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US Open 2019: -1. Nadal vince il suo 19° Slam

In una finale epica di 5 set Nadal trionfa su uno straordinario Medvedev e vince il suo 4° US Open, il 19° Slam della carriera.

La partita

Sull’Arthur Ashe si presentano Rafael Nadal e Danill Medvedev. Rafa arriva qui con un percorso molto leggero rispetto alle tante altre finali raggiunte, e tutti non possono non ricordare il 2017. Però questa volta dall’altra parte della rete non c’è un Kevin Anderson qualsiasi, c’è il numero 5 del mondo (sicuro numero 4) che ha dimostrato di essere il numero 2 in questa estate magica per il russo, capace di collezionare 4 finali consecutive, come accadde solo ad Agassi nel 1995 e Lendl nel 1982. Il rischio che si sia un’altra mattanza come quella vista in Canada è concreto. Danilo ha battuto tanta gente in gamba, ma non ha battuto i più forti, leggasi Djokovic e Federer, per cui il suo percorso sembra il classico easy path per andare in fondo per poi perdere inevitabilmente con il campione. L’inizio della partita va tutto in questa direzione, però il tennis sa regalare copioni affascinanti che neanche i migliori registi della storia sarebbero in grado di mettere nero su bianco.

Il copione dell’inizio della partita è un pallettismo allo stato puro. Siamo sul cemento, ma non sembra di stare sul cemento. Nonostante Medvedev sia famoso per la sua castagna, decide di rallentare il gioco in modo da irretire il suo avversario e farlo cadere nella sua ragnatela. Sembra di vedere Djokovic, ma Djokovic non è. Rafa sa allestire un gioco alternativo. Il suo repertorio è molto ampio contrariamente a quanto si possa pensare. Il suo cavallo di Troia è il dritto in spinta in cross con una net clearance che solo lui sa giocare. Sembra la soluzione più semplice che si possa adottare, ma pochi al mondo la sanno allestire. Su questo pattern la partita prende da subito un’impronta iberica. L’arbitro è più serio di Zeman e si permette di dare il time violation nel primo game a Rafa, tanto per ribadire che la regola esiste e che magari non vince solo perché Nadal viola il tempo, come un Doc Brown qualsiasi. Il primo però a rompere gli indugi è Medvedev che breakka a sorpresa nel quinto game. Dura poco questa sgasata. Nadal si riprende quello che è suo e rimette tutto in parità. Ci sono 2 palle break maiorchine sul 4-3 però il russo le annulla con delle splendide discese a rete, che in questo match faranno tantissime. Sul 6-5 Il numero 2 del mondo se ne va. Ci sono 2 winnner che partono dalla baseline. Set point. Ottimo lob spagnolo che precipita in campo. 7-5 dopo 63 minuti di gioco. Dalla descrizione sembra che ci sia stato equilibrio, ma non c’è stato. Rafa ha giocato egregiamente i suoi turni di servizio, invece Daniel-San ha dovuto sudare 7 camice per portare a casa il game.

La situazione precipita. La trama della ragnatela russa si sfila e i limiti del gioco di Medvedev sono evidenti, portati alla luce dalla grinta di Nadal che non si sa dove trovi tutta questa energia. I problemi si vedono subito: sul 2-1 il numero 5 del mondo è costretto a recuperare da 0-40. C’è un 15-40 nel 6° gioco. È Break Nadal. Rafa azzanna e si porta in vantaggio mantenendolo fino a fine parziale. 2 set a 0 dopo altri 65 minuti di gioco. Non è la mattanza di Montreal, ma l’output è sempre lo stesso.

Il canovaccio non cambia e il break che arriva nel 5° gioco segna il rintocco di campana a morto che tutti si aspettavano.  Sembra finita, anzi, molto finita, ma è qui che improvvisamente inizia la vera partita. Solo che questo non lo sa nessuno. Nadal perde il controllo del radar: doppio fallo, volée nei boschi, errori di dritto e rovescio. C’è il contro-break e all’improvviso l’inerzia della gara cambia. Non è così grave il quadro clinico spagnolo che in fondo ancora non ha perso nulla. Si continua come era successo fino a questo punto e il tiebreak è alle porte. Medvedev dimostra perché da lunedì sarà il numero 4 del mondo e si inventa dal nulla una nuova partita. I suoi strumenti magici sono il dritto e soprattutto il rovescio lungolinea. 12° game in risposta da cineteca. È break. È set. Si va al quarto.

