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Wimbledon 2018: C’era un giapponese in coma

 

Dopo i doverosi omaggi al trionfo di Djokovic, passiamo alle note dolenti di questa edizione straordinaria dei Championships. L’uomo più atteso, proprio lui, era Roger Federer e non poteva essere altrimenti, visto che l’algoritmo verde gli ha assegnato la tds 1 nonostante fosse il numero 2 del mondo. Dopo la batosta di Halle si aspettava il riscatto elvetico e soprattutto un gioco più efficiente e performante di quello visto in Germania. Però prima delle partite, ossia di quello che conta, c’è un retroscena non da sottovalutare che ha scosso un po’ l’ambiente del tennis tutto, visto che non si muove foglia che Roger non voglia. Dopo anni e anni di sponsorizzazione da parte dell’azienda americana Nike, Rogé ha deciso di non prolungare il contratto, in realtà scaduto a marzo, per abbracciare l’offerta della giapponese Uniqlo, già fornitrice ufficiale di Nishikori, e in passato, di Novak Djokovic. Più che il passaggio finanziario, economico, che è plausibile in una logica in cui impera il professionismo, ergo il dio denaro, fa scalpore l’abbandono di un marchio che da sempre è stato icona dell’immagine di Federer. La Nike ingaggiò Roger quando era ancora ragazzino. Non è strana questa policy, anzi è da decenni l’impronta digitale della Nike che aggancia fin da subito quelli che hanno delle ottime prospettive e che possono diventare campioni. La Nike è stata una delle prime aziende a capire che pagare milioni di dollari ad un atleta perché indossi i suoi manufatti (si fa per dire) dia un ritorno economico non indifferente, per quanto possa sembrare illogico che vendere delle scarpe che porta Tizio o Caio possa portare alle casse dell’azienda molti più milioni di quelli che si spendono. Il precursore di questo trend è stato Michael Jordan, che forse qualcuno sa, iniziò le sue avventure sul parquet con le Adidas. Presto l’azienda di Beaverton capì che era lui l’uomo immagine dell’NBA e dello sport americano in generale, e iniziò a pagarlo profumatamente perché indossasse le scarpe con lo sbuffo. Fu così che negli scaffali deli articoli sportivi iniziarono a comparire le Air Jordan, scarpe “da tennis” di dubbio gusto, che però valevano qualche centinaio di mila lire dell’epoca solo perché le indossava Jordan. I ragazzini di tutto il mondo si invaghirono di queste scarpe e da qui iniziò la reazione a catena che coinvolse tutti gli sport. Non esiste uno sport in cui la Nike abbia investito dei soldi. Il baffo è possibile vederlo anche nelle palline da golf, in quelle di football, nei caschi del lacrosse (oltre all’ovvia presenza nel mondo del calcio). Con gli anni la Nike è diventato quasi uno standard nel mondo dello sport, e anche se la sua linea può piacere o meno, è stata sempre lei a dettare la moda. Una sorta di punto di riferimento che decide cosa è bello e cosa non lo è. Ed è per tutti questi motivi che diversi Federer fans hanno storto il naso su questa scelta. Va bene il contratto milionario decennale: si parla di 30 milioni di dollari l’anno per 10 anni, anche se poi pare che l’offerta sia scesa a 10 milioni l’anno, però Roger non puà perdere un tassello immancabile nel suo mosaico di peRFezione che ormai lo contraddistingue da anni. La linea Uniqlo non ha nulla a che vedere con quella della Nike. Per quanto possa essere lo stesso Giorgio Armani a disegnare la sua linea, la concorrente americana sarà sempre un passo avanti, proprio perché portatrice dello standard, portatrice del bello. Ci sono diverse aziende tessili che producono degli ottimi capi per il tennis, come Sergio Tacchini o la stessa Lacoste, anche belli esteticamente, ma la Uniqlo non ha né il “peso politco”, né soprattutto lo stile per produrre dei capi “belli” per Federer. Nishikori è stato il capro espiatorio di questa tendenza che ha spinto i suoi compatrioti ad investire così tanto in questo settore di nicchia e su un 36enne che inesorabilmente ha alle spalle il meglio della sua carriera. Sembra quasi scontato che ormai Roger sia incamminato verso le Olimpiadi di Tokyo, che potrebbero essere il capolinea della sua carriera, capolinea in cui magari si scapperà un oro targato Uniqlo.

