ATPEditorialeUltimi articoli

ATP Monte Carlo 2018: Onze Upon a Time in Monaco, Nadal vince il suo 11° titolo nel Principato

Dominio, dominio e ancora dominio. Il Re della terra battuta ha ancora fame. Stravince il Torneo di Monte Carlo e colleziona il trofeo numero 11. Record impensabile.

La partita

La vigilia della finale è stata una delle più soft della storia del torneo. Nessuna persona dotata di ragione poteva pensare che ci potesse essere partita pari tra Nadal e Nishikori. Certamente il Nishikori in his prime può mettere in difficoltà Rafa, ma qui Nishi è lontano anni luce da quando era numero 4 del mondo, e, se qualcuno l’avesse dimenticato, ha iniziato la stagione 2018 giocando il Torneo della Parrocchia Atea di Tokyo. Le “speranze” di avere un match sono molteplici. Il Principe si potrebbe improvvisare cecchino e sparare al numero 1 del mondo. Però darebbe troppo nell’occhio. Si potrebbe mandare qualche sicario negli spogliatoi e spezzare il mancino a Rafa come a Giorgione Desideri in un famoso film con Bud Spencer. Soluzioni alternative, o quantomeno ortodosse, non ce ne sono. Se si gioca secondo i canoni stabiliti da Walter Clopton Wingfield nel 1875 non può esserci partita. Nel corso del torneo la tds numero 1 era andata subito in vantaggio di un break nei primi game, però qui qualcosa sta cambiando. Primo game ordinario e secondo che testimonia che forse lo spagnolo numero 1 del mondo può essere scalfito. Game fiume, una palla break e gioco che va a Nishikori. Kei ha un grande rovescio e fa correre da una parte dall’altra del campo il suo avversario. Rafa fa quello che può però questa volta è lui a subire il break per primo. Incredibile, ma vero. Nadal è sotto di un break nella finale di Monte Carlo. L’anomalia statistica dura poco, pochissimo. Radar resettato ed ecco le sassate. Arriva subito il controbreak. E di fatto la partita finisce qui. Si vedono dei topponi talmente alti che fanno la barba ai gabbiani da scogliera. La TV standard 2D non rende giustizia al magistrale e unico gioco su clay del suo maggiore rappresentante. I recuperi sono prodigiosi, ma quello che maggiormente impressiona sono i colpi che cadono regolarmente vicino alla linea di fondo dell’avversario. Questa peculiarità era mancata al Rafa non d’annata, tipo 2014-2015, però qui è la chiave del suo gioco, aggressivo e sempre sul pezzo. Nel 6° gioco arriva la pietra tombale. Nishi fa quello che può, c’è anche una palla corta, però spara delle stecche non indifferenti e qui non puoi permetterti neanche di pensare di sbagliare. 4-2 easy e 5-2 che arriva dopo un game tribolato dove il giappo ha la possibilità di brekkare. Però il pericolo finisce presto: 6-3. Primo set spagnolo in 57 minuti, che sono tanti, ma sono figli dei primi 2 game che in totale sono durati 15 minuti circa.

Dopo 2 game interlocutori, Nadal mette subito la freccia e al 3° gioco è subito break. Nishikori alza bandiera bianca. Ha dato tutto quello che aveva per battere l’imbattibile. Se dall’altra parte c’è un pischello di 31 anni che corre come un matto, mette perle con il rovescio e recupera tutto, bisogna solo andare a prendere il piatto e l’assegno, sostanzioso, che spetta al finalista. Il set si chiude sul punteggio di 6-2. 37 minuti. Ordinaria amministrazione. Nadal non si tuffa, né piange. Alza le mani al cielo. Ormai non fa più notizia la sua vittoria in quello che più di ogni altro è diventato il suo regno. Come di consueto va a prendersi il trofeo e gli omaggi del Principe Alberto. Inno spagnolo e qualche parola in francese. Tutto formale, tutto ordinario, tutto troppo normale.

