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ATP Miami 2016: Six on the beach, Djokovic vince il 6° titolo, il 28° Masters, è record assoluto

Djokovic Miami 2016

Il torneo di Miami si è chiuso come si era chiuso quello di Indian Wells, ossia con una non finale. Inutile stare a fare paragoni tra le 2 partite che non presentano alcuno spunto a livello tecnico-tattico ed evidenziano, se mai ce ne fosse il caso, che il numero 1 del mondo è solo lui, Novak di nome e Djokovic di cognome. Se alla vigilia dell’atto conclusivo di Indian Wells ci poteva essere un po’ di incertezza sul risultato con un Milos Raonic che sta disputando un ottimo inizio di stagione, che poteva essere pericoloso con il suo servizio e le discese a rete che sono sempre più frequenti dopo il divorzio con Ljubicic, qui l’unica incognita riguardava il risultato ma non il vincitore. Kei Nishikori allo stato attuale non ha nessuna chance di impensierire Nole, forse neanche se giocasse al 100% come era stato agli US Open 2014, sua migliore prestazione in carriera. Il suo servizio è deficitario e contro uno dei migliori ribattitori della storia è difficile poter pensare di vincere. Tenere il servizio è alla base del tennis, soprattutto maschile. Molto spesso ci si dimentica dei fondamentali parlando di astruse congetture sul back, top e slice e non ci si focalizza su un aspetto fondamentale che riguarda il primo colpo dello sport del tennis.

La partita

Il cielo sopra Miami, a differenza di quello di Berlino (sia nel film che nei Mondiali 2006), non è azzurro, ma ci sono delle nuvole che mitigano il clima abbassando leggermente la temperatura rispetto ai giorni passati e dai consueti 30-32 °C si passa ai 26 °C. Questa è cosa buona e giusta per gli spettatori e lo è anche per Djokovic che nei giorni passati aveva palesato una evidente sofferenza al caldo, diventando visibilmente paonazzo in volto e prendendosi delle pause un po’ più lunghe del consentito, ma nulla di grave. Le nuvolette sopra il centrale si dimostrano così amiche di Djokovic ed un ulteriore vantaggio per lui, come se ce ne fosse bisogno.

A vincere il sorteggio è Nishikori che decide di rispondere. Nole al servizio non sembra tanto efficace all’inizio e accusa le geometrie del giapponese ed è particolarmente falloso, Nishi così ne approfitta e ottiene subito il break. Quando gli spettatori fanno:”Ohhhhh” è una meraviglia, ma l’illusione di vedere una partita dura poco e quella di un clamoroso upset è inferiore alla vita di un bosone Z (che per inciso campa 10-25 secondi, una vita breve ma intensa). Nole è troppo forte in risposta e appena lo scambio si allunga è sempre lui ad avere la meglio approfittando anche di un Nishikori che al servizio è troppo lento per poter impensierire il numero 1 del mondo. Siamo sull’1 pari. La partita fatta di tanti palleggi diventa un po’ noiosetta, fila via liscia, ma c’è poca emozione sul campo da trasmettere agli spettatori e ai telespettatori. Si arriva fino al 6° gioco con al servizio Nishikori, il break ferale arriva ai vantaggi e il primo parziale sembra pronto per andare in archivio. Ma anche Djokovic ques’oggi non è un cecchino al servizio e piuttosto clamorosamente non approfitta per chiudere e si fa brekkare suscitando gli “ohhhh” degli spettatori. Nishikori non brilla certo di solidità mentale e di killer instinct e come da copione non tiene il servizio per la terza volta nel match che per questo determinato aspetto ricorda un po’ la WTA dove il servizio non la fa sempre da padrone, per usare un eufemismo. Sul 5-3 all’improvviso Nole si riscopre servebot e chiude a zero e si aggiudica il parziale.

A questo punto il prosieguo è del tutto pleonastico, ma siccome ci piace guardare le statistiche e i numeri, un po’ come avviene nel baseball, andiamo avanti con la cronaca. Questa volta a servire per primo è il giapponese e, secondo gli esperti, questo potrebbe essere un vantaggio, ma così non è. Nole brekka in apertura e non si capisce perché ancora ci sia partita. In alcune competizioni del baseball (ancora lui) si sospende la partita per manifesta superiorità, una regola che forse dovrebbero introdurre anche nel tennis e oggi farebbe comodo a tanti puristi che non vorrebbero assistere a dei massacri in cui il carnefice è sempre uno e a cambiare è sempre la vittima. “Non è finita finché non è finita” diceva Yogi Berra (ricevitore dei New York Yankees….terza volta che parliamo di baseball), ma qui il concetto super-tautologico di Berra è messo in discussione, perché non c’è più nulla da dire. Le palle break che potrebbero riaprire il match sono assenti e a essere protagonisti sono degli uccelli che in gruppo sorvolano il Crandon Park. Una palla break c’è ma è dalla parte “sbagliata” e non viene trasformata da Nole. Siamo nel 7° gioco. Nell’8° forse c’è speranza? No. Servizio tenuto a zero. Nishikori va a servire per “rimanere nel match” una frase che può sembrare banale ma se la si analizza forse in questo caso la si può interpretare anche dal punto di vista letterale. Kei serve per il match, ma visto che non vuole rimanerci butta via il servizio e Nole al terzo match poi chiude set e partita e tutti a casa.  A festeggiare sono i tifosi di Nole e anche la Uniqlo che vestiva entrambi i finalisti. Bravi!