Tolta la digressione estetica ci si concentra sui risultati del campo che fino all’ultima partita sono tanti eccezionali, però ad un certo punto è arriva la grande mazzata che nessuno si aspettava. È stato strano vedere un giocatore di 36 anni essere favorito a Londra, eppure era Roger l’uomo da battere secondo i bookmakers e secondo tutti gli esperti. La vittoria a Stoccarda, la finale ad Halle e soprattutto i 3 mesi di stop volontario in cui la terra battuta è stata (forse) vista alla TV in pantofole, facevano presagire ad un altro trionfo dello svizzero che già l’anno scorso aveva vinto qui e senza perdere un set, come mai gli era capitato. Inutile ribadire che Roger aveva puntato tutto su questo torneo, che è quello che più gli si addice e quello in cui ha maggiori possibilità di vittoria, data la superficie, l’erba, in cui non esistono più “specialisti” e sempre circoscritta ad uno spicchio troppo stretto di stagione.

La prestazione un po’ altalenante e non certo lusinghiera di Halle era stata completamente messa in archivio quando è sceso in campo il 1° lunedì ad inaugurare, come da tradizione, il Centre Court, con l’erba fresca, tosta che ce poi attaccà un quadro. Lajovic è stato spazzato via con pochi complimenti ed è iniziata la conta dei servizi tenuti consecutivamente, i set vinti consecutivamente, tutti i record à la Rogé. Stessa sorte è spettata a Lacko nel secondo turno. Ancora servizio immacolato, addirittura mai ai vantaggi e record che lievitavano. Nel terzo turno c’era Struff e a parte qualche parente, nessuno lo ha mai visto giocare sull’erba. Anche lui regolato facilmente. L’unica nota positiva del tedesco è quella di essere arrivato a 5 game in un set, per il resto tutto da dimenticare. La prima testa di serie incontrata è stata Adrian Mannarino. Si aspettava Borna Coric, però il croato ha avuto un contrattempo e si è fermato alla prima stazione, quella russa di Medvedev. Il vincitore di Halle, chiamato a confermare dove conta il lusinghiero risultato teutonico, è stato spazzato via alla prima difficoltà. Il risultato è semplice: il tabellone già easy per Federer diventa ancora più easy. Talmente easy da fare schifo. Il primo set contro Mannarino è esemplificativo. Il francese non c’è in campo. Troppo brutto da vedere perché si possa parlare di una partita seria nel Manic Monday, il giorno dei giorni del tennis. Bagel nel primo e partita andata inesorabilmente. Federer tira il freno nei rimanenti 2 parziali e ottiene il massimo risultato con il minimo sforzo, allungando ancora la serie di servizi vinti consecutivamente. Il cammino innocente di Roger continua con un altro giocatore che non ha la minima intenzione di essere paragonato al suo avversario. Ha fatto finale a New York, ma tutti si ricordano di lui per essere stato uno dei peggiori finalisti Slam degli ultimi anni e dell’era Open. Se il suo servizio potente può rappresentare un grattacapo per qualche giocatore da fondo, per un tennista dal grande servizio e dal bel giuoco da fondo come Federer le sue skills sono del tutto attaccabili e vulnerabili da chi sta dall’altra parte della rete. In parola povere: Roger non ha mai sofferto i bombardieri. Non è difficile arrivare a questo assunto, data la struttura intrinseca di una partita di tennis. Chi batte e batte bene e dall’altra parte ha un giocatore scarso in risposta tiene bene i suoi turni di servizio. Se batte il bombardiere e non è al 100% quando inizia lo scambio vede arrivare delle palle alle quali non può arrivare. Come se non bastasse il tiebreak in questo schema premia di più il non bombardiere, che può permettersi di entrare nello scambio in quel punto del gioco decisivo, evenienza non contemplata dal bombardiere che non può sbagliare nulla. Ecco perché Anderson è dato a 10 e Federere a 1.02. Sono quote da primo turno di un ATP 250, non di un quarto di finale Slam. Le prime battute della partita sembrano rispecchiare a pieno il paradigma pocanzi esposto e il 6-2 iniziale è il lemma ad un assioma visto e rivisto. Kevin non ne ha da fondo e se si entra nello scambio è lento e sbilenco. Nulla di nuovo sotto il sole. Va un po’ meglio nel 2° set quando almeno il servizio sudafricano va bene e si arriva così al tiebreak. Qui la tds 8 spara a salve e imbarca acqua da tutte le parti. Il 2° set va, come previsto, in Svizzera e si attende solo il 3° e ultimo set. Il parziale scorre via liscio fino alla 10° gioco. Al servizio c’è Anderson. Parte bene, però poi sbaglia clamorosamente. Vantaggio Federer ed è match point. Non va. Anderson si toglie dalle sabbie mobili e addirittura si permette di breakkare il Re nel turno di battuta successivo. Incredibile come da qui in avanti inizi un’altra partita, non prima però di avere visto il NON Show elvetico. Il set non è ancora chiuso e nonostante la striscia dei servizi tenuti consecutivamente sia andata c’è da chiudere il set e il match. 0-40 e 3 palle per il controbreak. Ancora sprecone svizzero. Non ci si crede. Sembra una partita stregata e lo è. Anderson vince 5 punti consecutivi e si porta a casa il 3° set. Federer non è più Federer. Nella mente gli balena il match point sprecato e all’improvvisto si accende la luce sudafricana. Anderson diventa superiore nello scambio. È agile. Non lascia nulla al caso e si permette anche qualche passante. La versione beta scarsa dello svizzero più forte di sempre ritorna sul Centre Court dopo tanti anni. Anderson ottiene il break nel 7° gioco e da lì fino alla vittoria del set, non senza avere annullato ancora (2) palle break. Federer aveva vinto la partita, ora deve ricostruire tutto da capo. Non c’è tiebreak e questo è un guaio. Se si va oltre il 6 pari il bombardiere ha un leggero vantaggio. Sì, siamo sul 6 pari, long set sia e sberle a oltranza. Tutti giocano al meglio sul proprio servizio e come 2 squadre che vogliono pareggiare, nessuna delle 2 vuole affondare. La tenzone si allunga e tra il nervosismo generale non si riesce ad avere un vincitore. È Federer a precipitare nel baratro al 23° gioco. È lui a cedere per primo la battuta. Nessuno dei presenti vuole crederci. Anderson batte e si porta a casa game, set e match, è lui il vincitore di una sfida che ha visto Federer avanti di 2 set, con match point a favore, e con maggiori punti fatti. È la prima volta che capita allo svizzero un affronto del genere. La partita per le statistiche è abbondantemente sua, ma non per l’arbitro che deve assegnare la vittoria a chi fa l’ultimo punto. Tutte le certezze di questo Wimbledon scontato evaporano come neve al sole. Anderson va in semifinale e non sa nemmeno lui come ha fatto.

