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Wimbledon 2016: Doppio scotch, Murray vince il 2° titolo ai Championships, il suo 3° Slam

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Finisce come doveva finire la 130a edizione dei Championships. Il padrone di casa (un po’ abusivamente) riesce a sollevare la coppa con l’ananas che era stata già sua nel 2013. 3 anni fa Murray aveva addosso una pressione immensa e lo spettro di Fred Perry ancora aleggiava sul Centre Court e il 1936 inciso nell’albo d’oro a ricordarci da quanti anni gli inventori di questo sport non abbiano più vinto il torneo più prestigioso. Allora fu una partita bruttina, piena di break e controbreak, ma comunque conclusasi in 3 set a dare il “la” alla torcida inglese che con i suoi tabloid (che, come se non bastasse, hanno inventato sempre loro) tappezzarono un’intera Nazione con le foto dello scozzese per il teorema dell’estensione diventato britannico. Questa volta non c’era una grande pressione sul gelataio di Dunblane e l’avversario dall’altra parte della rete non era certo un pezzo da 90 come lo fu allora Djokovic. Ma mai dire mai, perché di sorprese nel tennis e in tutto lo sport se ne sono viste tante. Però il platano montenegro-canadese non è stato all’altezza della situazione, non tanto per il risultato finale, tanto per quello che ha espresso in campo. Tutti gli occhi e i misuratori di statistiche erano puntati sul suo skill migliore, ossia il servizio, che non ha funzionato come avrebbe dovuto, anche se ha fatto registrare il 2° servizio più veloce della storia di Wimbledon con 147 mph dietro solo a Taylor Dent con i suoi 148 mph del 2010 nella sfida contro Djokovic. Ma guarda caso allora fu ace per Taylor, oggi incredibilmente Andy è riuscito a rispondere e fare punto con quella sassata. Inspiegabile.

La partita

Dopo la delusione del 2012 e la vittoria del 2013 tutto il Centre Court è ancora schierato dalla parte di Andy Murray. La temperatura è ideale per giocare a tennis e la pioggia che aveva fatto penare il torneo nella prima settimana tanto da violare il sacro Middle Sunday è un lontano ricordo. A fare da scudieri ai 2 giocatori in campo ci sono 2 leggende: Ivan Lendl è rientrato nell’entourage di Murray dopo che “Er Teribbile” aveva interrotto la collaborazione con lo scozzese. A dare i suoi consigli su come si può vincere sull’erba più famosa del mondo per Raonic c’è John McEnroe. Sembrerà un po’ strano e a tratti banali, ma non appena questi 2 fenomeni hanno ripreso (nel caso di Mac esordito) ad allenare i loro assistiti sono arrivati in finale. Coincidenze? Non credo. Lendl e e Mac non si sono mai affrontati in finale a Wimbledon e l’unico loro scontro nell’erba del Major londinese è arrivato in semifinale nel 1983. In realtà fu quella la “vera finale” visto che dopo il trionfo John The Brat dovette affrontare un certo Chris Lewis famoso solo per questa finale e stop.

Raonic parte bene nel suo primo turno di servizio e concede poco o nulla. E’ bravo a usare quegli schemi che gli hanno permesso di arrivare fino all’atto conclusivo e fin tanto che è lui ad avere la prima parola sullo scambio c’è poco da dire. Ma stranamente è anche Andy ad essere brillante con il servizio. Una nuova caratteristica per lo scozzese che ha perfezionato e migliorato uno dei suoi punti deboli che lo aveva tormentato dopo l’intervento alla schiena. Si era visto un grande Murray al Roland Garros e lo si rivede anche qui. Tutti sanno che la chiave dell’incontro sarà la risposta di Murray, la seconda migliore del circuito, arma che manca per esempio a Federer ed è per questo che ha perso contro Raonic. Ed ecco che nel 3° gioco Murray sale in cattedra sul 30-40 arriva la prima palla break dell’incontro che però Andy non concretizza, sembra solo una piccola falla del network canadese, ma si rivelerà un bug fatale. Preciso come non mai Murray non concede nulla sui suoi turni di battuta. Passato lo spavento, Raonic torna a servire come sa e aiutato anche da un’ottima volèe che gli permette di chiudere lo scambio tiene a zero il 5° gioco, ma è solo una mera illusione. Il break è solo rimandato. Lo sparapalle si inceppa, seconde a frotte e nonostante una palla break salvata arriva l’esiziale break che fa cambiare canale a metà share, appassionato di tennis, che sta seguendo l’evento. Hanno torto perché nessun fanatic della pallacorda non dovrebbe vedere la finale dei Championships, ma un minimo di ragione ce l’hanno perché la tenzone finisce qui (e ci scuserà Corrado). Murray ha una leggera fatica a mantenere il break, ma nulla di grave, il set si chiude sul 6-4 e con esso le speranze di vedere una partita.

