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ATP Canada 2016: 30 e lode, Djokovic vince a Toronto il 4° Masters canadese, il 30° della sua carriera

Tennis: Rogers Cup

Finisce come da pronostico il Masters del Canada con la vittoria di Djokovic che riesce ad arrivare a 30 Masters in carriera. Record assoluto. Alla vigilia del torneo c’era un po’ di incertezza circa la sua condizione dopo la cocente sconfitta contro Querrey a Wimbledon e per un piccolo problemino alla spalla accusato prima dell’inizio dell’evento. Ma Nole ha spazzato via tutti i dubbi strapazzando i suoi avversarsi in un climax eccezionale culminato con l’eccellente prestazione in finale contro Kei Nishikori.

La partita

Prima dell’inizio della finale del singolare c’erano degli oscuri presagi. La finale di doppio era stata interrotta per pioggia e si temeva uno slittamento nell’inizio di quella del singolo, ma la precipitazione è stata di breve durata e questa volta non è stato necessario l’intervento di Nole come asciugatutto (se non ci credete cercate le immagini su Google). Tutto inizia secondo il programma e il sole fa capolino sul centrale. Da una parte c’è l’indiscutibile numero 1 del mondo arrivato all’atto conclusivo senza perdere un set e dall’altra parte della rete Kei Nishikori che ha ben figurato in quel di Toronto. Per i bookmakers non ci sono dubbi su chi sarà il vincitore, in realtà solo qualche inguaribile ottimista crede che il giapponese possa in qualche modo fare partita pari con il serbo. Il ricordo inevitabilmente va agli US Open 2014, dove fu Kei a vincere, ma nel frattempo sono passati buoni, buoni, un paio d’anni e di stagioni, Nole ha vinto le ultime 8 sfide, 2 delle quali molto combattute: quelle di Madrid e soprattutto Roma e una tautologica rappresentata dalla finale di Miami.

Le perplessità, se mai ce ne fossero, sono tutte focalizzate sul servizio di Nole che in questo torneo è stato molto scarso, soprattutto nella sfida contro Berdych. La semifinale contro Monfils aveva dato segni incoraggianti da questo punto di vista e dopo un break subito nei primi game Nole ha innestato il NOS ed è partito a razzo sbiancando l’indifeso Gael. L’impressione generale è la seguente: Nole gioca male e vince, Nole gioca bene e stravince. Comunque sia in questo momento non c’è nessun algoritmo implementabile da nessun tennista al mondo che possa in qualche modo evitare che il risultato vada in una determinata direzione. Parlavano del servizio, bene: Nole in avvio di partita è un cecchino, e a volte vengono i dubbi su dove riesca a trovare questa forza sovraumana e a far salire il livello come e quando vuole lui. Nel 2011 aveva confessato che lui brekkava quando voleva e oggi quel Djokovic non è così distante. Nei primi 2 turni di battuta non concede un punto. Le prime in campo sono la regola e se la partita si focalizza sul palleggio allora si sa chi vince il punto. D’altro canto anche Nishikori non è da meno al servizio e per un bel po’ di tempo non si vedono segni evidenti di un break esiziale. Djokovic brekka quando vuole? Sì. Siamo nel 6° gioco e Nole brekka a 15 approfittando anche di un Nishi abbastanza falloso, ma in questi casi non si sa se sia Nole a procurare questo default o sia il giapponese in panne di suo. Ma il risultato non cambia, break e 4 a 2. Le percentuali al servizio del serbo sono semplicemente spaventose: 85% di prime in campo e 86% di punti vinti con la prima (inutile la statistica delle seconde che vede un 25% ma ne ha servito solo 4, quindi non fanno testo). Nole impiega poco ad arrivare al 5-2 e da qui fino alla fine del set ha un calo fisiologico, e si ricorda che per metà è vulcaniano, freddo e razionale, ma per l’altra metà è umano. Uno Spock con la racchetta. Si vede anche qualche sprazzo di bel tennis per quanto sia sempre il palleggio a scandire come un metronomo l’andamento della partita. Da segnalare qualche recuperino e drop di Nole condito anche con un lob che non guasta mai. Il primo parziale si potrebbe chiudere già nell’8° gioco ma Nole sul set point manca il dritto dietro la linea di fondo. Nulla di grave perché ci pensa lui a chiudere nel turno di battuta successivo.