Ora la partita è tutta in mano russa e non si capisce perché. Daniil ha la possibilità di allungare sul 2-0 però Nadal si salva. Nel 5° gioco Rafa ha la possibilità di chiudere la partita, ma non passa. Si va spediti verso la fine del set e ancora una volta Daniel-San si inventa la rimonta da solo. Siamo sul 40-15 del 10° gioco. Nadal perde la bussola e sbaglia l’impossibile. Si fa passare e sulla palla break, che è anche set point, Medvedev spara una risposta vincente di rovescio. Si stampa sul blu che è sempre più blu. Si stampa nella mente di tanti tifosi di Rafa che avevano visto mordere quella coppa. Si stampa nei tanti NON tifosi di Nadal che sperano nell’upset.

Nadal ha una fottuta paura e anche quelli che lo sostengono. L’idea che si possa perdere questa partita vinta in lungo e in largo. La partita del -1. È un’idea troppo pesante da digerire. I fantasmi della disfatta si palesano sull’1 pari quando Nadal va sotto 15-40. In questo momento arriva una energia insperata. Il dilitio retro-aziona la commistione di  materia/anti-materia e si va avanti. Rafa annulla con tutte le forze che ha le palle della sconfitta. Riporta tutto in parità è sfrutta la potenza della warp drive per ottenere 2 break consecutivi. Incredibile! Era sotto un treno merci della Union Pacific Railroad, ora è lì che sta andando a prendersi la coppa più difficile. Sul 5-2 c’è un altro time violation che gli costa addirittura il punto (grande cazzimma dell’umpire). Cede il servizio, e ancora una volta la partita sembra girare. Però Medvedev non ne ha più. È coraggioso ad annullare 2 match point sul proprio servizio, però l’impressione è che non possa più sfondare. Per la 302a volta Nadal vuole e deve chiudere la partita, ma si fa irretire e concede un’altra palla break. È l’ultimo sussulto di una partita pazza. La palla break vola via. 3 punti consecutivi e il 19° è servito. Si accascia a terra Nadal, come aveva fatto nelle grandi occasioni. Un mai domato Medvedev stava per fare il colpaccio. Il numero 2 del mondo sente che ha fatto l’ennesima impresa e piange come non mai, e non come avrebbe fatto con una vittoria facile in 3. Sono 4 gli US Open per il terraiolo più terraiolo di tutti. Avvicina clamorosamente IL record e si prenota per altri traguardi che mai nessuno avrebbe mai avuto l’ardire di sognare.

Il torneo

Come sempre sono solo i vincitori a scrivere la storia. Però la storia di questo US Open l’hanno scritto gli sconfitti, in primis i principali rivali di Nadal. Una volta fatti fuori i riflettori si sono concentrati sul numero 2 del mondo che ha avuto la sua fortuna proprio per via di eliminazioni eccellenti e per questo è stato mattatore fino all’atto conclusivo. Se si ha un tripolio, come nella politica italiana (ahia!), il sorteggio diventa fondamentale. Persa in partenza la battaglia delle teste di serie integrali che eliminerebbe la componente aleatoria-stocastica della storia del tennis, non rimane che dare un occhio alle urne (almeno qui). Il responso è stato chiaro: Djokovic e Federer sono nella stessa parte di tabellone. È bastato questo per sbilanciare il draw che per questo motivo ha premiato implicitamente Rafael Nadal. Una semifinale tra il numero 1 e 3 del mondo pone uno squilibrio anche solo nello schedule, con 2 super-big da piazzare in posizione strategiche nella programmazione: o di giorno o di notte. Sembra che cambi poco, ma a guardare i fatti sembra sia stato il motivo debacle di uno di questi Super-Big.