Da Shiro ci si aspetta almeno una reazione di orgoglio, non gli si chiede di brekkare a ZEROOO il suo avversario, ma quantomeno di andare al tiebreak. E siamo presto accontentati, ma non senza il brivido. Siamo nel primo game del primo set e Murray ha una palla break quando si va ai vantaggi, Raonic annulla e i 20.000 del Centre Court ritornano a sedere dopo aver avuto la tentazione di scappare. Raonic non è cinico e gli ace, suo marchio di fabbrica, sono rari, rarissimi. Alla fine saranno 8 conditi da un doppio fallo come una ciliegina sulla torta. La sensazione è che Milos se la possa giocare per arrivare al tiebreak, suo campo di battaglia, e stoicamente dopo aver annullato una palla break nel 7° gioco e ben 2 nel 9° si arriva al gioco decisivo. E’ qui che potrebbe girare, ma non gira anzi sprofonda: primo a battere è Milos e primo a subire il minibreak è Milos. Murray scappa subito sul 3-0 e poi 6-1 con un’altra ciofeca in bella mostra. Raonic serve bene quando non è necessario, i buoi sono scappati e neanche Mac puoi chiudere la stalla in tempo. il tiebreak su chiude per 7 punti a 3.

Terzo set. Aspetta un attimo. Siamo arrivati al terzo parziale, ma puntuale arriva nel cervello del compulsivo delle stats l’insight. Ma Murray quante palle break ha fronteggiato? Vediamo un po’…..zero, niente, nulla. Inspiegabile. Va bene Smapras nel 1995 contro Becker, va bene Federer contro  Philippoussis nel 2003. ma Murray non può chiudere senza fronteggiare una palla break, non è nella logica del tennis, uno degli migliori ribattitori del circuito cecchino al servizio. Non esiste. “Finalmente” il servizio Murray si inceppa nel 5° gioco. il “qui gira” sale d’obbligo, ma dura quando il telegiornale delle 11 della sera. 2 palle break annullate e si va avanti. Da qui in poi non ci sono sussulti e ancora una volta siamo al tiebreak. Dai, Milos, ce la puoi fare! Ma i criceti abbandonano mestamente la scatola cranica del canadese che esordisce come Zucchero a Sanremo. 2 doppi falli in apertura e allez, la frittata è fatta. Murray non sbaglia e siamo 5-0 in un amen. Raonic segna il punto della bandiera sul 6-1 Andy, ma non c’è nulla da fare. Game, set and match. Pubblico in delirio, normale, Judy sorridente, normale, Kim euforica, Lendl piange, no, non è normale. Inspiegabilmente il freddo cecoslovacco dalle espressioni asettiche e ricorsive si mette a piangere. Ivan si commuove, sa di avere fatto l’impresa, forse più del giocatore che ha tenuto la racchetta in mano. Nell’era del dominio del serbo bionico è riuscito a rivincere da coach quel trofeo che gli è sempre scappato di mano tanto da diventare una sua ossessione. La partita andrà forse nel dimenticatoio e girerà in tutti i server che distribuiscono torrent  a manetta, ma Lendl che piange è la fotografia di questo torneo, senza se e senza ma.