A questo punto del match la tesi ineluttabile cui tutti possono arrivare, intellettuali di razza e analfabeti è la seguente: contro questo Djokovic non esiste bipede senziente che possa batterlo, punto. Troppo preciso, troppo perfetto. Il secondo set sarebbe inutile giocarlo, ma il regolamento lo impone, e così sia. La pietra tombale della partita sembra arrivare nel 3° game, dove Nishi butta via tutto e si consegna al serbo, ma questi dopo un turno di servizio tenuto a 15 comincia a calare come è fisiologico che sia. Le percentuali viste nel primo set sono solo un ricordo e Nishi si ricorda uno dei tanti aforismi del suo allenatore Chang:”La partita finisce quando finisce“.  Ottiene il break nel 6° gioco e riapre la tenzone. Ma solo per poco, perché da qui in avanti per un breve periodo non ci sono sussulti, ma quando Nole sale in cattedra non ce n’è per nessuno. Break strappato con i denti, poi si tiene il servizio e allez fino alla vittoria finale. Nishi salva l’onore del Sol Levante, ma non gli si può dare più di una sufficienza. Djokovic regala il suo cuore nelle 4 direzioni e nel discorso di premiazione si permette di mandare un messaggio evangelico di pace e invita tutti ad abbracciarsi e tutti (o quasi) seguono le sue direttive. Inspiegabile.

Il torneo

Purtroppo per il tennis il torneo di Toronto ci consegna un pessimo quadro clinico che difficilmente è riscontrabile in altre epoche recenti. Il Masters del Canada ha fatto parlare di sé più per le assenze che per le presenze. Data la vicinanza con i Giochi Olimpici molti hanno preferito disertare questo evento per preparare al meglio l’appuntamento a cinque cerchi. Il primo della lista è stato Andy Murray, che dopo la vittoria a Wimbledon aveva fatto spolverare qualche pallottoliere per capire se e quando sarebbe potuto diventare numero 1 del mondo. La scelta di Rio è stata chiara e inequivocabile: meglio l’oro olimpico che il numero 1 del ranking mondiale. E fino a qui nulla di eclatante.

Ma la bomba che ha scosso tutti, ma proprio tutti è stato l’annuncio di Federer sul proprio profilo Facebook in cui diceva che per lui la stagione 2016 è finita e deve recuperare dall’infortunio al ginocchio patito dopo la semifinale degli Australian Open che l’aveva costretto ad operarsi. Tutto sembrava risolto e l’ottimo Torneo di Wimbledon avevano dato delle belle sensazioni circa la sua condizione, ma evidentemente ci sbagliavamo tutti. Questo stop così lungo pone delle serie domande circa il futuro del campione svizzero. Lui sembra ottimista e non vede l’ora di tornare, ma analizzando la realtà dei fatti forse c’è da stare poco allegri. Federer ha 35 anni, che compirà l’8 agosto prossimo (un triste compleanno per lui), nel corso della sua carriera non ha mai subito infortuni gravi che lo abbiano in qualche modo costretto a stare lontano dai campi per tanto tempo. Qui stiamo parlando di 6 mesi di cui 4 senza toccare la racchetta. Il rientro dovrebbe avvenire nella Hopman Cup, un torneo di esibizione tra squadre miste, un altro tassello dell’enigma Rogè. Perché rientrare in un torneo di esibizione e non a Brisbane che si gioca la stessa settimana e dove difende i punti della finale? Mistero. L’esperienza e la storia ci dicono che nessuno è tornato ad alti livelli in così avanzata età.