Nella prima partita il futuro campione ha affrontato John Millman, il giustiziere di Federer dello scorso anno, ma ricordato solo per questo. Partita easy per Rafa che chiude facile in 3 set. Il 2° turno è inesistente. Sarebbe stato curioso vedere all’opera un rientrante Kokkinakis (4K), uno dei tanti incensato come futuro campione ma smarrito più per malanni e infortuni vari che mancanza degli adeguati strumenti. È un walkover e non conta come vittoria. Questa fa e farà sballare le statistiche, ma ad oggi conta poco. Il sempre pericolo Verdasco si perde per strada e si trasforma nel suo alter ego cattivo Perdasco. Avanti in scioltezza 6-1 6-2 contro Chung si fa rimontare per perdere al tiebreak decisivo. Il solito. È Hyeon così l’avversario nel terzo turno della testa di serie numero 2. Partita inesistente con un Nadal sugli scudi e sempre al massimo. Non ce n’è per nessuno, figuriamo per il coreano, anche lui al rientro dopo un grande periodo buio. Sfida difficile per il 18 volte campione Slam che si affronta al quarto turno od ottavi di finali, in base all’inclinazione del sole, il campione degli US Open del 2014. Cilic ha saputo mettere spesso in difficoltà Rafa e qui è il suo terreno ideale. Ed è proprio nella sfida contro il croato che iniziano a palesarsi i primi problemi per il maiorchino che perde, spinto dalla potenza di Marin, il primo set del torneo. Però lo spagnolo sa quando e come mettere il NOS e dal 4° parziale in poi sdruma il suo avversario di cui rimane solo un’impressione tutt’altro che positiva. Ed è forse qui che si è capito chi avrebbe vinto questo Slam.

I quarti di finale sono i quarti di finali più facili che possano esistere sulla carta. Dall’altra parte della rete c’è Diegolo, El Peque, Er Nano, Schwartzman. Non si capisce perché sia qui, ma forse sì. È uno dei tanti che ha saputo sfruttare la crisi esistenziale di Alex Zverev che non ha mai fatto bene negli Slam, ma non è quello che tutto si aspettavano. I primi 4 game di questo turno sono ridicoli. C’è un solo giocatore in campo e ci sono dei seri dubbi se quel piccoletto con la racchetta in mano non sia altro che un intruso o il Tattoo di Fantasilandia che vuole esaudire il desiderio di uno degli ospiti della sua isola. Però all’improvviso la musica cambia e si capisce questo famoso perché. Il Nano inizia a girare come un pazzo e come un Arale qualsiasi riesce a coprire tutto il campo alla grande. È il Chang della Pampa e Nadal va in confusione. Non riesce a capire perché le sue palle sono riprese tutte e poi è lui a sbagliare. La partita si riapre però è scaltro Rafa a matare i set non lasciando spazio all’avversario di scappare. È una non strategia quella dell’argentino, è il classico: io non vinco, ma non vinci neanche tu. Questo non giuoco però si sublima nel 3° set per sancire ancora una volta che sono importanti le idee e non le contro-ideee.

La semfinale è storica. Almeno per quanto riguarda i colori italiani. Era dai tempi di Barazzutti che qui a New York un italiano non arrivasse in semifinale, ma allora c’era la terra verde, ora c’è il cemento, una superficie non proprio tricolore. Berrettini, italiano atipico, come dicono in tanti, ha saputo mettere a frutto le sue qualità che l’avevano fatto ben apparire in quel di Wimbledon, ma che poi erano state disintegrate da una bruttissima contro-prestazione contro Federer, che è Federer, però almeno mezza palla dall’altra parte l’avrebbe dovuto mettere il nostro Matteo. Contro Nadal tiene botta e deve fare i conti con un volitivo Rafa che gioca alla grande che fa la partita. Il servizio tiene a galla il romano di Prati Fiscali, però poi è lui a cedere. C’è una recriminazione, un rimpianto. Quel 4-0 di vantaggio nel tiebreak poteva fare girare la storia del torneo, però El Campéon ancora una volta l’ha girata a suo favore. La lotta scandita dall’equilibrio scema con il passare dei game per poi concludersi nella solita mattanza iberica in cui c’è un solo uomo in campo. Bene il Beretta a stare qui e a crederci, ma per essere un grande campione ci vuole tanta e tanta cazzimma e sacrificio.