Il torneo

La 130a edizione dei Championships si è rilevata piena di sorprese più o meno clamorose. La prima defezione importante è arrivata da parte di Rafael Nadal che è stato costretto a saltare il torneo come era già avvenuto nel 2009 per delle circostanze molto simili. Nel 2009, dopo la sconfitta contro Soderling al Roland Garros, aveva accusato dei problemi al ginocchio che gli avevano fatto saltare in extremis il torneo londinese essendo stato in dubbio per diverse settimane. Questa volta invece dopo l’infortunio al polso che lo aveva costretto al ritiro dopo aver vinto il secondo turno dello Slam parigino era nell’aria una sua rinuncia che è arrivata qualche settimana prima dell’inizio del torneo mettendo tutti d’accordo senza poter fare illazioni su tabelloni già compilati e poi falsati e/o asteriscati. Ormai è dal 2012 che Rafa ha lasciato andare ogni velleità di conquistare lo Slam sull’erba che fin da quando era giovane gli aveva arriso con 2 finali nel 2006 e 2007, quindi a 20 e 21 anni, per poi vincere nel 2008 e nel 2010 e ritornare in finale nel 2011. Dopo la finale persa piuttosto nettamente contro un Djokovic stellare ha sempre perso contro un giocatore che fosse oltre la top 100, la più tragica forse quella contro Steve Darcis al primo turno nel 2013. La storia e le statistiche ci dicono che Rafa non sarebbe stato competitivo o almeno non avrebbe potuto ambire al titolo così la sua assenza non è stata uno scandalo.

Inutile nascondere che gli occhi di tutti erano puntati su Novak Djokovic indiscusso e indiscutibile numero 1 del mondo. Per la prima volta nella storia si presentava allo Slam successivo dopo averne conquistati 4 consecutivi: i suoi illustri predecessori non avevano fatto altrettanto. Don Budge completò per primo il Grande Slam riuscendo a mettere di fila 6 Major dal 1937 al 1938, l’anno del Grande Slam. Il rollino di Donald fu straordinario, talmente unico che questi 6 Major gli vanno stretti. Nel 1937 perse solo 2 partite in tornei ufficiali, esattamente a Miami e a Tampa, sempre sulla terra battuta e sempre contro Bryan Grant nel mese di gennaio. Dopo queste sconfitte mise a segno un record di 46 vittorie consecutive cui si sommano altri 8 rubber in Coppa Davis e nessuna partita persa in tornei ufficiali. Nel 1938 era il più forte del mondo tra i dilettanti, lo era anche dei professionisti, ma nessuno lo potrà dire con certezza perché questi ultimi giocavano in un circuito a parte. Budge rimase dilettante per chiudere il Grande Slam e ci riuscì in scioltezza, giocando pochi tornei e molte più “esibizioni” e concentrandosi soprattutto sul mitico poker. Vinto facile l’Australian Championships a gennaio, si prese un lungo periodio di pausa per giocare il Roland Garros dove vinse in finale contro Roderich Menzel. Da Parigi a Londra la strada fu breve e con 3/4 di Grande Slam in tasca giocò un torneino in Cecoslovacchia. Recatosi a casa si presentò al prestigioso torneo del Newport Casino, già sede gli U.S. National Championships. Vinse sia nel Rhode Island che a New York chiudendo il Grande Slam in finale contro Gene Marko. Dopo questo record unico fu contattato per diventare un professionista e il suo debutto tra i “grandi” sarebbe arrivato ad inizio del 1939 contro Ellisworth Vines. Dopo questa notizia giocò altri 2 tornei sul cemento (quello vero, propriamente detto e non la gomma sintetica di oggi) e perse in entrambe le occasioni, ma ormai Donald era proiettato verso un mondo che gli avrebbe consentito di guadagnare qualcosa, quindi a rigor di logica possiamo dire che i 6 Slam consecutivi vanno più che stretti al californiano, chissà quanti ne avrebbe potuto vincere se fosse rimasto un dilettante. Questo non lo sapremo mai. Anche Rod Laver fece un percorso simile al collega Budge, infatti dopo il Grande Slam del 1962 passò professionista e non disputò più Slam fino al Roland Garros nel 1968 e dopo quello DOC del 1969 non si recò in Australia da detentore del titolo essendo lo Slam aussie un torneo declassato e i memebri della National Tennis League (tra cui Laver) erano stati bannati.

