ATP Paris-Bercy 2019: Cinq Song, Djokovic vince il 5° titolo nella Parigi indoor
Non delude Novak Djokvic che colleziona il 5° successo a Bercy ma cede la prima posizione del ranking ATP.
La partita
Difficile parlare di una partita che non esiste. Magari ci si potrebbe anche arrangiare in una simulazione per scrivere qualcosa. Un po’ come si fa nella Fisica Virtuale, ci si può inventare un modo per descrivere un fenomeno che per sua natura si può studiare ma non potrà mai essere visualizzato, né con gli occhi né con gli strumenti. Questa è la descrizione più precisa della finale di Bercy che vede, purtroppo, di fronte il migliore giocatore indoor della sua epoca contro un comprimario, giovanissimo, ma mai completamente esploso. Ci si aspettava il grande finale con lo scontro classico che avrebbe messo di fronte i primi 2 della classe, ma la sfiga è calata nella AccorHotels Arena e ha beccato sempre quello là, invece di concentrarsi su altri, che sono stati leggermente più fortunati nella loro vita professionale. Denis Shapovalov non ha nessuna arma per fare fronte ad un Djokovic che dimostra che Shanghai è stato solo un incidente di percorso. La tecnica del canadese è lontana anni luce dal numero 1 del mondo che sa irretire chi vuole, figuriamoci uno sprovveduto come Shapo. Il canadese si dimostra privo di ogni soluzione di continuità e non riesce a retroazionare lo scambio lungo e dopo 6-7 colpi il suo controllore sballa malamente e il sistema diventa asintoticamente instabile. Le sue soluzioni sono estemporanee e si basano sostanzialmente sul kernel del tiro a piattello: colpo dritto, preciso e definitivo. Basta così. La risposta, poi, è completamente inesistente. Se Nole la piazza dove vuole lui lo scambio non parte, questo significa che ancora i giovani non sono pronti, o almeno questo giovine ancora non è pronto. La cronaca della partita è la classica di chi mette il minimo in campo per ottenere il massimo risultato. Denis parte impaurito e già nel suo primo game di battuta è perduto. Prima mette lungo il dritto, poi dimostra la sua volgarità a rete ed è subito break. Da qui in poi il primo set va avanti tranquillamente fino al più che scontato epilogo. Sono passati solo 28 minuti, per la cronaca. 6-3 con soli 4 punti persi al servizio per Nole. Massacro.
Il secondo set segue la falsa riga del primo anche se lo scossone arriva più avanti. La tenzone si potrebbe risolvere subito, però Denis è bravo ad annullare con 2 ace un primo game che stava precipitando subito e malamente. Però siamo su un baratro e basta un soffio per fare precipitare Willy il Coyote nell’ennesimo dirupo del Grand Canyon. Soffio di vento dell’Arizonza e il coyote vola di sotto. Classico break nel 7° gioco e Nole va a prendersi il titolo. C’è anche un colpo di coda della preda morente: una palla break per Shapo nell’8° gioco, ma la paura passa subito. 6-4 easy e 5° titolo qui a Parigi indoor. È record, l’ennesimo per Nole, l’ennesimo dei Big 3 che stanno cancellando tutti i record dell’era Open.
Il torneo
Il vincitore è sempre lui. Toltosi di dosso l’onta di una sconfitta inattesa in Cina, Nole ha saputo rimettere tutti in riga e l’ha fatto alla vecchia maniera, la maniera in cui è lui che domina e gli atri stanno a guardare. Questa è la sua parte di stagione, quella che più di una volta l’ha visto imbattuto e che gli ha portato trofei su trofei. Peccato che la storia del tennis, così ampia e contorta, non abbia mai partorito uno Slam indoor, per quanto sarebbe stato giuridicamente ed eziologicamente giusto. Fino al 1923 c’era il World Covered Court Championships, ma l’ILTF pensò bene di mischiare le carte e di incasinarle a dovere facendo scomparire questo torneo, per passare dallo schema bilanciatissimo 1-1-1, Grass-Clay-Wood al ben più complicato 3-1 Grass-Clay-Grass-Grass.