L’ultimo grande campione così longevo è stato Jimmy Connors. Jimbo ha giocato fino ai 40 anni, è vero, ma bisogna anche capire a che livelli ha giocato. L’ultimo exploit dell’americano si ha a New York nel 1983, ossia a 31 anni (guarda caso come Federer a Wimbledon 2012), dopo 2 anni ai massimi livelli precipita nel 1986 (34 anni) e l‘infortunio all’inguine patito al Queen’s contro Tim Mayotte ne compromette la stagione, crolla all’8° posto, si riprende nel 1987 ma non vince nulla di importante. Zeru tituli come Federer quest’anno. L’ultimo botto si avrà a 39 anni con la semifinale agli US Open del 1991, ma in tutti questi anni Connors aveva avuto un ruolo di comprimario e le nuove leve non gli avevano permesso di vincere trofei importanti. Vinse qualche torneino fino al 1989, ma niente di che. Si ritirerà a 43 anni, forse cercando di emulare il suo maestro Pancho Gonzales che vinse il suo ultimo torneo ATP a quell’età, ma rimediò solo 2 sconfitte. Ora, alla luce di questo excursus storico, ci chiediamo: sarebbe Federer pronto a ricalcare il ruolo di comprimario che ebbe Connors? I numeri parlano chiaro: l’uscita dalla top 10 è sicura, potrebbe precipitare alla 16a posizione togliendogli la possibilità di aver un buon tabellone agli Australian Open e non potendo usufruire del bye al primo turno nei Masters 1000. Questo per quanto riguarda i numeri. Ma il lato tecnico e soprattutto fisico che cosa ci dice? Ci dice che è difficile ritornare ed essere ai livelli che si sono lasciati appena prima di infortunarti, lasciando stare il miracolo Nadal datato 2013 (ricordando che Rafa aveva 26-27), dove si collocherebbe come gioco e soprattutto prestazioni un 36enne al rientro nel circuito? Vero che tolti Djokovic e Murray c’è il vuoto, ma dietro non staranno mica a guardare e le nuove leve non esiteranno a battere il campione che fu anche se sarebbe forse un sacrilegio (forse). Tutti questi discorsi sono fatti alla luce del comunicato ufficiale. Ma siamo sicuri che Roger tornerà? Bel dilemma, le dinamiche dell’incidente e soprattutto la comunicazione con i media non è stata eccelsa, per usare un eufemismo, e le dinamiche della vicenda hanno delle tinte fosche. Forse Roger potrebbe rientrare, ma lo farebbe per i saluti finali e gli applausi di tutti gli appassionati di tennis del mondo a Wimbledon e forse a Basilea (ho usato troppi forse). Quello che sappiamo per certo è che Federer non giocherà da qui a fine anno lasciando un piccolo grande vuoto nei tabelloni, perché diciamocelo francamente: la sola presenza dello svizzero nel main draw dava la certezza di vedere spettacolo. Staremo a vedere.

Un altro desaparecido di Toronto è stato Rafael Nadal. Dopo l’infortunio al polso patito al Roland Garros aveva dato appuntamento in Canada per un suo rientro. Ma la condizione non era ottimale e per lui sono molto più importanti le Olimpiadi dove sogna di fare il portabandiera per la Spagna, onore negatogli nel 2012 per infortunio. Le ultime notizie sembrano dare ottimi segnali circa la sua condizione, dopo che per giorni si sono rincorse notizie circa un suo forfait a Rio ha giocato una partita di allenamento con Murray, ha vinto (anche di molto), ma quello che conta è che venerdì prossimo quando lo speaker del Maracanà annuncerà:” Espanha!” il primo a entrare nello stadio sarà proprio il maiorchino.

Si potrebbe stare 2 ore a parlare delle assenze, ma ci limitiamo a fare un elenco per semplicità. I giocatori che non hanno partecipato al torneo sono stati: Murray, Federe, Nadal, Baghdatis, AGUT, Cuevas, Ferrer, Gasquet, Kohlschreiber, Feliciano, Seppi, Simon, Tipsarevic e Tsonga.

Uno dei Masters più monchi della storia ha dato pochi responsi. La certezza assiomatica è che Djokovic = numero 1, qui non si discute. Il suo cammino è stato pieno di insidie ma non più di tanto. Il servizio ha latitato per tanto tempo, soprattutto nella partita contro Berdych, dove ha dimenticato la prima a casa e con Tomas complice di uno dei suo classici czech choke dove ha messo in mostra numeri da circo, uno tra tutti un doppio fallo sul set point del primo parziale. Ma Nole ha saputo innestare una marcia superiore in semifinale contro, fino a quel momento, un ottimo Monfils che è stato disintegrato per 6-3 6-4 nonostante Gael fosse stato in grado di battere un bel Raonic nei quarti di finale. Milos era chiamato a fare bene in patria soprattutto alla luce della sua rinuncia a Rio a causa del virus Zika (inutile approfondire). Ha vinto contro Lu e Donaldson, ma ha perso, come detto in semifinale contro Monfils. Il transalpino è stato protagonista di un buon torneo e partito dal primo turno come tds numero 10 ha battuto prima Sousa, poi Pospisil (sempre più un crisi di identità) ed è riuscito ad avere la meglio su Goffin che ormai come un pallone sonda non sembra in grado di sfondare per entrare nella top 10 e altrettanto non indietreggia.