Djokovic era chiamato ad emulare Budge e Rod Laver e più che in ogni altra circostanza tutto sembrava apparecchiato per questo prestigioso record che manca ormai da troppo tempo. Anche Rod si è rotto le scatole e in un’intervista recente aveva dichiarato che gli avrebbe fatto piacere vedere il serbo succedergli. Ma tutti sappiamo come è andata la storia. Il sorteggio per Nole non era stato proibito, anche se questi aveva più arriso a Federer tra i top player più di chiunque altro. E’ tradizione che il campione uscente inauguri il Centre Court, ma non è tradizione che questi vinca 9 game consecutivi come se nulla fosse, ok che dall’altra parte c’è la wildcard James Ward, ma non un po’ di pietà, su. Sembra tutto scandalosamente facile ed ecco che tutto torna ad una dimesione più accettabile. Si arriva fino al tiebreak nel secondo e il terzo viene vinto per 6 giochi a 4. Il numero 1 non è al massimo del suo potenziale, ma questo si sa, nei primi turni degli Slam non è mai stato un cecchino e come un diesel carbura con il tempo.

Anche contro Mannarino non è splendido splendente, ma un Djokovic appena sufficiente è necessario per chiudere la pratica in 3 set. Al terzo turno si presenta Samquerreynumero1, ragazzone californiano dal mento importante e un servizio niente male. E’ riuscito a sopravvivere a Rosol nel primo turno battendolo solo per 12-10 al quinto set. Come è facile da aspettarsi la partita contro l’americano segue i turni di servizio per quasi tutto il primo set. La migliore risposta del circuito non riesce a brekkare. Ci sono 4 palle break per Sam, ma non chiude, tutto come da prassi. Si arriva al tiebreak e Djokovic è scandalosamente deficitario. I gratuiti fioccano ed è lui a perde il servizio per primo, riesce a portarsi sul 6-6 ma commette un obbrobrio sul 7-8 e consegna il parziale all’avversario. Perdere un set ci può stare, ma è assurdo e inspiegabile quello che avviene nel secondo set. Il radar serbo è in panne. Blackout totale. Querrey fa il suo e non deve far altro che raccogliere i cocci di una vita immaginaria, ottenere 2 break esiziali e dirimenti allo stesso tempo. 6-1 e due set a zero. L’incubo KA, Kevin Anderson, ripiomba nella mente prima fragile, poi inossidabile e ora di nuovo fragile di Djokovic. L’anno scorso aveva rimontato 2 set al sudafricano, ma qui sembra tutto perso, ma Nole alza gli occhi verso i monti, ma questa volta non gli arriva la luce, ma la pioggia. Una pioggia provvidenziale che salva il numero 1 del mondo e non ci avrebbe stupito vedere Sam Querrey con una catena al piede gridare:”Ti ha salvato la campanella! Ti ha salvato la campanella!“. La remuntavic non è un’utopia, molti ci credono per l’irrazionale fede, altri invece per i freddi e sempre precisi numeri. Alla seconda categoria appartengono i bookmakers che bancano la vittoria serba a 1.66 e quella americana a 2.20. Alla ripresa si gioca ad intermittenza peggio delle luci di Natale. Si gioca, non si gioca, si gioca, non si gioca…siamo sul Court No.1 e bisogna accettare tutto quello che viene dall’alto perché non c’è tetto. Appare comica a volte l’immagine che ci arriva dal campo con il sole che riscalda i teloni. Ma siamo clementi con gli organizzatori, non deve essere facile stare in baglia delle condizioni atmosferiche. Ma quello che è più importante è la partita e questa ci dice che Djokovic ha indossato l’armatura e il suo cosmo arde più che mai. Il settimo senso gli fa vincere il terzo set con 2 break easy che lo portano sul 5-0 e poi 6-3 con un break lasciato inspiegabilmente. E inspiegabilmente i primi 7 giochi del quarto set vanno ai vantaggi. Le palle break sono come le gocce della pioggia londinese e cadono copiose. La partita è bruttissima, e gli orrori con la “o” sono i protagonisti. Si arriva al 9° gioco e tutti sentono che quel break di Djokovic sia il preludio al quinto. Niente di più sbagliato. Nole si fa controbrekkare e si arriva al tiebreak. Qui non si capisce chi gioca peggio, difficile dirlo. Ma siamo certi che Djokovic è l’avatar di se stesso e butta alle ortiche record su record che erano alla sua portata. Si chiude così il sogno del Grande Slam, di vincere 5 Slam consecutivi, superare il record di Budge di vittorie consecutive negli Slam e la possibilità di diventare la chimera che tutti chiamano con una sigla: GOAT. Greatest of All Time. Troppo brutto per essere vero. Ci sta una sconfitta in finale contro un Murray, contro un Federer, ma non può essere un Sam Querrey qualsiasi a mandare in fumo IL sogno. Anche chi non tifa Djokovic ci teneva al Grande Slam, per il solo piacere di dire:”Io c’entro”. Ma nulla, Il Wimbledonazo è presto servito. Qualcuno cerca di fare un parallelo con il passato e la memoria non può che andare al Roland Garros 2009 quando Soderling spazzò via Nadal ancora imbattuto nel torneo con 4 titoli sul gruppone. In data 9 maggio 2009 Soderling non era certo ancora un grande tennista, ma lo avrebbe dimostrato in seguito se non altro per la finale poi persa contro Federer in quella edizione poi riconfermata l’anno successivo. Querrey non ha fatto molta strada in questo torneo e tutto è rientrato nella normalità. Felici di essere smentiti, ma difficilmente vedremo un Sam finalista Slam e vincitore nei Masters 1000 come fece il malefico Robin costretto poi al ritiro de facto nel 2011. Questo aggrava ancora di più la sconfitta di Djokovic, appagato sì della conquista del Roland Garros, ma che si è fatto sfuggire l’occasione della vita, che difficilmente ricapiterà. I giovani stanno crescente e Murray bussa alle porte del Paradiso.

