EditorialeUltimi articoliUS Open

US Open 2017: Sweet Sixteen. Nadal vince il 3° titolo a New York, 16° Slam della carriera

Dolci 16 Slam. Nadal ritorna a trionfare a New York dopo 4 anni in una finale senza storia contro il numero 32 del mondo Kevin Anderson.

La partita

Quella che si presenta nella bolgia dell’Arthur Ashe Stadium a Flushing Meadows è una delle finali dall’esito più scontato dell’era Open. Da una parte c’è il numero 1 del mondo e vincitore del Roland Garros dall’altra Kevin Anderson, numero 32 ATP e giocatore con più basso ranking ad arrivare all’atto conclusivo a New York da quando è stato introdotto il ranking ufficiale nel 1973. Non c’è bisogno di guardare le quote che sono impietose e nessuno scommetterebbe un centesimo sulla vittoria del sudafricano cui va senz’altro il merito di aver raggiunto la sua prima finale Slam in carriera a 31 anni, ma lo ha fatto approfittando di un percorso semplice come il livello 1 dello Snake dei vecchi Nokia 3310.

Comincia a servire Anderson e si capisce subito che non sarà una passeggiata per lui al servizio. La battuta è l’arma migliore di Kevin, ma dall’altra parte c’è una grande risposta, per cui la minima oscillazione dalla perfezione può costargli cara. Il copione del match è chiaro fin da subito. Se il sudafricano piazza la botta glie fa i bozzi e non si gioca, che siano bozzi di ace o bozzi di servizi vincenti, se invece si entra nello scambio non ce n’è: Nadal è molto più propositivo, dinamico, tecnico, preciso, insomma è più forte dell’avversario e più lo scambio si allunga e più aumenta la percentuale di realizzazione dello spagnolo. Dopo il primo game finito ai vantaggi è il turno di Rafa al servizio. In questo tipo di partite si dice spesso che quello che conta è il servizio del big server, però sarebbe più utile cambiare prospettiva e dire che è il servizio del non big server a determinare l’esito della partita, in altra parole: se Nadal serve bene la partita è ampiamente chiusa in partenza, tanto il tempo per un break lo trova sicuro e il tiebreak è garanzia di successo. Batte il numero 1 del mondo e non c’è storia. Preciso e determinato sfrutta tutte le lacune in risposta di Anderson che non può nulla contro un avversario dalla caratura nettamente superiore. Quando è Anderson a servire iniziano i problemi. Dicevamo o bozzi o punti all’avversario. Ebbene sì, questa intermittenza di lucidità prolunga a dismisura il 3° gioco che dura più di 8 minuti e 18 punti. Nel mezzo ci sono 2 palle break non sfruttate da Nadal, la prima delle quali è un errore non da Rafa che manda a rete un dritto con il lungo linea completamente aperto. Serve Rafa e non si gioca. Serve Anderson e tutto va per le lunghe. Altro game fiume, ancora di 18 punti e altre 2 palle break che vanno in fumo. Non è da Nadal questo comportamento ma contro Kevin ha un grande margine e può anche permettersi di lasciare fare. Però vanno dati anche i meriti al sudafricano che annulla le insidie con un ace e un servizio vincente di seconda, insomma la sua specialità. C’è un leggerissimo tentennamento di Nadal nel 5° gioco, ma leggerissimo e si permette peccaminosamente di lasciare per strada 2 punti al servizio, sembra una boutade, ma non più di tanto perché Anderson farà il media 1 punto in risposta a game. Detto tutto. La partita va per le lunghe ma ci pensa il maiorchino a dare la sgasata necessaria per chiudere il primo parziale. Sul 3 pari approfitta di qualche svarione di troppo al servizio e brekka. Troppo facile così: un doppio fallo, 2 unforced di dritto e strada che comincia a farsi in discesa. I pericoli dovrebbero concentrarsi sul servizio di Nadal, ma è chirurgico. Il set è destinato ad andare a Manacor in 10 game, ma decide di prendere il primo treno che parte con Anderson che si fa brekkare quando deve salvare il parziale e la faccia. Sbaglia tutto quello che c’è da sbagliare, anche l’approccio a rete ed è un errore di questa categoria che consegna il set al suo avversario. 6-3 in 58 minuti di gioco e titoli di coda che cominciano a scorrere.

