoi bei sogni e pensare che è stato bello, ma era tutto nella tua mente. Il mostro in questione è il giapponese Kei Nishikori cazzutissimo come non mai ad uscire vincitore in una sfida a tratti irreale.

Nei primi turni il britannico diventato ora scozzese (e si sa perché, immaginate…) aveva mostrato un tennis scintillante, una grande prestazione che faceva il paio con tanto di bello visto a Roma, Parigi e Londra. Gli avversari sono stati annichiliti da uno che “non è artro che un pallettato…” (cit.). L’unico che gli aveva dato filo da torcer,e prima della disfatta di Iwo Jima, era stato l’eroico Paolo Lorenzi che era riuscito addirittura a strappare un set al numero 2 del mondo facendo sussultare gli appassionati italiani e non solo, ma questa volta la classe operaia non è andata in Paradiso e per quanto l’abnegazione ti fa andare oltre i tuoi limiti, non si può nulla contro la maggiore classe e talento, ma una nota di merito va data a Pablito che ha raggiunto il suo best ranking a quasi 35 anni. Il più anziano a raggiungere il più basso ranking della storia. Bravo Pablo. Ma l‘Andy di lusso, quello che fa stropicciare gli occhi, si è visto contro Dimitrov. Vero che Greg ha perso la testa per uno smash sbagliato nel 4° gioco del primo set, ma il repertorio messo in mostra contro la cover band bulgara da parte del britannico è stata eccezionale: recuperi assurdi, dritti fotonici e vincenti improbabili per le leggi della quantistica. Un 6-1, 6-2, 6-2 senza replica che hanno cambiato per un nanosecondo il favorito del torneo. Ma lo psicodramma si materializza nei quarti di finale. Il sempre pericoloso Nishikori non ha intenzione di fare la vittima sacrificale e butta il cuore oltre l’ostacolo. Il primo set però è tutto da dimenticare per il nipponico, un 6-1 senza replica che quasi mandano tutti a bere un tè caldo. Nishi non ci sta e si prende d’autorità il secondo set, il terzo è a specchio rispetto al precedente ed è qui che Murray perde sia i trispiti che le tavole. La pioggia aveva imposto la chiusura del tetto e tutti o quasi sono stati felici nell’apprezzare questa meraviglia ingegneristica. 7 minuti e si può ritornare e giocare. Ma quello che non avevano calcolato i progettisti di questa struttura è la cassa di risonanza che si viene a creare il un ambiente chiuso. Quando la pioggia è battente sembra di stare in un concerto dei System of a Down, ma fino a qui tutto normale. Non è normale che si debba sentire un gong, un rumore sordo quando si ci si gioca la carriera. Nishi non fa una piega, ma Andy sbarella, se la prende con l’arbitro, il pubblico, gli americani, il mondo intero. Purtroppo la concentrazione massima che richiede questi momenti è andata e quando ti metti a discutere con l’umpire vuol dire che forse non hai le stimmate del numero 1 uno. Sorry. Il quarto set è un massacro, la storia potrebbe virare nel quinto, ma il Fato ha già deciso:”Nippon……”. Si chiude così il motivo principale per cui valeva la pena seguire il torneo in chiave storica, ma lo Slam e sempre lo Slam. Si chiude forse definitivamente la corsa al trono mondiale per Murray che spreca un’occasione d’oro. Il numero 1 di fine anno è in ghiaccio per Nole che, ricordiamo, l’anno scorso perse una sola partita, tra l’altro ininfluente, dopo il torneo americano. Magari quest’anno non vincerà tutto, ma per essere superato deve complicarsi parecchio la vita e Murray deve fare l’asso pigliatutto come non ha mai fatto in carriera. Mission Impossible.

