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ATP San Pietroburgo e Metz: Pouille e Zverev. Benvenuto a chi sorride, a chi lancia sfide…

Zverev - Pouille

La settimana appena trascorsa ci regala 2 belle sorprese, sorprese che nessuno si aspettava soprattutto se a confezionarle sono 2 giocatori nati negli anni ’90. A San Pietroburgo abbiamo assistito al trionfo di Alexander Zverev, detto Sasha, che ha vinto il suo primo titolo ATP in carriera. Non è il primo a riuscire nell’impresa quest’anno, anzi, già ci erano riusciti Kyrgios, Schwartman, Ramos, Johnson, Lorenzi e Carreno Busta, ma tutti avevano già passato la fatidia soglia dei 20 anni, invece Sasha ha vinto il titolo a 19 anni e 5 mesi, età in cui si viene definiti teenager. E’ una grande eccezione e per questo ci sarebbe da festeggiare, perché (forse) l’aria sta cambiando. Era dal 2008 che un teenager non vinceva un titolo del circuito maggiore, allora ci riuscì Marin Cilic nell’International Series (oggi ATP 250) di New Heaven che precede gli US Open. Allora il buon Marin profetizzò che nessun altro avrebbe eguagliato la sua impresa e se si pensa che sono trascorsi 8 anni non gli si può dare tutti i torti.

Zverev aveva fatto benissimo nella parte centrale della stagione con la finale prima a Nizza (terra battuta) in cui fu sconfitto da Thiem e poi ad Halle (erba) sconfitto un po’ inaspettatamente da Florian Mayer, dopo che aveva battuto il suo più grande idolo Roger Federer. In realtà ridotto un po’ maluccio. C’erano grandi aspettative per lui sul cemento americano, ma sono state disattese in pieno tanto da scoraggiare chi aveva punto su di lui come prossimo futuro campione o chi, molto semplicisticamente, l’aveva messo nella sua squadra del fantatennis. Plausibile era stata la sconfitta a Washington contro Monfils, poi protagonista a New York. Ma inspiegabili erano state quelle contro Lu a Toronto e Sugita a Cincinnati. Il tris americano si era concluso con l’uscita al secondo turno agli US Open per mano di Daniel Evans, che poi avrebbe fatto un buon torneo, tanto da arrivare a match point contro il futuro campione, ma nessuno in quel momento avrebbe giustificato una debacle così clamorosa.

Doveva dimostrare di essere grande e lo doveva fare in questa stagione. Troppo semplice aspettare che le vecchie glorie si spengano a poco a poco come delle candele e passare con nonchalance sui loro cadaveri. Era questa la stagione della svolta e così è stato. Non si può parlare di un vero e proprio cambiamento, ma di una piccola inversione di tendenza sì. L’anno scorso era stato quello più senile di sempre con una media spaventosa di 29.09 anni di media tra i vincitori di un titolo ATP. Questa tendenza al rialzo, che durava dal 2008, doveva finire. Molto “utili” sono state le stagioni disastrose di Federer e Ferrer che hanno contribuito a far abbassare la media, ma i giovani finalmente hanno dato il loro contributo. Molti significative sono state le 2 vittorie di Kyrgios prima a Marsiglia e poi a Atlanta, vittorie ottenute a cavallo dei 21 anni e a queste aggiungiamo anche quelle di Thiem, che non è più un ragazzino, ma ancora si mantiene in quella fascia di età per cui si è ancora chiamati “giovani”. Qualcuno ha parlato non di mancanza di giovani forti, ma di vecchi sempre sul pezzo forti della loro esperienza che, nonostante il logorio dovuto ad una carriera passata a correre da una parte all’altra del campo, gli ha permesso di prevalere sulle nuove leve. Vero, e non sono da nascondere gli exploit di Lorenzi e di Karlovic, ma nessuno di noi si sognerebbe di puntare su di loro per il futuro del tennis. Bravi a ritagliarsi il loro piccolo spazio in questo circuito che l’ATP voleva aperto a tutti, ma che in realtà si sta rivelando un circuito a compartimenti stagno, in cui i top player giocano solo Slam e Masters 1000, i middle player 500 e 250 e i bottom player si spartiscono le fette di torta che avanzano facendo la spola tra 250 e Challenger. I vecchietti hanno avuto il loro palcoscenico, dicevano, ma sono stati solo “re per una notte”, il palco adesso appartiene alla next generation che timidamente si affaccia al tennis che conta. Inutile negare che sarebbe stato gradito un grande exploit negli Slam in cui i grandissimi non sono stati al meglio, non ultimo gli US Open in cui ha vinto il più cazzuto, ma nessuno, compreso il vincitore, ha brillato così tanto da folgorare tutti. A New York poteva scapparsi il colpaccio e non è stato un buon segnale la vittoria di Wawrinka, ottimo come una delta di Dirac: un colpo secco e poi letargo per mesi. Anche l’età, 31 anni, non è stato un buon biglietto da visita per il circuito che cerca di trovare dei nuovi idoli cui potersi aggrappare dopo che i 2 più grandi tentennano. L’aura di Roger aleggia ancora sui campi di tutto il mondo, ma qualcuno si sta guardando in giro in attesa di cambiare tennista di riferimento. “Come Federer nessuno mai“, molti esclamano, è vero, ma inconsciamente ognuno di noi si guarda in giro per capire chi saranno i nuovi protagonisti del tennis mondiale. “Morto (dimesso) un papa se ne fa un altro“, ed è quello che faranno molti afficionados della pallacorda, ma chi sarà il più amato di tutti? Zverev, Thiem, Pouille, Kyrgios, Tomic, Coric? Difficle dirlo….ma “come Roger nessuno mai“.