Nella parte bassa non possiamo non menzionare la vittoria al primo turno di Denis Shapovalov (segnate questo nome perché in futuro potrebbe essere utile). La wildcard canadese, vincitore del torneo junior a Wimbledon, è riuscito a battere la tds 11 rappresentata dal cacciatore di Pokemon Nick Kyrgios. Il giocatore di Canberra è stato imbarazzante, ma ha comunque perso e a 17 anni, 3 mesi e 16 giorni Shapovalov è diventato il più giovane a vincere una partita in un Masters dai tempi di Nadal che vinse a Monte Carlo nel 2003 a 16 anni e 10 mesi contro Kucera prima e Albert Costa poi. Peccato per Denis che se l’è giocata anche con Dimitrov, ma questi è stato più freddo nei punti importanti e ha portato a casa la partita di mestiere (anche se conoscendo il personaggio non si direbbe).

Se da un lato un giovanissimo ha fatto bene, dall’altro un vecchissimo ha fatto altrettanto. Stiamo parlando di Ivo Karlovic, capace di battere prima Fritz e poi Cilic prima di arrendersi a Greg. A 37 anni Ivone continua a stupire e cerca in ogni modo di battere i record di longevità che da tanti anni sono scritti nei libri di storia del tennis. Un ottimo torneo è stato disputato anche da Nishikori, e non poteva essere altrimenti, capace di arrivare in finale per la terza volta in un Masters 1000. Eccellenti sono state le prove contro Dimitrov prima e Wawrinka poi, bravo ad arrivare in semifinale, ma nel secondo set si è perso completamente, ma nonostante tutto festeggia il sorpasso ai danni di Nadal nel ranking ATP e sale al 4° posto. Golden Age.

Tra gli altri protagonisti ci sono Thiem che si è infortunato all’anca nel match contro un ritrovato Kevin Anderson. Ha detto che ha giocato troppo quest’anno e deve riposare, però annuncia che farà di tutto per essere a Los Cabalos (ma come si fa?!). Menzione speciale per Harrison che dalle qualificazioni è arrivato fino al terzo turno. Zverev, male. La sua sconfitta al primo turno contro Lu è stata inattesa soprattutto dopo la buona prestazione mostrata nell’ATP 500 di Washington. Rimandato il 2 facce Fognini capace di incantare contro Johnson e buttare tutto all’aria contro Donaldson. Di Kyrgios abbiamo già parlato e in conclusione spendiamo 2 parole di elogio per Jackie Sock capace di spingersi fino al terzo turno.

I record

Djokovic ci costringe ancora una volta ad aggiornare il libro dei record. Per lui si tratta del 66° titolo in carriera, 7°  nella classifica dell”era Open dietro Nadal a quota 69. 50° titolo sul cemento al 2° posto era Open dietro Federer a 60. Ritocca già il record che già gli apparteneva dei Masters vinti, ben 30 staccando il secondo, Nadal, a quota 28. Per Nole si è trattata della 43a finale in un Masters, ha staccato così Nadal a quota 42.

Conclusione

La stagione cementifera americana è ripresa dove era rimasta. La finale di Miami è stata la stessa di Toronto. Djokovic ha ripreso a macinare record, ma la speranza in tutti gli appassionati di tennis che vogliono vedere delle partite combattute è che Murray, “assente giustificato”, possa essere l’altezza del numero 1. Ha fatto 3 finali Slam su 3 e una l’ha portata a casa. Nole Il Cannibale non sembra intenzionato a lasciare nulla per strada, ma forse si è vista qualche crepa riempita con la splendida prestazione in finale. Djokovic è in corsa per il Golden Summer Slam che mai nessuno è riuscito a fare. Sarà in grado di vincere Olimpiadi, Cincinnati e US Open? Difficile dirlo. Per ora il grande tennis si riposa per una settimana prima di ritornare con il botto a Rio dove i più arditi giocatori del mondo, come i pionieri che andavano verso il Far West, cercheranno una cosa sola: l’oro.