Il torneo

Monte Carlo è sempre e solo Nadal. Tutta l’attenzione è concentrata su di lui da anni e anni. Sono passati ben 15 anni da quando qui sconfisse Albert Costa, suo connazionale e campione in carica del Roland Garros. Qualcuno allora aveva posato l’occhio su questo giovane destro che giocava con il mancino e si capì fin da subito che poteva fare bene sul rosso. Però, purtroppo per lui, l’anno successivo fu costretto per infortunio a saltare i più importanti eventi della stagione della terra battuta europea e allora iniziarono, come sempre, i dubbi sul suo futuro. È famosa un’intervista in cui si parla di Juan Carlos Ferrero, vincitore del Roland Garros del 2003, come punto di riferimento per i terraioli spagnoli. A Rafa viene chiesto se volesse somigliare al valenciano. Lui rispose:” Ma chi cazzo è?! Lui ha vinto solo un Roland Garros, io ne voglio vincere tanti, molti di più…”. Molti di più non voleva dire 10, però questa fa capire che il giocatore di Manacor avesse l’idee chiare fin da giovanissimo. Qui è riuscito ad arrivare a 11, e se non si considerano tornei amatoriali di ben altra caratura, rimane il maggior numero di edizioni vinte di un singolo torneo. Molti giocatori sognano di partecipare al torneo monegasco, lui ha vinto 11 volte, 11 su 15, non 11 su 1 milione. Fa bene sempre ricordare che la carriera di un tennista non è infinita o teoricamente infinita.

Parlare del torneo di Rafa sarebe pleonastico, però è un dovere da cui non ci si può esimere. Nel 2017 era arrivato qui forte delle finali a Melbourne, Acapulco e Miami. Aveva dimostrato di essere in palla e che la terra battuta gli avrebbe arriso come in passato. Nel 2018 è arrivato con molte incognite. Il ritiro agli Australian Open aveva portato con sé degli strascichi che potevano destabilizzare chiunque. La rinuncia ad Acapulco all’ultimo minuto e la conseguente rinuncia al Double Sunshine avevano fatto preoccupare tutti. Stranamente è rientrato in Coppa Davis, a Valencia, sempre sul suo suolo preferito e lì si è visto che poteva essere pericoloso. Pericoloso fino ad un certo punto, non come lo si è visto in questa settimana. Bedene, avversario del 2° turno (prima partita per lui) era ordinaria amministrazione e così è stata. Khachanov poteva essere più credibile, ma così non è stato. Il primo vero avversario si è presentato nei quarti di finale: Thiem è stato l’ultimo a batterlo sul clay, nei quarti di finale di Roma del 2017, partita in cui non si è visto il vero Nadal, forse con la testa già a Parigi. Poteva esserci partita quantomeno pari, oppure leggermente spagnola, invece è stato un massacro. Dopo che Rafa ha ottenuto subito il break nel primo parziale l’austriaco, che in teoria sarebbe il numero 2 della terra battuta (*Nole gif*), è andato a sotto la doccia. Se servi il 38% di prime contro el campeon devi andare a casa senza se e senza ma. Dopo il bagel numero 97 della carriera del mancino di Manacor ci sono stati 2 game regalo, solo per non infierire contro un non avversario in una non partita. Si sa che il limite di Thiem sono le righe e le sbracciate, magari è un campione di lacrosse e nessuno lo sa. Dopo queste 3 partite ormai era chiaro a chi sarebbe andata la coppa, però c’era la curiosità di vedere come finisce il film. In semifinale c’è Greg Dimitrov. Mai terraiolo e con il rovescio ad una mano, come il miele per Yoghi per il goloso e insaziabile campione spagnolo. Greg se la gioca, e almeno non fa una magra figura come Domenico, però non può fare niente. Il toppone a campanile sul rovescio destro a una mano è letale. Nadal alza, alza e alza ancora e la palla non può che andare in corridoio. Il bulgaro potrebbe essere il primo a vincere 5 game contro Rafa sulla terra battuta dai tempi di Roma Città Aperta (2017), però non ci riesce. 6-4 e poi ancora massacro, ancora set pleonastici. Il conto è semplice: 16 game, sono 16 i game persi dal numero 1 del mondo, nel 2010 furono 14 e in tutto il torneo, qui prima della finale. Chiaro segnale di crisi.