Il torneo

Il quadro clinico che emerge da questo Masters 1000 è alquanto desolante. Se da un lato ci sarebbe da essere “felici” che la vecchia guardia sta per abdicare dall’altro l’ennesimo rinvio al successo importante per un giocatore nato negli anni ’90 non è di buon auspicio. Il field iniziale faceva sperare in un ottimo torneo. Finalmente Roger Federer, operato al menisco dopo la semifinale persa agli Australian Open, stava per tornare in campo. La notizia aveva colto di sorpresa tutti, visto che i suoi fan si erano dati appuntamento a Monte Carlo per poter riabbracciare il loro beniamino. La notizia quindi era molto positiva e trovava anche qualche riscontro in alcune foto postare su Twitter dallo svizzero in cui si vedeva chiaramente che si stava allenando sul cemento e col senno di poi possiamo dire che molti di noi ci eravano sbagliati. Il sorteggio aveva posto Roger nella parte alta del tabellone come numero 3 del seeding e nel secondo turno (nel primo aveva un bye) c’era Juan Martin Del Potro ad attenderlo per una sfida tra “scassati”, visto che anche Del Po era al rientro nel circuito dopo N (non si quante) operazioni al polso. Ma ecco l’imprevisto, che cosa è successo? Non si sa, o meglio si sa, ma la versione ufficiale non convince. Non convince perché c’è troppo mistero su quello che è successo e la versione ufficiale non è così chiara. Federer, visibilmente provato, si è presentato in conferenza stampa per dire che non poteva scendere in campo a causa di un virus allo stomaco che non gli aveva permesso di essere al 100%. Già di per sé indire una conferenza stampa desta dei sospetti (poi dopo il caso Sharapova non ne parliamo), ma farlo per un virus non è proprio il massimo anche se ti chiami Roger Federer. Ma quello che conta è la storia e questa ci dice che l’ex numero 1 del mondo non è sceso in campo e, salvo altri imprevisti, dovrebbe apparire a solo a Monte Carlo.

C’era grande attesa anche per Rafael Nadal che ha ormai perso completamente la bussola, ma che ad Indian Wells era arrivato in semifinale ed è uscito solo perché battuto da Djokovic anche se in un match senza storia. La semifinale in un Masters 1000 dovrebbe dare la carica e la prima partita del torneo per lui contro il bosniaco Damir Džumhur doveva essere una formalità. Ma da formalità si trasforma in in un incubo. Vinto il primo set per 6-2 cede clamorosamente il secondo, anche se lottando, e nel terzo “quando vede San Pietro sopra la rete è segno che la tragedia sta per finire”. Sì, perché si tratta di una tragedia, la roccia Nadal accusa un colpo di caldo improvviso chiede il Medical Time Out per farsi misurare la pressione ed è finita, finita. Rafael Nadal si ritira per il caldo, qualcosa di assolutamente inconcepibile fino a qualche tempo fa, perché Rafa è un giocatore che non ha mai temuto il caldo, anzi è stato sempre un fattore a suo favore, non a caso al Roland Garros è stato sempre vincitore nelle sfide sotto il solleone che ha dovuto sostenere contro tutti, soprattutto contro Djokovic e forse anche per questo Nole si ritrova non zeru tituli a Parigi. Quindi abbiamo: Federer fuori, Nadal fuori, chi rimane della band? Andy Murray. il Ringo Star dei Fab 4 è quello che forse ha deluso più di tutti. Battuto un Istomin che ormai è di fatto un ex giocatore, si è fatto rimontare da l’ex Sharapovo Grigor Dimitrov, un’altra di quelle cose della vita che fanno pensare. Andy non è più lo stesso da quando gli è nata una bambina e lo dice anche lui. In una intervista ha dichiarato che per lui la famiglia è prioritaria. Una bella frase se detta da un “uomo qualunque”, ma detta dal numero 2 del mondo che deve per diritto sportivo contrastare il numero 1 suona quasi come una resa, forse dettata anche dalla consapevolezza dei propri limiti e del fatto che sarebbe impossibile oggi come oggi puntare ad essere il numero 1 del mondo. Sotto questo punto di vista suonano profetiche le parole di Lendl che dopo avergli fatto vincere il primo Slam, Wimbledon e le Olimpiadi aveva deciso di interrompere il rapporto professionale con lo scozzese dicendo che aveva tirato fuori il massimo da un giocatore del suo calibro…e forse Ivan aveva ragione.