Da questo momento in poi inizia la “Non partita“. Non c’è nessun segnale che possa far pensare ad una svolta, ad un ribaltone. Tutto diventa noioso, anche nel punteggio, anche nei colpi. Nadal fa il buono e cattivo tempo e finalmente si vede un Anderson che non va ai vantaggi sulla sua battuta. Miracolo. La risposta di Kevin è prossima allo Zero Assoluto, tu tu ru tu tu tuttu, e nell’aria si respira odore di Break Nadal. Questo arriva puntuale  nel 6° giuoco con un Rafa fantascientifico a rete che non sbaglia mai, 5-2 facile e 6-3 che arriva di conseguenza. Il grande miracolo di Anderson è quello di non essere stato bagelato in questo parziale. il suo 36% di prime in campo è pietoso, e se tu sei un big server e ti stai giocando la storia con la tua arma migliore così penosa vuol dire che la partita non può esistere.

L’ultimo treno passa nel primo game del terzo set ma Anderson non vede neanche mezzo vagone. Break in apertura per lui e tanti saluti al sogno africano. Da qui in poi è solo garbage time. Il bel gioco si è visto nelle battute precedenti con un Nadal assatanato che recupera tutto e gioca de fero di e de piuma. Era da tanto tempo che non si vedeva un maiorchino così performante sul cemento a prescindere dagli avversari. Per dovere di cronaca ci spetta parla della chiusura del match che si delinea con questo canovaccio. Nadal serve per la coppa. Urla barbare dagli spalti tanto per animare un po’ la serata molto moscia a lunghi tratti. Primo match point che se ne va. Ce n’è un altro. Chiusura in grande stile con il serve&volley e 16° che vola a Manacor. Rafa abbraccia il trofeo che più di ogni altro in passato nessuno pensava avrebbe vinto. Lo fa per la 3a volta, incassa 3.7 milioni di dollari e aggiunge un altro pezzo alla sua già leggendaria carriera.

Il torneo

Non c’è bisogno di fare calcoli astrusi per renderci conto che questo è stato uno Slam pessimo, ma siccome siamo pignoli li vogliamo fare. Il dato più sconcertante e che non trova nessun precedente nella storia del tennis è che i primi 5 giocatori che hanno chiuso la stagione 2016 in top 5 sono tutti a casa, chi per un motivo chi per un altro. Il primo ad annunciare la defezione da questo ultimo Slam stagionale è Djokovic che dopo un’annata disastrosa ha deciso di saltare tutta la rimanente parte di stagione 2017 per via di un infortunio al gomito e per riabilitarsi fisicamente e soprattutto mentalmente. Non c’è neanche il defending champion Stan Wawrinka che non va a New York per problemi al ginocchio. Stagione finita anche lui. Così per la prima volta dal 1971 i 2 finalisti non saranno presenti all’edizione successiva, allora furono i conflitti tra ITF e WCT a tenere lontani da Forest Hills Rosewall e Roche questa volta la mala suerte. Non c’è Nishikori. E questa non è una notizia, lo sarebbe stata una sua presenza. E non c’è nemmeno Milos Raonic anche lui a casa per infortunio. Abbiamo dimenticato qualcuno? Sì, Andy Murray. Il numero 1 del mondo meno numero 1 del mondo era andato a Flushing Meadows rassicurando tutti della sua presenza. L’anca sembra a posto e il numero 2 del seeding non glielo toglie nessuno. Bene. Venerdì pre-torneo e sorteggio che mette Federer e Nadal nella stessa parte di tabellone. Andy è il più fortunato del lotto dei primi 4 e cosa fa? Decide di non giocare. Da peggior numero 1 del mondo si trasforma nel più grande sabotatore della storia. Il tabellone con la sua assenza pende tutto dalla parte alta e in quella bassa rimane gente abbietta pronta ad approfittare di autostrade a 6 corsie lasciate dallo scozzese. E’ nel diritto di tutti i tennisti decidere se e quando partecipare ad un torneo, ma i dubbi su una condizione precaria, anzi grave di Murray c’erano tutti, se non altro perché da dopo Wimbledon non aveva mai giocato una partita e nessuno si è mai presentato agli US Open senza almeno un 15 sul cemento in tempi recenti. Ma the Show must go on e il weak Slam si gioca lo stesso.