Meriterebbe un libro a parte, ma cercheremo di essere sintetici e analizzare il caso Federer Roger. Proveniente dalla sua peggiore stagione dal paleozoico a questa parte era riuscito ad arrivare al “suo torneo” e anche se non in condizioni ottimali aveva deciso di partecipare all’evento che più di ogni altro lo ha reso grande. A detta sua se non fosse stato Wimbledon non avrebbe partecipato e se lo dice un 17 volte campione Slam c’è da fidarsi. L’urna era stata particolarmente benevola con lui e con il seedicidio della prima settimana ha avuto un percorso da favola. Forse il turno più impegnativo è stato quello contro Guido Pella. Lì si è visto un Federer  contratto e impacciato, ma è bastato per passare il turno.

Nella seconda partita si è giocata l’esibizione con uno suo grande fan. Il numero 772, tale Marcus Willis, riuscito ad arrivare fino a questo punto giocando settordici tornei di pre-qualificazione e qualificazione, sembra un bambino cui hanno regalato il giocattolo che ha sempre sognato. Il Centre Court è per lui, il risultato è sigillato con la ceralacca, ma tutti sono curiosi di capire cosa potrà accadere. Il primo set è un bagel omaggio senza scontrino. Nel secondo set finalmente Willis ottiene un game e si alza felice il grido di gioia della sua fidanzata e della mamma della sua fidanzata. La partita si chiude in 3 set e Marcus espone con gioia il suo trofeo personale, una foto con il suo idolo. Non è tanto proibitivo neanche il turno contro Daniel Evans che non sarà certo Willis ma fa la stessa fine, questa volta senza selfie finale. Nel quarto turno c’era l’incognita Johnson vincitore a Nottingham, ma anche lui è stato eliminato in 3 set. La notizia della sconfitta di Djokovic si è sparsa per tutto il mondo e Federer lo sa, e lo sanno anche i suoi fan che iniziano a sognare. Nel 2014 e nel 2015 solo il serbo si era dimostrato superiore e questa volta non c’è, vero che c’è Murray, ma l’esito della semifinale dell’anno scorso fa ben sperare. Intanto Roger è alla seconda settimana quando pochissimi ci speravano.