I record

Conclusione

-1. È questo il numero che ha sfornato la cabala. Un numero strano. Un numero negativo. Che non ha nessun riferimento biblico, religioso, settario, escatologico. Però certifica qualcosa che si pensava fosse impossibile. Rafael Parera Nadal da Manacor è riuscito a vincere 19 titoli dello Slam portandosi ad una sola lunghezza da un record che sembrava inviolabile. Sembrava inviolabile anche il 17 che tanto è durato fino al 18° storico degli Australian Open 2017. Però quel 20 messo su con fatica e in una età in cui solo i preistorici pallacordari avevano vinto Slam, sembrava un punto inarrivabile. Inarrivabile soprattutto per il terrarossista più terrarossista che c’è. Il pallettaro ha messo insieme 7 titoli Slam fuori dal suo regno parigino e solo questo dato vale per metterlo in alto nelle leggende di questo sport, figuriamoci se a questo 7 aggiungiamo un irreale e, per tanti versi, inspiegabile 12. A conti fatti Rafa risulta il tennista che più di ogni altro ha saputo vincere in quelle che non sono le sue superfici più di quanto gli altri abbiano saputo fare nel suo regno. Un primato che sarà difficilmente attaccabile in futuro. Ha vinto 4 US Open. Il torneo che si gioca nel Decoturf che è il cemento più veloce del circuito, almeno tra quelli omologati dall’ITF. Già quello del 2010, quello del Career, sembrava un mezzo miracolo, anche se arrivato nella “stagione delle 3 superfici”. Quello del 2017 fu un regalo della fortuna ma, come sempre, qui conta esserci e non pesare. Questo titolo pesa come un macigno perché pone Rafa come quello che ha fatto meglio dopo i 30 anni. Si dice che chi è precoce non è longevo. Si dice. Ma il campione di Manacor sta infrangendo questa regola empirica, non scritta, a là legge di Moore. Vincere 2 Slam a 33 anni è tanta roba, su 2 superfici diverse, 2 superfici così distanti. Tutto questo a coronamento di una stagione straordinaria che l’ha visto arrivare sempre almeno in semifinale e solo con il neo di Acapulco coperto con il fard di un match controverso con tanto di match-point contro Kyrgios.

Molti hanno paura di Nadal. La sola idea che possa scavalcare il tanto idealizzato Federer nel record che più lo caratterizza e che, conti alla mano, risulta il più importante tra tutti i record, pone dei seri dubbi esistenziali. La scelta di tifare Federer, che pone egoisticamente la propria persona come buona e giusta, e che inevitabilmente porta ad egida della propria anima il rappresentante del Bene (che rappresentante del Bene non è), vacilla perché non è possibile che il Bene possa perdere. Il tifoso medio e mediocre abbandonerà il suo falso Idolo, perché fa comodo così, dimenticando, forse, che è la sua idea ad essere sbagliata, e non il suo Idolo. C’è rassegnazione, ma è una falsa rassegnazione. Una elaborazione precoce del lutto che si manifesta vigliaccamente perché si ha paura. Tanto: se passa Nadal io l’avevo detto, se non passa, meglio così, ho ragione io. Il sorpasso, che oggi sembra scontato, non c’è stato, e non è detto che ci sia. Ma la sola paura pone dei seri dubbi su chi mette al centro del tennis un solo giocatore, anche se è un campioneìissimo. Il pubblico di Wimbledon ha dato dimostrazione di questa setta che vuole che per forza sia Federer a vincere. Questo non è sport. Non è sport. Si può avere ammirazione di un tennista. Tifare per lui. Però considerare come Male (“M” maiuscola) tutto quello che non è Federer è una pratica pericolosa e deleteria che crea un clima poco sportivo, e mai visto nel tanto nobile tennis.

Ci sarà il sorpasso? Non si sa. Quello che sappiamo è che Nadal farà di tutto per andarsi a prendere il record, anche se lui non lo vuole ammettere. Con la sua Poker Face non vuole svelare le carte, anche i suoi 4 assi sono evidenti a tutti. Nel 2013 questo sorpasso era alla portata, anche se più distante nella semplice aritmetica. Ora è distante un solo colpo, un one-shot che potrebbe arrivare dovunque. Un Federer, avvilito nell’anima dalla onemorefobia, farà di tutto per impedirlo. E sarà questo il leitmotiv della prossima stagione, già unica di suo per via dei Giochi Olimpici di Tokyo.

Dopo lo US Open si apre stranamente un vuoto che, quest’anno, non ha tornei nella settimana successiva. La Pique Cup ha creato questa bruttura che mai si era verificata da quando il tennis è stato organizzato in un circuito internazionale. La Laver Cup non conta. I Masters 1000? Non contano. Le ATP Finals? Non contano. Sembra che la stagione sia finita qui, visto che sono solo gli Slam a essere i protagonisti di un circuito che fa la storia solo 4 volte l’anno, anche se lo fa in maniera pesante.

Nadal ora ha circa 2000 punti di vantaggio su Djokovic nella Race ed è il candidato numero 1 per diventare numero 1 a fine anno. Ma i preparativi per le nozze e lo spicchio di stagione a lui meno congeniale lo possono tenere lontano da questo ennesimo record che è ad un tiro di schioppo. Il -1 sarà -1 per tanto tempo e chissà cosa porterà a questo finale di stagione così tanto enigmatico. Staremo a vedere.