La non difesa del titolo costa cara alla tds 1 che si vede distanziare da Nadal che nel frattempo arriva fino alle semifinali. Rafa è avanti di 1740 punti nella race rispetto allo svizzero nonostante abbia saltato tutta la tournée primaverile in America. Anche il ranking penalizza molto Federer, però qui c’è la cambiale newyorkese per Rafa che pesa tanto e non si esclude che proprio nella grande Mela ci possa essere un altro sorpasso. La sfida per il numero 1 di fine anno è ancora lunga e solo dopo gli US Open ci potranno fare bene i conti.

Però, a prescindere dalle classifiche, quello che più fa scalpore e il non risultato di Federer che poteva e doveva vincere a Londra. Poteva perdere con un grande come Nadal o un ritrovato Djokovic, non certo da Anderson che non ha un briciolo di tennis per poterlo battere. Uscire ai quarti di finale lo riporta indietro di tanti anni, gli anni in cui era stato messo alla porta dai suoi più acerrimi rivali. Però in quell’epoca contavano molto i risultati, anche quelli intermedi, oggi contano meno per un Federer che vuole solo allungare il palmarès con altri tornei, anche minori, perché no, per raggiungere il non tanto lontano 109 di Connors e concentrarsi sugli Slam, ma solo quelli sul veloce. Il Roland Garros ormai è un non tanto bello lontano ricordo. Il prossimo obiettivo sarà Toronto, però con l’asterisco, visto che l’anno scorso la campagna canadese non fu foriera di buoni risultati, anzi fu la causa dei malanni che lo portarono a saltare uno dei suoi tornei preferiti, quale Cincinnati, e a non essere al 100% per gli US Open. Se Federer ha imparato la lezione dovrebbe andare direttamente nell’Ohio. Non si capisce perché non debba saltare un altro Masters 1000 visto che ne ha saltati a iosa quest’anno, e uno più uno meno non farebbe la differenza. Però Federer è Federer. L’uscita prematura a Wimbledon lo proietta verso una scelta diversa da quella preventivata ed sarà ancora la fame di record quella che lo porterà con ogni probabilità a Toronto a rincorrere Connors e qualsiasi altro record che ancora non gli appartiene. La speranza del mondo del tennis è di vederlo giocare a prescindere. Chissà cosa penserà in queste 3 settimane, oltre al match point sprecato con Anderson e ai milioni giapponesi.