Passato il Manic Monday la partita più bella ed emozionante del torneo ed è quella tra Federer e Cilic. Inutile ricordare che il loro più vicino precedente risaliva alla semifinale degli US Open del 2014 dove un inspiegabile Marin aveva martellato Rogè.”I have a chance, BOOM….I have another chance, BOOM” è la frase che più di ogni altra sintetizza quell’incontro. I primi 2 set sono appannaggio di Cilic, l’inevitabile sta per materializzarsi e nonostante un volitivo Federer, Marin è spietato, preciso con il servizio e devastante con la potenza dei suoi colpi. Però l’impressione è che Roger non possa mollare facilmente, gioca bene, dà spettacolo e il terzo set arrivato grazie ad un break nell’8° gioco non è piovuto dal cielo. Ma è nel quarto che arriva il pathos. Lo svizzero annulla ben 3 match point, 2 sul suo servizio e uno nel tiebreak e il Centre Court si infiamma. Roger butta il cuore oltre l’ostacolo vince al quinto dimenticando di avere 34 anni (35 ad agosto) e dopo 3 ore e 22 minuti si qualifica per le semifinali per l’11a volta, semifinali dove non ha mai perso.

L’entusiasmo arriva alla stelle, quelli che credono al 18° diventano sempre più numerosi. Bel1ev8. L’avversario in semifinale è Milos Raonic. Alla vigilia del match la sensazione è che il canadese sia un avversario meno ostico di Cilic, perché se si inizia a scambiare perde la bussola. Lo sforzo fisico, ma soprattutto mentale, si materializza già nel primo set perso da Roger per 6 giochi a 3. Ma il cuore di Federer è un profondo oceano di segreti, vince secondo e terzo set e fa sognare. L’11a finale a Wimbledon che sarebbe un record assoluto per gli Slam non è più un’utopia, ma i sogni si possono trasformare presto in incubi. L’incubo arriva nel 12° gioco dove si materializza il “dritto della vergogna“. Alla terza palla break che Roger deve affrontare sul punteggio di 5-6 invece di sparare il dritto nella zona non coperta da Milos, glielo spara in bocca. Passante e fine dei giochi. Game over. Finito. Non si può chiedere allo svizzero di vincere 2 partite consecutive al 5° set e il 6-3 con un solo break consegnano l’inesorabile vittoria a Raonic che diventa così il primo giocatore nato negli anni ’90 ad arrivare ad una finale Slam. Ha 25 anni. Meglio tardi con mai.

Abbiamo parlato di Nadal, Djokovic, Federer e non vogliamo parlare del vincitore? Sarebbe inopportuno. Purtroppo quando è il favorito a vincere in maniera convincente c’è poco dire. La lapassianità potrebbe prendere il sopravvento, ma Murray ha compiuto una grande impresa a prescindere da come si è svolto il torneo. Eliminato Djokovic era lui l’indiziato numero 1 a succedere al serbo. Non ha subito la pressione di dover vincere a tutti i costi e tra i big è stato il primo che ha affrontato un avversario tosto. Le 3 partite iniziali sono state pleonastiche. Liam Broady, Lu Yen-hsun e John Millman non avevano nessuna intenzione di intralciare la strada al numero 2 del mondo e sono stati spazzati via senza complimenti. Kyrgios doveva essere sulla carta il primo grande ostacolo, ma si è sciolto come neve al sole. Troppo superiore nello scambio Andy e un po’ ballerino il dritto dell’australiano che non ha opposto tanta resistenza. Ci si poteva e doveva aspettare una prova superiore dal giocatore di Canberra, ma si sa che lui è un tipo di “o la va o la spacca”, questa volta non è andata. Forse vincerà qualcosa di importante anche se fosse un solo Slam, ma questa cartuccia è stata sparata malamente.