Ritornando a Zverev non possiamo non spendere 2 righe su quello che ha realizzato. In Russia partiva da testa di serie numero 5 e per sua sfortuna ha dovuto disputare il primo turno (per le prime 4 tds c’era il bye). Potremmo ribattezzare il tedesco “l’ammazza russi” . Nei primi 3 turni ha battuto 3 giocatori di casa, un altro grande tassello che esalta ancora di più questo trionfo. Nel primo turno ha dovuto affrontare un altro prospetto come lui, Karen Khachanov, sconfitto in 2 set, poi è stata la volta di Medvedev e successivamente di Youzhny (tutti sconfitti senza cedere nessun parziale). Il naturale capolinea di questa gita nella terra delle notti bianche doveva essere Tomas Berdych, che ha sempre ammazzato le velleità dei giovani rampanti per poi farsi puntualmente sculacciare da quelli più grossi di lui, ma questa volta abbiamo avuto un copione diverso. Medioman ha ceduto a Zatterone invertendo una tendenza che stava diventando fastidiosa e del tutto innaturale. Forse Satorovo era ancora in convalescenza, ma il certificato medico vale poco quando ti presenti in campo. 6-4 6-4 e un’altra finale. La terza del 2016, in 3 superfici diverse (altro tassellino che aggiungiamo alla già ben folta collezioni di note di merite del tedesco). Dall’altra parte della rete c’era l’inossidabile e invictus (11 finali vinte consecutivamente) Stan The Superman. A dire il vero il vincitore degli US Open era andato a San Pietroburgo perché aveva preso i biglietti prima di New York, così da un lato sperava di uscire subito, ma visto che era in ballo ha ballato. Gli avversari non sono stati alla sua altezza fino all’atto conclusivo e…l’appetito vien mangiando (non a caso per Stan) e così si è ritrovato a condurre 3-0 nel terzo set, ma il ritorno di un grande Sasha ha interrotto la streak (il record era Open rimane a Roger con 24 finali vinte consecutivamente, mentre Tilden veleggià con le sue 53, record nel caveau di Fort Knox in saecula saeculorum) riuscendo così a battere 2 top 10 nello stesso torneo. Molto bene, Alex.

I riflettori si spostano e dalla Russia arrivano in Francia per illuminare un nuovo virgulto prodotto dalla Federazione transalpina. Stiamo parlando di Lucas Pouille. Lucas, a differenza di Sasha, è stato molto costante in tutta la stagione e non si registrano particolari debacle. Forse il primo spiccio di stagione non è stato eccelso, ma ancora nessuno aveva messo gli occhi sul francese. Veleggiando attorno alla posizione 70-80 sembrava destinato a rimanere nella mediocrità come tanti, ma la finale di Bucharest gli aveva dato un colpo di NOS per spingerlo verso il tennis che conta. Ma in quel di Roma il francese ebbe una formidabile botta del suddetto culo, beccandosi un banco clamoroso. Grazie ad una serie di circostanze fortunate, fortunatissime, era riuscito ad arrivare in semifinale nella Città Eterna sconfitto però inesorabilmente da Andy Murray.  Malissimo poi le sconfitte al secondo turno al Roland Garros e al primo a Stoccarda e Halle, ma già a Wimbledon, ossia quando conta, aveva dato una grande dimostrazione di forza riuscendo a battere prima Del Potro e poi Tomic in una maratona finita al quinto con il punteggio di 12-10. L’ingrato compito di sbatterlo fuori era spettato al solito Berdych, ma un quarto di finale ai Championships non si rifiuta mai. Il giovane transalpino scalava le classifiche ma la tournèe americana non era iniziata sotto buon auspici, anzi….2 sconfitte sanguinose nella prima partita a Toronto contro Ram e a Cincinnati contro Kyrgios, così come per Zverev, avevano spento la fiaccola dei sostenitori del rinnovamento.  Ma è a New York che aveva in mente di fare l’impresa. Opposto nel quarto turno a Nadal è riuscito a batterlo al tiebreak del quinto. Non un ottimo Nadal a dire il vero, ma non era neanche la versione pessima del 2015. Al turno successivo non ha visto la palla contro Monfils, ma un altro quarto di finale Slam era in cascina.

Nel Moselle Open imbottito di connazionali Lucas è riuscito a farsi strada battendo prima Pierugo, poi Bennettau (10 volte finalista ATP e mai vincitore…beccati questa Julien!) e Goffin ormai in crisi d’identità. Ci si aspettava un’entrata nella top 10 del buon Frodo, anche solo una toccata e fuga, ma probabilmente questa è la sua dimensione. In finale Pouille ha affrontato il mai domo Thiem, che si riposa faticando, o fatica riposandosi a seconda dei punti di vista. Era lui il favorito e ha ceduto in 2 set. Poco male per Domenico che con i 1023 tornei giocati non può più aggiungere punti dai 250 e 500 (o quasi), ma un’altro titolo, sul cemento, gli avrebbe fatto comodo e sarebbe entrato nella cerchia dei factotum in grado di vincere un torneo su ogni superficie, ma non mancherà occasione, visto che già si è prenotato per Chengdu (follia).

Forse sarà una settimana più unica che rara, ma il segnale è stato lanciato e spetterà ai ninetiers recepirlo e confermare che in fondo il tennis è sempre stato un mestiere per giovani.