A guardare bene il percorso di Djokovic ci si accorge che non è stato proprio dominio, anche se ha chiuso senza mai perdere un set. Però altresì si capisce chiaramente che Nole centellina le forze per giocare al meglio le partite che contano, quelle in cui c’è un avversario serio o semi-serio. Il freno a mano tirato è d’obbligo nella partita contro Moutet&Chandon, il classico francese che gioca un torneo in Francia. Punteggio equilibrato nel primo, ma è, come detto, tutto calcolato. Per risparmiare energia Nole dà la sgasata nel secondo set e lascia lo champagne sul posto. Stesso copione contro Kyle Edmund che lotta forse più del dovuto in un primo parziale in cui si attende la zampata del numero 1 del mondo che però non arriva ed è un tiebreak anomalo a dare il set a Djokovic. Poi nessuna fatica nel secondo set. 6-1 che non ammette repliche. Il primo avversario serio è Tsitsipas, il suo giustiziere a Shanghai, e, stranamente, in vantaggio negli H2H. Guardando un po’ di numeri viene fuori che è Djokovic il supereroe dei Big 3 che soffre maggiormente i suoi virgulti, chiamati più modernamente Next Gen. Molto probabilmente Novak se l’era legata al dito e qui disintegra un greco che si riduce ad una oliva pressata. Non c’è assolutamente partita e il quarto di finale è più una non partita della finale, tanto per dare l’idea. Ancora non ci sono elementi precisi e soprattutto numerosi per dire se Zizzi è un giocatore da cemento indoor. Troppo giovane. Per il momento è rimandato. Aspetteremo. Molto più complicata è la semifinale contro Dimitrov che riesce ad imbastire un giuoco molto variegato per mettere in difficoltà il padrone della Parigi al coperto. Splendido primo set in cui si intravede una sfuocata copia delle sfide tra lo stesso Nole e Federer, anche se l’attore che interpreta Rogé non è certo il Joaquin Phoenix della situazione. Il primo set si risolve in maniera rocambolesca e vince chi sbaglia meno. Leggermente fortunato è il numero 1 del mondo che vince con poco merito il primo parziale che sarebbe di stampo bulgaro. Combattuto è anche il secondo parziale, anche qui c’è il break esiziale che decide la partita. Di fatto è stata questa la vera finale. Greg si dimostra ancora una volta un comprimario, con un’età che avanza anche per lui. Quei 3 sono e rimangono ancora i suoi spauracchi. Li può battere mezza volta, ma poi riprende subito la streak delle imbarcate.
Dall’altra parte della luna c’è Rafael Nadal. Non partecipava ad un torneo serio dalla vittoria storica agli US Open, a parte l’esibizione di lusso della Laver Cup (ma è difficile considerarlo un torneo serio). Pullato Shanghai pe un motivo o l’altro, o un non motivo, ci si aspettava molto dal numero 2 del mondo e in pole position nella Race to London. Mai aveva usato questo pattern nella programmazione e disputare solo i 2 massimi tornei indoor dell’anno poteva e doveva essere una scelta vincente. Qui a Bercy è andato sempre male rispetto a tutti gli altri tornei, ma quest’anno ci si aspetta almeno la finale. Il suo tabellone pesa il doppio del dirimpettaio serbo, ma conta poco quando tu sei in forma. La straordinaria condizione mostrata a New York si manifesta in un terreno che mai gli ha sorriso. Il suo giuoco è molto diverso e lo dice lui stesso in conferenza: “Non siamo sulla terra rossa, devo giocare in altro modo qui sul cemento…”. Sarebbe stato bello un: “Ah stronzo!”