Alla vigilia di questo torneo non si può certo dire che Wawrinka era messo bene, anzi...un ranking ballerino con un Federer in discesa come le azioni della Borsa di Wall Street del ’29 e Nadal che non sa più che pesci pigliare (non a caso), la testa di serie numero 3 era stata assegnata a Svizzera 2 e nessuno lo avrebbe messo tra i protagonisti. Le prime 2 vittorie dell’anno sono arrivate a Chennai e Dubai (che prenotato di diritto Shangh-ai, oltre alla vittoria a Ginevra) e negli altri tornei non aveva mai brillato particolarmente, ma ormai siamo abituati agli exploit di Stan The Man che riserva le sue migliori perle in un solo torneo importante ogni anno.

Nel primo turno era impegnato in un match complicato per essere all’esordio perché Verdasco sa come battere un top player al primo turno di uno Slam (cfr. Australian Open 2016), ma non ci sono stati problemi per Stan. Nel secondo turno c’era uno straordinario Giannessi che era riuscito ad arrivare lì passando dalle qualificazioni, ma il suo mancino, nonostante ottimi punti, non è riuscito a scalfire l‘avversario di un livello sicuramente superiore e non di poco. Stan The Man? No, Dan The Man, per qualche secondo il soprannome che ha lasciato Wawrinka stava per passare il testimone, ma non c’è stata chance di cambiare il Destino. Il britannico Daniel Evans è riuscito ad arrivare fino a match point, ma non è riuscito a concretizzare, peccato perché una sua vittoria non sarebbe arrivata per demerito dell’avversario ma per una sua magistrale prestazione. Ha fatto molto peggio il giustiziere (si fa per dire) di Kyrgios Marchenko contro Stan che era talmente in controllo nel match contro l’ucraino che ha dimenticato il pilota automatico accesso e si è addormentato nel terzo parziale perso non si sa come quando andava a servire per il match con molta nonchalance. Ma inutile continuare ad indagare. 6-2 nel quarto e via verso i quarti di finali. C’era grande per la sfida tra il gigante di Tandil Del Potro e Wawrinka. L’argentino era riuscito a vincere le ultime 4 sfide tra i 2 e soprattutto aveva inflitto una sconfitta pesantissima a Stan a Wimbledon. Wilander alla vigilia lo aveva definito “il match più importante del torneo senza se e senza ma…..”, però sappiamo che il buon Mats non è che ci azzecchi così tanto. Match molto ordinario che ha visto prevalere il più forte sulla wildcard di lusso del caso, ma nulla di più.

Questa serie di circostanze ha portato alla collisione tra protoni lanciati a velocità prossime a quelle della luce nell’acceleratore di particelle dell’Arthur Ashe Stadium. I protoni in questione sono già stati precedentemente menzionati e sono: Stan Wawrinka e Kei Nishikori. I bookies danno favorito Sushi, ma non si sa perché, forse per il grande torneo disputato fino a quel momento? Molto probabile. Per un’ora circa le agenzie di betting hanno ragione perché quello sceso in campo per la seconda semifinale del torneo è un Kei di lusso. Il suo gioco è difensivista, inutile stare a dibattere su chi sia il pallettaro o l’attaccante, ma il nipponico si trasforma da Baresi a Pippo Inzaghi. Attacca come non mai quando può e scende spesso a rete. Qualcuno parla di Edberg, altri di Rafter, ma quello che conta è il risultato: primo set in cascina e seconda finale newyorkese in frigo. Lo show del samurai con la racchetta però dura per un set, nel secondo una volta subito il break la partita va in discesa verso la nazione elvetica. Nishi tenta di sottrarsi al destino che sottomette pure i re (cit.), ma cala inesorabilmente, le prime latitano e Stan non può che fare il suo mestriere: sparare bordate di rovescio. Si chiude in 4 e per Wawrinka si aprono le porte per la terza fila Slam in carriera dopo quelle del 2014 agli Australian Open e quella del Roland Garros 2015.