L’Oscar per il Migliore Attore non Protagonista non può non andare a Nishikori che si presentava qui con tante incognite e poche certezze. La sconfitta contro Novikov a Newport Beach sembra lontana, così come lo spettro, sempre presente, di un infortunio. Vincere un Challenger, seppur il migliore della specie, quale quello di Dallas, non aggiunge niente ad un finalista Slam. E qui che si fa la storia. Poteva già capitolare contro Berdych al primo turno. Però Tomas è sul viale del tramonto, molto lento, ma sempre quel viale è. Forse Medvedev poteva essere insidioso, ma così non è stato. Bella partita, rocambolesca quella con un ottimo Seppi che però è costretto a cedere al 3°. Il maggiore merito del giapponese è stato forse quello di battere Marin Cilic, tds 2, in una partita tiratissima e che stava per perdere in 2. In semifinale partita da sfavorito con Sasha Zverev, ma ormai si sa che la biondina sarà un grande campione, però gli mancherà la costanza. È quello che da quando l’ATP si è inventata l’espressione Next Gen per guadagnare 2 dollari in più ha collezionato i risultati migliori, però non stupisce se viene eliminato da tennisti di varia estrazione. Nishikori ha tirato fuori il coniglio dal cilindro, ma la sua vittoria non stupisce più di tanto. Il Sushi deluxe si mangia ben altri avversari, soprattutto sulla terra battuta.

2 paroline vanno spese sull’unico altro campione del torneo rimasto in vita. Novak Djokovic. Dopo l’imbarcata pazzesca rimediata negli USA è tornato a casa sua per dimostrare che non è finito. La prima partita faceva ben sperare. Seppure Lajovic non sia un giocatore, è pur sempre uno che ha il diritto di partecipare alle qualificazioni di un Masters 1000. Bene. Liquidato con un perentorio 6-0 6-1. Tutti guardano a Vajda e pensano che solo lui può fare il miracolo e in effetti questa vittoria strabiliante poteva essere il punto di svolta. Meglio pensare alla partita successiva. Coric è un ottimo test. Sostanzialmente i 2 giocano a specchio, non a caso tempo fa Borna fu etichetta come “il nuovo Nole”. La partita è combattuta, e vince il 12 volte campione Slam. Ai quarti di finale c’è Nadal, però prima si deve passare dall’Impero dell’Est, da Dominic Thiem. Il Muster 2.0 l’aveva umiliato l’anno scorso al Rolando, e qual migliore occasione per vendicarsi? Nada. La mente di Nole ricomincia a giocare con la mente e suoi tarli, vince il 1° al tiebreak e poi esce dalla partita. 1, 2, 3 mi sa che Nole non c’è, 4, 5, 6, o Nole dove sei? 7, 8, 9, Nole è chissà dove. Se Rafa è di un altro pianeta e tu non sei più nemmeno superiore ai comprimari del rosso, mi sa che la situazione è molto preoccupante. È preoccupante anche la scelta di andare a Barcellona, nel regno di Nadal, quello dell’altra Décima, quella minore, con un field di lusso. Il sorteggio non gli è stato benevolo. Ancora lo spagnolo ai quarti, però i dubbi che possa arrivare fino a quel punto del torneo ci sono tutti. E se arriva che cosa farà Rafa di lui? Non si sa. Però potrebbe essere una partita strana, una partita in cui il serbo non ha niente da perdere, un H2H che se perdi non succede niente, ma che se vinci porti a casa tutto il piatto. Attento Rafa, che, come ci insegna Jack Dawson: se non hai niente, non hai niente da perdere.