. Però Rafa è Rafa e magari questo linguaggio triviale non gli appartiene. Ottima partita è quella contro Mannarino che lo mette in difficoltà con le sue improvvise accelerazioni, ma i topponi sono buoni, anche in una superficie veloce come quella di Bercy. Nadal becca il R16 più difficile del lotto e deve vedersela con il 3 volte campione Slam, Stan The Man Wawrinka. Non si sa dove sta andando lo svizzero, ma sappiamo dove è stato prima. Però neanche Svizzera 2 riesce a prevalere sul giuoco da veloce del maiorchino che stupisce ancora una volta. Il Rafa Indoor più bello è quello che scende in campo contro Jo Wilfried Tsonga. Il pescatore si trasforma in sciabolatore e riesce ad avere la meglio sul potente francese che fa paura con la sua barba da integralista islamico. Nadal entra anche nella tennis parade vincendo un punto con un reverse tweener sotto le gambe in salto. Olè! La sfida però è bella solo nel primo set. Il secondo è solo contorno. 6-1 liscio e semifinale da netto favorito con Shapo. Però ancora una volta quella cazzo di sfortuna viene a bussare alla porta del numero 2 del mondo che mette angoscia nei suoi tifosi. Incredibile come ogni soluzione a questo annoso problema sia vana e debba sempre capitare qualcosa. I fatti parlano di uno stiramento addominale che compromette non solo Bercy, ma anche la corsa al numero 1 del mondo di fine anno che ieri sembrava in cassa e che oggi sembra allontanarsi sempre di più, come una galassia qualsiasi dopo i Big Bang. È una sfortuna per tutti gli appassionati di tennis, almeno quelli veri, quelli con il cuore, non averlo visto contro Shapo, ma soprattutto nella finale contro Nole, almeno per vederlo perdere, ma perdere bene. O forse vincere, come capitato nell’esibizione in Kazakistan che conta meno di San Marino alle Nazioni Unite. La speranza è che possa essere alle Finals di Londra, però…
I record
- 77° titolo ATP per Djokovic, agganciato McEnroe in 5a posizione in Era Open
- 57° titolo sul cemento, 2° in Era Open dopo Federer
- 5° titolo a Bercy, record per lui
- 34° Masters 1000 per Djokovic, 2° a -1 da Nadal
Conclusione
Messa da parte momentaneamente la Grande Storia del tennis, quella che si fa negli Slam, emerge in queste settimane la Piccola Storia, quella che si concentra su record secondari. Nessuno ha fatto caso al -1 nei Masters 1000 nei confronti di Nadal, un record che potrebbe pesare molto in caso di tie là in alto. Ma quello che preme maggiormente oggi è il numero 1 di fine anno, che conta relativamente, ma comunque sia, appassiona i fan del tennis. Come in un solstizio qualsiasi Race e Ranking coincidono e non si può non notare che Nadal è il nuovo numero 1 del mondo. Sono passati 4095 giorni dallo storico 8 agosto 2008 (l’8/8/8) in cui riuscì a scalzare dal trono il Re che mai avrebbe dovuto cedere lo scettro. È un altro record per Nadal che si colloca in seconda posizione in questa stat (Federer è stato #1 a distanza di 5260 giorni). Potrebbe durare pochissimo questa leadership. A là Rafter. I punti di vantaggio sono 640. Questo vuol dire che Djokovic deve fare per forza finale a Londra se vuole diventare numero 1 a prescindere dai risultati di Nadal che potrebbe essere numero 1 anche senza andare alle Finals. Questo dualismo: Djokovic lanciato e Nadal acciaccato produce un’estrema incertezza e dà uno spunto allettante ed eccitante che ravviva un torneo di fine anno che sempre di più in questi anni si sta trasformando in Masterino. Inutile, al limite del tautologico dire che non esiste un giocatore che “merita il numero 1”, chi sarà davanti il 17 novembre sarà stato lui a meritare di essere il numero 1. Qualcuno molto scaltro l’ha intuito, ma la stagione ATP è finita e avrà il suo epilogo nelle Finals di Londra che inizieranno la prossima settimana. Ci saranno gli 8 migliori del mondo, compreso il nostro Berrettini. Ci piace.