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ATP Canada 2016: 30 e lode, Djokovic vince a Toronto il 4° Masters canadese, il 30° della sua carriera

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Tennis: Rogers Cup

Finisce come da pronostico il Masters del Canada con la vittoria di Djokovic che riesce ad arrivare a 30 Masters in carriera. Record assoluto. Alla vigilia del torneo c’era un po’ di incertezza circa la sua condizione dopo la cocente sconfitta contro Querrey a Wimbledon e per un piccolo problemino alla spalla accusato prima dell’inizio dell’evento. Ma Nole ha spazzato via tutti i dubbi strapazzando i suoi avversarsi in un climax eccezionale culminato con l’eccellente prestazione in finale contro Kei Nishikori.

La partita

Prima dell’inizio della finale del singolare c’erano degli oscuri presagi. La finale di doppio era stata interrotta per pioggia e si temeva uno slittamento nell’inizio di quella del singolo, ma la precipitazione è stata di breve durata e questa volta non è stato necessario l’intervento di Nole come asciugatutto (se non ci credete cercate le immagini su Google). Tutto inizia secondo il programma e il sole fa capolino sul centrale. Da una parte c’è l’indiscutibile numero 1 del mondo arrivato all’atto conclusivo senza perdere un set e dall’altra parte della rete Kei Nishikori che ha ben figurato in quel di Toronto. Per i bookmakers non ci sono dubbi su chi sarà il vincitore, in realtà solo qualche inguaribile ottimista crede che il giapponese possa in qualche modo fare partita pari con il serbo. Il ricordo inevitabilmente va agli US Open 2014, dove fu Kei a vincere, ma nel frattempo sono passati buoni, buoni, un paio d’anni e di stagioni, Nole ha vinto le ultime 8 sfide, 2 delle quali molto combattute: quelle di Madrid e soprattutto Roma e una tautologica rappresentata dalla finale di Miami.

Le perplessità, se mai ce ne fossero, sono tutte focalizzate sul servizio di Nole che in questo torneo è stato molto scarso, soprattutto nella sfida contro Berdych. La semifinale contro Monfils aveva dato segni incoraggianti da questo punto di vista e dopo un break subito nei primi game Nole ha innestato il NOS ed è partito a razzo sbiancando l’indifeso Gael. L’impressione generale è la seguente: Nole gioca male e vince, Nole gioca bene e stravince. Comunque sia in questo momento non c’è nessun algoritmo implementabile da nessun tennista al mondo che possa in qualche modo evitare che il risultato vada in una determinata direzione. Parlavano del servizio, bene: Nole in avvio di partita è un cecchino, e a volte vengono i dubbi su dove riesca a trovare questa forza sovraumana e a far salire il livello come e quando vuole lui. Nel 2011 aveva confessato che lui brekkava quando voleva e oggi quel Djokovic non è così distante. Nei primi 2 turni di battuta non concede un punto. Le prime in campo sono la regola e se la partita si focalizza sul palleggio allora si sa chi vince il punto. D’altro canto anche Nishikori non è da meno al servizio e per un bel po’ di tempo non si vedono segni evidenti di un break esiziale. Djokovic brekka quando vuole? Sì. Siamo nel 6° gioco e Nole brekka a 15 approfittando anche di un Nishi abbastanza falloso, ma in questi casi non si sa se sia Nole a procurare questo default o sia il giapponese in panne di suo. Ma il risultato non cambia, break e 4 a 2. Le percentuali al servizio del serbo sono semplicemente spaventose: 85% di prime in campo e 86% di punti vinti con la prima (inutile la statistica delle seconde che vede un 25% ma ne ha servito solo 4, quindi non fanno testo). Nole impiega poco ad arrivare al 5-2 e da qui fino alla fine del set ha un calo fisiologico, e si ricorda che per metà è vulcaniano, freddo e razionale, ma per l’altra metà è umano. Uno Spock con la racchetta. Si vede anche qualche sprazzo di bel tennis per quanto sia sempre il palleggio a scandire come un metronomo l’andamento della partita. Da segnalare qualche recuperino e drop di Nole condito anche con un lob che non guasta mai. Il primo parziale si potrebbe chiudere già nell’8° gioco ma Nole sul set point manca il dritto dietro la linea di fondo. Nulla di grave perché ci pensa lui a chiudere nel turno di battuta successivo.