La prima analisi non può non essere fatta sul vincitore. Dopo la stagione pessima nei 1000 americani pochi avrebbero scommesso su di lui. Le batoste patite contro Shapovalov prima e Kyrgios dopo avevano palesato una condizione non ottimale per il cemento, specialmente per il Decoturf, detto impropriamente “cemento veloce”. Anche se l’80% dei top player era in infermeria non era difficile prevedere un’uscita contro un carneade o comunque un tennista emergente come fu Lucas Pouille l’anno scorso. Invece è riuscito a sbalordire tutti e a non farsi irretire dal primo che passa e che, come si è soliti dire, “gioca la partita della vita”. Certamente non vince un grande torneo in termini qualitativi, anzi conti alla mano questo è lo Slam più facile per il vincitore dal 1988 ad oggi, uno Slam monco ma che, come ci insegna Beppe Grillo, vale sempre uno. Al di là degli astrusi calcoli con Elo, ranking ad hoc e super-computer, basta dire che Nadal ha vinto il suo 16° Slam senza incontrare un top 20. Sarebbe già scandaloso farlo senza incontrare top 10, ma top 20 sembra troppo. Non è la prima volta che succede, già Sampras vinse uno Slam simile, Wimbledon 2000, ma allora non c’era il web 2.0 e nessuno si sarebbe mai sognato di pesare quanto valeva quel torneo.

Nella prima settimana di torneo il futuro vincitore non ha brillato particolarmente. Vero è che gli avversari non erano alla sua altezza, ma nelle prime 3 partite è apparso opaco e poco incisivo. Al primo turno Lajovic non doveva e non è stato un problema anche se c’è stato qualche piccolo patimento nel primo parziale. Il leggerissimo Taro Daniel doveva essere spazzato via come una foglia in mezzo ad Irma, eppure è riuscito a vincere un set, il primo, sempre quello più delicato della partita. Rafa ha poi rimesso subito in chiaro le gerarchie ma ancora il gioco latitava. Lo stesso discorso vale per lo scontro contro il lucky loser, e questo dice tutto, Leo Mayer. Primo set buttato via e poi ancora sgasata per chiudere in 4. Ma è dalla partita con l’argentino che è cambiato qualcosa. Il Nadal che carbura con il tempo, con le partite, con la fatica come un Super Sayan si è presentato in questa estate rovente. Sembrava che non dovesse più ritornare e che le vittorie dovessero arrivare per inerzia, se mai ce ne fossero state, invece no, da qui in poi è tutto un crescendo. un grande, lungo climax che fa riassaporare vecchi gusti che pensavano estinti. Dolgopolov è praticamente evaporato. Il suo gioco illeggibile è stata una spina nel fianco del maiorchino, ma qui a New York è evanescente. 6-2, 6-4, 6-1 e tutti a casa, Nadal è tornato! Ai quarti di finale si presenta uno dei Next Gen che si è messo in mostra in questo 2017 per la sua precocità, 19 anni, e per il titolo ad Umago che nessuno gli potrà mai togliere. Il russo ha una buona castagna, una Giorgi fallodotata, ma è leggerissimo e se dall’altra parte c’è El Toro è dura reggere l’impatto. Il Nadal che diventa Super Nadal dalla week 2 è bello caldo e lascia ad Andrey solo le briciole. La partita non esiste ed è qui che si capisce che il 16° non è più un utopia. Dopo aver cenato (a detta dello stesso spagnolo) va in scena il match che avrebbe finalmente regalato il tanto agognato Fedal della Grande Mela, mai giocatosi, ma un grande Del Potro fa fuori Federer come aveva fatto nella finale del 2009 e si presenta in semifinale. E’ la testa di serie numero 24 e quest’anno ha giocato molto al di sotto delle aspettative. Dopo l’ottimo 2016 fatto però di grandi exploit e grandi flop, ci si aspettava un’annata molto più produttiva, ma come l’anno scorso, forse, vuole riservare qualche grande botto solo per un’unica occasione così come fece nella finale di Davis con Cilic. I favori del pronostico della semifinale sono per il numero 1 del mondo, ma tutti hanno in mente la lezione del 2009 e il 6-2 al cubo senza storia. E il primo set sembra dare ragione a chi ha sempre creduto in Palito. Fermo e preciso con il servizio, non lascia niente al caso e Nadal non sfonda con il servizio, il primo break della partita è argentino così come il primo parziale. Ma il vento stava cambiando. All’improvviso arriva lo tsunami di Manacor. Una spaventosa dimostrazione di forza e precisione allo stesso tempo che annichiliscono l’argentino che esce malamente dalla partita. I 9 game consecutivi vinti da Rafa sono un inno alla barbaridad, una visione per chi ha sempre creduto e saputo apprezzare il grande mix di forza bruta e tecnica del campione iberico. Se gioca così non ce n’è per nessuno, figuriamoci per questi relitti rimasti nel 2017 che si reggono in piedi solo con il vento a favore. Juan Martin riesce solo a raccimolare 5 game dopo il primo set vinto ed è qui che il numero 1 del mondo ha dimostrato di essere tale.