Capitolo a parte merita il caso Rafael Nadal. Lo spagnolo ormai non sa più dove collocarsi e pronosticare i suoi risultati in un torneo sembra diventata la cosa più difficile del mondo. Dopo l’orrenda prestazione dell’Ohio si era presentato a New York con poche aspettative, ma il 14 volte campione Slam non può passare inosservato come tanti altri top player e, una volta risolto il problema al polso, che lo aveva tenuto lontano dai campi per 2 mesi, era lecito sognare. Il tabellone era dalla sua parte e le prime uscite avevano fatto ben sperare. L’incontro contro Istomin è stato una formalità se non fosse che è stato il primo che ha richiesto la chiusura del tetto così, per caso, questa partita entra di diritto nella storia. Seppi non poteva essere un ostacolo: tra bomboniere, partecipazioni e promesse da mantenere finché morte non ci separi è capitolato in 3 set facili facili. Stessa sorte è spettata a Kuznetzov, troppo mingherlino per il concentrato di muscoli che è Nadal…spazzato via il russo. L’anno scorso era stato Fognini a dare spettacolo contro Nadal e questa volta è Pouille a rovinare la festa maiorchina. Inutile ribadire che Nadal fa e disfa come e quando vuole. Il primo set è semplicemente scandaloso, anche se vanno riconosciuti i meriti del giovane francese, mai domo e che fa del tifo contro del pubblico americano la sua forza. La partita tra Nadal e Lucas è stato un sostanziale pareggio, ma si sa che nel tennis passa uno solo e questa volta è spettato al transalpino. Emblematico il punto sul 6 pari del tiebreak finale. Nadal si costruisce bene il punto manda fuori dal campo l’avversario, scende a rete per chiudere un dritto comodo, ma sbaglia clamorosamente: dritto il rete. Un nuovo dritto della vergogna che getta nello sconforto i tanti sostenitori dello spagnolo che credono che da qui a fine carriera possa piazzare un altro zampata da leone qual è. Le possibilità sono minime, anzi, quasi inesistenti, ma mai dire mai.

Ma vieniamo al puntum dolens del torneo. Capitolo Djokovic. Le sue ultime uscite non erano state brillanti ad essere un po’ eufemistici, ma ormai si sa che quello che conta nel tennis attuale sono gli Slam e New York doveva essere il torneo che doveva dare la giusta luce ad uno dei pretendenti alla corona dell’ineffabile GOAT. Sulla carta il suo sorteggio era molto duro, ma una serie di circostanze paurosamente fortunate gli hanno permesso di arrivare in finale in carrozza senza pagare il biglietto. Il primo turno con Janowicz era un ottimo banco di prova per testare il servizio e il polso sinistro, causa della sua mancata partecipazione a Cincinnati. Nella prima uscita si è visto un Nole sotto tono, non a caso ha perso il secondo set, che non fa storia, fa solo statistica, ma già non era un buon segnale. Vesely doveva essere un buon banco di prova e teatro della revenge di Monte Carlo, ma Jiri non è sceso in campo facendo registrare il primo ritiro pro Nole del torneo. E fino a qui, nulla di strano. Al terzo turno si presenta Youzhny, giustiziere a sorpresa di Klizan al primo turno. Il russo è in palla, ma Djokovic lo è di più, ma ecco che all’improvviso si materializza la iella. Il russo chiede un MTO dopo pochi game. Brutto segnale. Rientra in campo e sembra essere in sesto, ma non ce la fa: nel 7° gioco lascia il terreno di gioco e Nole, curiosamente, si incazza, perché? Perché avrebbe voluto giocare di più. Mah, ci sta. Però meglio passare senza giocare, che passare dopo una maratona al quinto di 4 ore. Questione di punti di vista.