Tolti di mezzo i suoi maggiori competitor a Nole non rimane altro che vincere, c’è poco da fare. Il tabellone per lui si è spalancato subito, e non stiamo qui neanche ad approfondire l’uscita di Wawrinka che tutti apostrofano come l’unico in grado di battere il serbo, contro Kuznetzov, e socì quasi tutti i match per lui sono stati una formalità. Lo sono stati quelli con Edmund e Sousa, non lo è stato invece quello con Thiem. Il match con l’austriaco era molto atteso per diversi motivi: per testare i “giovani” (anche se tanto giovane Dominic non lo è essendo del 1993) e per vedere come se la cava Djokovic con un avversario nuovo e in forte ascesa. La partita è stata emozionante, non tanto per il risultato, ma per il copione che si è visto in campo, assolutamente inedito, ma alla fine ha prevalso la solidità del più forte. Djokovic è stato deficitario al servizio e ha concesso ben 15 palle break di cui una sola convertita e un’altra molto dubbia, non per l’effettivo “out” che poi è stato verificato dal falco, ma perché il challenge è stato chiamato in ritardo e Nole era andato a sedersi convinto di avere torto. Ad aggravare il quadro ci sono anche 9 doppi falli. Il tutto ci fa capire come il 6-3 6-4 sia un punteggio del tutto bugiardo. Il serbo ha meritato la vittoria, ma poteva finire molto diversamente. I turni successivi sono stati una pura formalità e sia Berdych che Goffin si sono dovuti inchinare alla legge del più forte, anche se nel match contro il belga ci sono alcuni episodi da recriminare come un lob millimetrico dubbio e una palla break sbagliata malamente da David. C’è stato anche il fattore caldo che ha influito negativamente sulla prestazione del numero 1 del mondo che molte volte ha sbuffato e inveito anche in maniera eccessiva per certi gusti.

I record

I domini saranno anche noiosi ma ci costringono con piacere a riscrivere i record che ad ogni passo diventano sempre più pesanti. Quello che pesa in assoluto di più è il record di Masters vinti. Con la vittoria a Miami Djokovic supera Nadal a quota 27 e si staglia al primo posto con 28 successi complessivi. Per Nole questa è stata la 17a finale consecutiva in un torneo importante , considerando come importanti gli Slam, le Finals e i Masters 1000. Con questo successo arriva a 16540 punti, che non è record, il massimo raggiunto sempre da lui è 16785 punti, ma si distanzia dal numero 2 di 8725 punti, questo sì che è record. Nole colleziona il suo 6° Masters di Miami e aggancia in questa classifica Andre Agassi. Per la quarta volta fa registrare la doppietta Indian Wells-Miami, la terza consecutiva e la terza tripletta Australian Open-Indian Wells-Miami. Numeri che nessuno aveva mai fatto registrare.

Capitolo giovani

Se la vecchia guardia, tranne uno, sta per abdicare  per i giovani c’è un piccolo spazio che si sono ritagliati durante il torneo. La palma di migliore della cucciolata va a Nick Kyrgios che con i suoi 20.95 anni è riuscito a spingersi fino in semifinale. Un traguardo storico, infatti per trovare un giocatore della sua età in una semifinale di un Masters bisogna risalire ad Indian Wells 2008 quando Novak Djokovic vinse il torneo a 20.85 anni. Oronzo ha ben figurato sopratutto contro Milos Raonic che è apparso impotente di fronte al servizio di Nick e allo scambio prolungato che spesso e volentieri ha favorito l’australiano. Ma in semifinale è prevalsa la maggiore solidità di Nishikori che con le sue geometrie ha irretito Nick apparso un po’ sottotono al servizio rispetto al match con Milos. Promosso a pieni voti è anche Thiem che ha ben figurato, come già detto, con Nole e che con il suo rovescio ad una mano può essere un valido avversario per il serbo soprattutto sulla terra battuta. Una nota di merito va anche a Lucas Pouille, classe 1994, che ha battuto a sorpresa David Ferrer che per quanto sia sempre “Ferru” col tempo inevitabilmente si sta arruginendo e la sua 8a posizione nel ranking ATP è molto labile. Il prossimo torneo di Monte Carlo giocato sulla terra battuta ci darà maggiori informazioni sull’evoluzione delle dinamiche del circuito.