L’altro grande protagonista di questo Open (definizione che danno al torneo gli americani) è Roger Federer. I suoi sostenitori, quindi la maggior parte di chi segue il tennis, era in ansia dopo i problemi alla schiena palesati durante la finale di Montreal. La rinuncia a Cincinnati è stata parecchio dolorosa per il suo 7 volte campione, ma è a New York che ci si gioca una buona parte di stagione e dove si fa la storia. Il sorteggio per lui non è stato tanto benevolo, sempre dei limiti imposti dalle teste di serie, e la presenza di Kyrgios come eventuale avversario al quarto turno non faceva dormire sonni tranquilli. La caratteristica peculiare di Federer è che quando si alza dal letto batte sempre e comunque un record. I potenziali record da battere in questo torneo sono tanti, ma ce ne sono altri accessori e diciamo poco ortodossi. Non c’è bisogno, nel caso specifico, di spulciare chissà quale archivio per dire che gli allenamenti di Roger prima dell’inizio del torneo sono stati i più seguiti della storia, a volte, se non molto spesso più seguiti delle partite degli altri che purtroppo non offrivano uno spettacolo all’altezza sia per quanto riguarda i nomi, in primis, sia per quanto riguarda lo spettacolo in secundis. L’esordio per il 19 volte campione Slam doveva essere una passaggiata, ma si è subito trasformata in un incubo. Il giovane negretto Tiafoe doveva essere spazzato via facile, invece è riuscito addirittura a porta al quinto set il Re, apparso molto lontano dalla condizione ideale. Frances non è mai stato sul punto di vincere la partita, ma un primo turno a Flushing Meadows five setter per Rogé suona male, anche se non è il primo (qui scatta subito la ricerca). Contro Youzhny non c’è da fare poi chissà che cosa, basta aprire un qualsiasi sito di statistiche e controllare gli H2H: 16-0. Azz. Siamo sicuri? Sì. Allora perché guardare una partita dall’esito più certo delle elezioni politiche italiane del 1939. Mah, visto che ci siamo diamo un occhio al Re che inebria la vista e gli occhi di chi lo guarda giuocare con le sue piroette, salti e arabesque che appaga appassionati e non. Dopo un primo set di ordinaria amministrazione, scandalo. Il Re è uscito dalla partita e va sotto per 2 set con il russo. Non è possibile, non è possibile. Mikhail ha la possibilità di vincere. Ma chi ci crede? Nessuno. Infatti non arriverà mai sul punto di portare a casa il match, ma siamo al secondo turno e già il numero 3 del mondo ha lasciato a casa 4 set, punterà al record di Von Cramm che vinse il Roland Garros del 1934 perdendo ben 10 set? Sì, senza dubbio. Ben presto l’idea di arrotondare il record del barone viene abbandonata. A rimettere in carreggiata lo svizzero è Feliciano Lopez contro cui finalmente non fatica e finalmente si vede il vero Federer. Il 51.9% di probabilità di vittoria finale dopo il sorteggio trova un riscontro empirico ben preciso. Ce n’è una ulteriore che è quello della partita contro Kohlschreiber, ma il tedesco tutto talento e poca concretezza non è un test attendibile per verificare quella percentuale. Un avversario tosto è Del Potro, test probante, cavallo pazzo, pessimo nel ranking, ma capace di grandi acuti. Alla vigilia della partita anche le lavatrici a gettoni fanno rivedere le immagini della finale del 2009, dominata dallo svizzero e poi buttata (ore e ore di ricerche sintetizzate in 2 orride frasi). Ma sono passati 8 anni, c’è un altro Federer e un altro Del Potro. Quella che va in scena nella sessione serale di mercoledì è la versione demo della partita che assegnò il titolo nel 2009: stessi personaggi, stessa ambientazione, ma come i CD che si trovavano nelle riviste di videogame ad un certo punto il gioco si fermava. Ogni tanto si vede il dritto di Del Potro, ma mentre nel 2009 faceva i bozzi, oggi ne fa di meno e se ne vedono pochi. Federer non salta più come un grillo, ma non disdegna di elargire grandi giocate. Il primo set è argentino, il secondo svizzero, ed è il terzo a decidere le sorti dell’universo. Un tiebreak anomalo fa registrare una chokata elvetica che non chiude subito e consegna il set a Juanito e dagli spalti non può non partire il coro:”Oléééééé, olé olé olé, Del Poooo, Del Pooooo“. Freddo è Juan Martin a chiudere nel 4° set e a non complicarsi la vita. E’ la sua migliore vittoria stagionale, una vittoria che ridimensiona la straordinaria stagione di Federer super-favorito alla vigilia di questo torneo. Il Fedal non ci sarà, ma rimane vivo a distanza con il dolce 16°.