La seconda partita che riesce a completare Nole è quella contro Kyle Edmund, una delle tante rivelazioni di questo torneo. il Djokovic sceso in campo contro il britannico è un ottimo Djokovic e i malanni sembrano passati e così si candida di prepotenza alla vittoria finale. Il serbo parte con il piglio giusto anche nel match dei quarti di finale contro Tsonga, ma dopo 2 set dominati, succede l’imponderabile. “Non c’è due senza tre” recita un vecchio detto, ed ecco il terzo ritiro. Jo non ce la fa a continuare, vano è l’MTO chiesto per il dolore alla schiena ed è costretto ad abbandonare il campo. Djokovic così si ritrova alla sua 31a semifinale Slam senza aver minimamente sudato. C’è grande aspettativa in Gael Monfils, che ha dato spettacolo contro il suo connazionale Pouille, ma quello che scende in campo contro Nole è un clown con la racchetta. Forse non ha capito che essere un professionista e arrivare a questi livelli esige un certo rispetto perché, anche se non nella grande, stai per entrare nella piccola Storia. La sua prestazione è indecorosa. La partita è moscia a tratti imbarazzante, ci pensa Nole a dare un po’ di pathos quando perde il 3° set, ma Gael si sveglia troppo tardi e Djokovic non deve fare altro che buttare la palla dall’altra parte della rete. 21a finale Slam in saccoccia e arrivederci e grazie. Nole non ha assolutamente colpe in tutto il cammino che l’ha portato fino alla finale, quello che è stato maggiormente danneggiato è stato lo spettacolo. La finale non è stata certo una “punizione” per questo cammino all’acqua di rose per il numero 1 del mondo, ma lo spettatore vuole applaudire un numero 1 che vince dando emozioni che purtroppo in 3 partite e mezza se non tutte sono state del tutto assenti.

In ordine di tabellone possiamo evidenziare chi ha fatto bene e chi male. Grande applauso va fatto a Tiafoe che è stato protagonista di un ottima partita al primo turno contro John Isner. il ragazzo di colore, wildcard, ha messo a dura prova Long John, ma non è stato cinico nei momenti salienti della partita. John non è andato bene e la sua sconfitta contro Edmund al terzo turno non depone certo a suo favore, ma questo fa decollare le quotazioni di Kyle che è nella cerchia dei promossi di questo torneo. Bravo ad arrivare fino al quarto turno e ad uscire contro un giocatore di un’altra categoria quale è Djokovic.

Bocciato con diritto di appello Richard Gasquet, reduce da un infortunio, che ancora non ha recuperato a pieno regime. Ottima prova di Tsonga che è riuscito ad arrivare fino ai quarti di finale infoltendo la schiera transalpina nel terz’ultimo atto di uno Slam. Ben 3 francesi sono arrivati a questo punto del torneo e non capitava a livello Slam dal Roland Garros 1947 e agli US Open dal 1927. Peccato per lui che sia arrivato l’infortunio, ma onestamente Nole lo stava prendendo a pallate, quindi esce con onore e il dolore alla schiena non è un alibi. Male Cilic, atteso a riconfermare quanto di buono fatto a Cincinnati. Il croato si è fermato di fronte ad un ottimo Jack Sock che passa a pieni voti costretto a capitolare solo di fronte ad un ottimo Jo che nello scontro con l’americano ha perso un set. Bello il match tra Fritz e Sock, ma Taylor non sembra ancora pronto per i grandi palcoscenici, ma è giovane e ha ancora tanto tempo davanti, anche se il cappio al collo non depone certo a suo favore. Distinto a Lucas Pouill, classe 1994, capace di arrivare ai quarti e superare 3 partite consecutive al quinto. Molto bene Monfils, con un piccolo asterisco sulla semifinale, ma molto convincente nei turni precedenti quando non aveva perso nessun set sfruttando anche un tabellone molto agevole composto dai vari Muller, Satral, Almagro e Baghda. Male Cuevas che probabilmente non sente proprio il cemento ed è forse un degli ultimi terraioli che gioca bene solo ed esclusivamente sul clay. Malissimo Raonic, anche se giustificato, che perde contro Harrison nel secondo turno. Non un ottimo biglietto da visita per il finalista di Wimbledon. Dallo psichiatra Thiem che è confuso e infelice. Dice di aver giocato troppo durante tutta la stagione e cosa fa? Si iscrive al torneo di doppio. Passa i primi 3 turni, ma è costretto ad abbandonare il campo nel 2° set nel match contro Del Potro. Promosso Juan Martin che partecipava al torneo grazie ad una wilcard. L’argentino ha messo fine alla carriera da top player di Ferrer (bocciato), ma si è fermato contro l’invalicabile ostacolo rappresentato dal vincitore finale Wawrinka. A casa Fognini che non è riuscito neanche ad avere la meglio su uno finito come Ferrer. Rimandato Kyrgios che è stato costretto al ritiro nel match contro Marchenko. McEnroe ha detto che si è infortunato all’anca perché non si allena, ma le smorfie di dolore provate nel match contro l’ucraino non sono certo volute. Nota di merito a Daniel Evans che è riuscito ad estromettere Sasha Zverev (bocciato) per arrivare a match point contro Wawrinka. E’ nata una stella? Forse. Ottimo per Nishikori giustiziere di Murray arrivato ai quarti di finale con merito, di lui possiamo ricordare la splendida prestazione in risposta contro il bombardiere Karlovic il resto l’abbiamo già scritto. Malissimo Goffin che perde al primo turno contro il qualificato Donaldson che però cede a Troicki, ma nessuno dei 2 supera la sufficienza che viene abbondanemente superata da Ivone che arriva a 37 anni al quarto turno. Rimandato Dimitrov, bravo ad arrivare fino al quarto turno, ma la sua prestazione contro Murray è incolore per quanto Andy sia stato brillante e a tratti ingiocabile. Lode a Paolo Lorenzi capace di battere Simon e battersi ad armi pari contro il numero 2 del mondo. Un grande esempio per tutti.