I record

  • 11a vittoria in un solo torneo (record era Open)
  • 76° titolo in carriera
  • 54° titolo in carriera sulla terra battuta (record era Open)
  • 74° titolo outdoor (record era Open)
  • 31° Masters Series / Masters 1000 (record era Open)
  • 23° Masters Series / Masters 10000 vinto in una superficie (record era Open)
  • 15a stagione con almeno un titolo (eguagliato Federer in era Open)
  • 6° giocatore a vincere un Masters Series / Masters 1000 dopo i 31 anni (dopo Federer, Agassi, Ljubicic e Isner)
  • 36 set vinti consecutivamente su terra battuta (record Era Open)

Conclusione

Di tutti i recordini qui sopra quello che è passato sotto traccia è il . Gli altri sono stati evidenziati con particolare attenzione, ma quello che stupisce di più, in un mondo in cui tutto deve e può stupire è un termine che nessuno si sarebbe mai sognato di accostare a Nadal: longevità. Ebbene sì. Il terraiolo che più terraiolo non si può ha vinto questo titolo (non si sa se ultimo) a distanza di 14 anni dal 1°, quello dell’anonima Sopot. Tutti i suoi colleghi a questa età erano già a casa con le ciabatte, a prendere il sole e qualche kilo di troppo. A 32 anni nessuno tra i giocatori che possiamo definire “precoci”, ossia quelli che vincono tanto prima dei 21 anni, è stato al vertice sulla terra battuta. I terraioli più forti della storia si sono persi giovanissimi. Come non ricordare la leggenda Bjorn Borg, va bene mitico assoluto di Wimbledon (anche grazie al film, mmmmm), però vincitore di 6 Roland Garros e King of Clay ante-litteram. L’orso svedese scoppiò a 26 anni, e si pensava che a Rafa potesse capitare la stessa sorte. Si diceva che dopo i 30 anni non avrebbe più vinto niente, e il 2015 è stato terribile da questo punto di vista, poteva essere il capolinea ma non lo è stato. Il Monte Carlo 2016 forse è il torneo più importante vinto dallo spagnolo, quello che gli ha fatto capire che non era finito, e che gli ha fatto superare il momento tragico del ritiro durante il torneo che più di ogni altro lo ha incoronato King of The Clay: il Roland Garros. Il 2017 è stato l’anno del ritorno al dominio e questo continua ancora. Continua nei numeri, continua nel gioco, continua della sostanza. Non esiste oggi un avversario che possa pensare di fare partita pari con lui sul mattone tritato. L’unico che gli è stato vicino, assente poco giustificato, è Roger Federer, che molto probabilmente sarà di nuovo numero 1, e che dovrebbe essere qui a sporcarsi le scarpe di terriccio. Lui ha dichiarato che non gioca perché vorrebbe giocare di più. Un paradosso a tutti gli effetti. Giocare di più significa disputare una stagione secondo i canoni, se giochi solo pochi tornei è facile prolungare la tua longevità. Essere longevi significa essere presente ai grandi appuntamenti quando ne hai la possibilità. Anche i più grandi avrebbero potuto giocare 2-3 tornei l’anno e durare all’infinito. Il curriculum di Federer su terra non è dei migliori e i Fedal terraioli non mancano a quella che è la maggioranza dei tennis fans. Però sarebbe bello vedere il 20 volte campione Slam cercare di scardinare il predominio spagnolo. È riuscito a batterlo ad Amburgo e a Madrid. Mancano all’appello Monte Carlo, Roma e soprattutto il Roland Garros. Non si sa se Roger abbia capito l’antifona e ha preferito non alzare i giri del motore. Però queste sono solo supposizioni. La sua programmazione non dipende dagli altri avversari, però vedere un Nadal così tirato a lucido ti fa desistere dalla pazza idea di prendere il telefono e chiamare Forget per prenotare Parigi e prenderti la più grande rivincita della tua vita. No. Non ci sarà.

Il tennis su clay non si ferma ed ecco subito Barcellona, un 500 deluxe, dove sarà ancora protagonista il signore a cui è intitolato il Centrale: Rafael Nadal Parera.