I quarti di finali dovevano essere una formalità, ma Andy è riuscito a complicarsi la vita più del dovuto. Andato avanti di 2 set non senza fatica è riuscito a farsi riagganciare, e un piccolo brivido è corso nella schiena dei londinesi. Il quinto è stata una passeggiata di salute, ma questi scherzi non si fanno, Andyno! Parlare della semifinale sarebbe come spiegare perché il mare è azzurro. Un triplo 6-3 contro Tomas Berdych che si rivela il medio-man più medio-man non si può. Un tennista che arriva sempre in fondo ed è forte con i deboli e debole con i forti non a caso detiene il record di sconfitte contro un top ten.

Tra gli altri protagonisti del torneo segnaliamo in ordine di tabellone il vecchio Ferru, o il Ferru vecchio se preferite, che inesorabilmente sembra alla canna del gas. L’anno scorso non aveva partecipato e questa era un’ottima occasione per tornare in top ten, ma si è dovuto fermare contro Nicolas Mahut che uno dei pochissimi che gioca da erba sull’erba. Mahut è sicuramente tra i promossi di questo torneo, se non fosse altro per il titolo di doppio vinto, doppio che forse solo a Wimbledon ha ancora un senso (ricordiamo che si gioca 3 su 5, però i primi turni sono stati giocati 2 su 3 a causa della pioggia). Mahut è riuscito ad arrivare fino al quarto turno sconfitto solo da Sam Querrey vincitore morale di questa edizione (promosso con lode). David Goffin (promosso con debito) ha fatto il suo arrivando fino agli ottavi di finale strappando 2 set al futuro finalista Raonic prima di cedere al quinto. Anderson (bocciato) non è riuscito a ripetere il grande exploit dell’anno scorso e ha perso nel primo turno, ma è parzialmente giustificato dall’infortunio che lo ha tartassato da inizio stagione. Bocciati i vari Monfils, Simon e Dimitrov cui una sua vittoria ha dato adito a gesti di pura follia. Si sono ammazzati a vicenda spalancando la strada a Federer. Cilic (promosso) ha disputato un ottimo torneo, certo, il tabellone è il cartonato fragile Nishikori gli hanno dato una mano, ma ha messo in campo una prestazione maiuscola contro Federer. Cilic ci dà l’assist per valutare il samurai con la racchetta che si è rotto ancora una volta (non classificato e non classificabile). Thiem inesorabilmente bocciato. C’erano grandi aspettative su di lui e il titolo a Stoccarda forse avevano illuso troppo, tra i giovani è il miglior prospetto, ma perdere contro Vesely non è un ottimo biglietto da visita. Avrà occasione per rifarsi. Jiri (promosso) è stato protagonista di una prestazione inattesa ed è riuscito ad arrivare al quarto turno a salvare match point con Berdych fino al quarto set per poi perdere con Tomas alla ripresa al quinto. Zverev (rimandato) si farà anche se è alle spalle strette (‘sti cazzi, è alto 1.98 m!) ed è spettato al marito della Satorova estrometterlo dal torneo. Applauso a Del Potro (promosso) vincitore contro Wawrinka (bocciato) che ormai sembra essere un numero 5 diversivo. Promozione a pieni voti per Pouille che cheto cheto è riuscito a ritagliarsi un posto nei quarti finale. Tsonga (promosso) è stato protagonista della maratona del torneo vincendo 19-17 al quinto contro John Isner che è talmente affezionato all’erba di Wimbledon che se non va per lunghe nel quinto set non è felice. infine troviamo Kyrgios (bocciato con la condizionale) e Fognini vincitore della palma d’oro del Galateo promossa dal Duca di Kent e Papa Francesco.