I record

Wawrinka vince il suo 15° titolo in carriera, il 9° sul cemento. Per lui si tratta del 3° Slam. Con questa vittoria raggiunge 3/4 di Career Grand Slam e alla sua collezione gli manca solo Wimbledon. E’ l’11a finale consecutiva che vince. L’ultima sua sconfitta nell’atto conclusivo del torneo risale al torneo di Rosmalen del 2013.

Conclusione

Questo torneo ci lascia un grande lascito in chiave storica. Murray ha abbandonato la corsa per il numero 1 di fine anno, forse potrà diventare il primo del ranking ATP nel mese di marzo del prossimo anno perché a Miami e Indian Wells quest’anno ha fatto male, ma la sua ascesa al trono sembra improbabile. Djokovic non ha saputo mantenere le aspettative che erano state riposte in lui. Quest’anno si parla di Grande Slam, ne sono arrivati 2 su 4, che non sono malaccio, ma data la concorrenza che c’è in giro oggi ogni occasione è sprecata e i 17 Slam di Federer sembrano sempre più lontani. Il torneo ci consegna uno splendido vincitore quale è Stan Wawrinka che non ha nessuna ambizione ma riesce sempre a stupire tutti. 3 Slam lo collocano tra i grandi del presente e, perché no, del passato. Non ha mai perso una finale Slam in carriera. Un 100% che è una medaglia al valore per lo svizzero troppo spesso all’ombra del suo connazionale più illustre. Ora il grande tennis si ferma. Nel fine settimana ci sarà la Coppa Davis con le semifinali e gli spareggi, poi 2 settimane di stasi per ritornare con Pechino e Tokyo.

12, 14, 17 è la terna magica che chiude questa stagione degli Slam. Rogiah a questo punto sembra inarrivabile, ma quest’ultimo periodo ci insegna che l’età pensionabile si sta allungando e arrivano sempre più successi da ultratrentenni per cui la corsa al record più importante del tennis rimane aperta. Per il prossimo anno i Roger fans possono stare tranquilli, 12+4=6, la matematica è in loro favore, ma siamo sicuri che un eventuale Grande Slam non rimescoli le carte in tavola? Staremo a vedere.