I record

  • Nadal vince il 16° Slam della carriera, 2° all time dietro a Federer con 19
  • Primo Slam vinto senza affrontare un top 20 dai tempi di Sampras 2000
  • E’ il 3° più vecchio vincitore degli US Open dell’Era Open dopo Rosewall 1970 e Wawrinka 2016
  • 17° titolo sul cemento per lui
  • Slam fuori dalla terra rossa
  • 4a stagione multi-Slam (2008, 2010, 2013, 2017)
  • 72° titolo outdoor

Conclusione

La stagione degli Slam si è conclusa e alla fine della fiera gli unici 2 nomi che rimangono sono: Rafael Nadal e Roger Federer. Nel 2016 sembrava che questa grandissima rivalità sportiva dovesse estinguersi come tutto ciò ch riguarda lo sport e la vita in generale, invece la storia ha smentito tutto e tutti. Non era mai successo in Era Open che 2 tennisti vincessero 2 Slam a testa, e chi non poteva fare registrare questo record se non i 2 più forti dell’era Open? Federer ha fatto il miracolo in Australia e l’impresa a Wimbledon. Nadal ha dominato a casa sua e ha vinto là dove nessuno poteva immaginare. I numeri che vengono fuori sono sbalorditivi e chissà per quanto tempo questi record rimarranno imbattuti. Da lunedì saranno di nuovo loro 2 a guidare la classifica mondiale come non accadeva da marzo 2011. Rafa è in vantaggio nella corsa per il numero 1 di fine anno per via del maggiore bottino collezionato nel corso della stagione che lo proietta 1860 punti avanti nella Race to London. La corsa sembra chiusa, ma ancora c’è l’ultimo spicchio che potrebbe riservare ancora tante sorprese. Il numero 1 del mondo con il minor numero di punti della storia legittima la sua posizione e i suoi 9495 punti cominciano a diventare pesanti e distanziano sempre di più gli inseguitori. Non vinceva sul cemento dal 2014 e uno Slam su questa superficie dal 2013 e nell’anno dell’ennesima grande rinascita Nadal sfata il tabù della superficie che tanto l’ha fatto penare nel modo più straordinario possibile, vincendo il più grande torneo del mondo su questa superficie pari solo agli Australian Open dove aveva ricevuto l’amara sconfitta in finale contro il rivale di sempre. Rafa non ha più la forza di esultare come un tempo. Vince la finale facile e non c’è il tuffo, non c’è la schienata indietro, c’è la consapevolezza che a 31 anni si è andato oltre ogni previsione si potesse immaginare per questo non più ragazzino precoce, croce per tanti e delizia per altri. Non doveva che vincere sulla terra battuta. Il Roland Garros del 2005 sembrava il classico Slam del terraiolo che poi scompare o vivacchia con piazzamenti qui e là. Invece no, ha vinto a Wimbledon per 2 volte, ha vinto in Australia sul cemento e ha vinto sul Decoturf ben 3 Slam, ha vinto agli US Open il 16° Slam superando il record di longevità di Sampras il cui titolo a 31 anni del 2002 sembrava essere un record invalicabile, figuriamoci per un terraiolo pallettaro quale Nadal. Non smette di stupire, aggiunge record e chiude cassetti e cassettini di chi poneva dubbi su di lui, lo fa in grande in stile e senza troppo rumore. Chi ha saputo apprezzarlo in questi anni non può non riconoscerne le qualità e lo fa anche chi non ha saputo apprezzarlo, perché in fondo si sa che chi ti ha fatto penare nella tua vita rimane sempre e comunque una parte di te, fino a quando è ancora viva la detesti, ma quando sparirà rimpiangerai quella parte di te, anche piccola, che non c’è più.

Il grande tennis si ferma qui, continua invece la stagione con le semifinali di Coppa Davis nel fine settimana e altre 2 settimane di bassa stagione con tanti tornei sul cemento. I top player superstiti si ritroveranno a Pechino o Tokyo per ricaricare le batterie e poi finalmente tutti a Shanghai per il penultimo Masters 1000 della stagione che deciderà chi sarà il numero 1 per questo 2017.