Record

Andy Murray vince il suo 2° Wimbledon, il 3° torneo del Grande Slam della sua carriera cui si aggiunge la medaglia d’oro vinta sempre sull’erba del Centre Court. Si tratta del 38° titolo in carriera per lui, l’8° su erba che lo piazza 5° posto nell’era Open come titoli vinti sul verde agganciando Laver, McEnroe e Hewitt. Per la 2a volta chiude lo “Slam verde” con la doppietta Queen’s-Wimbledon. Con questa vittoria arriva a 10.195 punti a 4.845 dal numero 1. Nella race consolida il 2° posto e si qualifica matematicamente al Masters e qui ha solo 815 di distacco da Djokovic. Inutile negare che Murray è diventato uno dei migliori della storia a non essere mai stato numero 1 (almeno dal 1973 in poi) dietro soltanto a Vilas che nel 1977 a causa di un ranking un po’ ballerino non arrivò alla vetta del ranking ATP, anche se da poco si è scoperto esserci arrivato davvero nel 1975 però in una delle settimane in cui l’ATP non aggiornava le classifiche. Inspiegabile.

Conclusione

La legacy che ci lascia questo torneo è innanzitutto che Djokovic NON è finito. Una sconfitta ci può stare seppur grave. Siamo stati abituati a vederlo rivincere per cui ci si aspetta che non debba perde mai. A questo punto della stagione i suoi obiettivi sono prevalentemente 3: Olimpiadi, Cincinnati e US Open. Una eventuale vittoria a Rio sarebbe storica e aggiungerebbe un grande tassello al suo prestigiosissimo palmares. Difficilmente ripeterà la stagione dell’anno scorso che rimane ad oggi la 2a dell’era Open. Per eguagliarla non dovrebbe perdere mai da qui a fine stagione ma comunque rimarrebbe la macchia di Wimbledon ad inficiare un eventuale paragone. La seconda grande eredità ha un nome e cognome: Andy Murray. il “perdente” di lusso è riuscito finalmente a portare a casa un altro Slam e questo potevamo aspettarcelo, ma grazie all’ottima stagione che sta disputando ha riaperto la corsa al numero 1 di fine stagione. Fino agli US Open la vetta del ranking ATP è blindata, ma dato il successo dell’anno scorso di Djokovic e il 4° turno da difendere ci potrebbe essere un ribaltone. Un altro Sam Querrey potrebbe sconvolgere le gerarchie del tennis dando ad Andy forse quello che si merita, ossia almeno una settimana da numero 1, ma inesorabilmente questo toglierebbe lo scettro a Nole a caccia di nuovi record tra cui il non poco sottovalutato record di 302 settimane da numero 1 ATP cha appartiene a Roger Federer. Un Federer che è ritornato ai suoi standard è sembra incredibile come a quasi 35 anni possa essere arrivato così lontano, ma se l’anno scorso si diceva che perdeva solo da Djokovic quest’anno non si può più dire. Si dice sempre che è l’ultimo treno, ma come ci ricorda un nostro fedele utente: “Sono almeno 3-4 anni che perde l’ultimo treno. Fatto sta che in stazione lui c’è sempre“. Nadal è ai box e potrebbe tornare a Toronto, da lui non ci si aspetta nulla. Con la vittoria a Monte Carlo ha chiuso tanti conti in sospeso, forse tutti. La speranza è l’ultima a morire, ma è difficile ipotizzare una sua vittoria a Flushing Meadows o addirittura al Masters. Adesso il grande tennis si ferma per 2 settimane dove si disputeranno i quarti di Coppa Davis, poi inizieranno le US Open Series e i tutti i top player torneranno il 25 luglio per Masters del Canada che inaugurerà un tour de force che passerà per le Olimpiadi, Cincinnati e gli US Open. I giochi sono riaperti e si spera di avere dei match avvincenti soprattutto tra i 2 giocatori migliori del mondo che si contendono lo scettro di re del tennis mondiale.