A questo punto del match la tesi ineluttabile cui tutti possono arrivare, intellettuali di razza e analfabeti è la seguente: contro questo Djokovic non esiste bipede senziente che possa batterlo, punto. Troppo preciso, troppo perfetto. Il secondo set sarebbe inutile giocarlo, ma il regolamento lo impone, e così sia. La pietra tombale della partita sembra arrivare nel 3° game, dove Nishi butta via tutto e si consegna al serbo, ma questi dopo un turno di servizio tenuto a 15 comincia a calare come è fisiologico che sia. Le percentuali viste nel primo set sono solo un ricordo e Nishi si ricorda uno dei tanti aforismi del suo allenatore Chang:”La partita finisce quando finisce“.  Ottiene il break nel 6° gioco e riapre la tenzone. Ma solo per poco, perché da qui in avanti per un breve periodo non ci sono sussulti, ma quando Nole sale in cattedra non ce n’è per nessuno. Break strappato con i denti, poi si tiene il servizio e allez fino alla vittoria finale. Nishi salva l’onore del Sol Levante, ma non gli si può dare più di una sufficienza. Djokovic regala il suo cuore nelle 4 direzioni e nel discorso di premiazione si permette di mandare un messaggio evangelico di pace e invita tutti ad abbracciarsi e tutti (o quasi) seguono le sue direttive. Inspiegabile.

Il torneo

Purtroppo per il tennis il torneo di Toronto ci consegna un pessimo quadro clinico che difficilmente è riscontrabile in altre epoche recenti. Il Masters del Canada ha fatto parlare di sé più per le assenze che per le presenze. Data la vicinanza con i Giochi Olimpici molti hanno preferito disertare questo evento per preparare al meglio l’appuntamento a cinque cerchi. Il primo della lista è stato Andy Murray, che dopo la vittoria a Wimbledon aveva fatto spolverare qualche pallottoliere per capire se e quando sarebbe potuto diventare numero 1 del mondo. La scelta di Rio è stata chiara e inequivocabile: meglio l’oro olimpico che il numero 1 del ranking mondiale. E fino a qui nulla di eclatante.

Ma la bomba che ha scosso tutti, ma proprio tutti è stato l’annuncio di Federer sul proprio profilo Facebook in cui diceva che per lui la stagione 2016 è finita e deve recuperare dall’infortunio al ginocchio patito dopo la semifinale degli Australian Open che l’aveva costretto ad operarsi. Tutto sembrava risolto e l’ottimo Torneo di Wimbledon avevano dato delle belle sensazioni circa la sua condizione, ma evidentemente ci sbagliavamo tutti. Questo stop così lungo pone delle serie domande circa il futuro del campione svizzero. Lui sembra ottimista e non vede l’ora di tornare, ma analizzando la realtà dei fatti forse c’è da stare poco allegri. Federer ha 35 anni, che compirà l’8 agosto prossimo (un triste compleanno per lui), nel corso della sua carriera non ha mai subito infortuni gravi che lo abbiano in qualche modo costretto a stare lontano dai campi per tanto tempo. Qui stiamo parlando di 6 mesi di cui 4 senza toccare la racchetta. Il rientro dovrebbe avvenire nella Hopman Cup, un torneo di esibizione tra squadre miste, un altro tassello dell’enigma Rogè. Perché rientrare in un torneo di esibizione e non a Brisbane che si gioca la stessa settimana e dove difende i punti della finale? Mistero. L’esperienza e la storia ci dicono che nessuno è tornato ad alti livelli in così avanzata età.

L’ultimo grande campione così longevo è stato Jimmy Connors. Jimbo ha giocato fino ai 40 anni, è vero, ma bisogna anche capire a che livelli ha giocato. L’ultimo exploit dell’americano si ha a New York nel 1983, ossia a 31 anni (guarda caso come Federer a Wimbledon 2012), dopo 2 anni ai massimi livelli precipita nel 1986 (34 anni) e l‘infortunio all’inguine patito al Queen’s contro Tim Mayotte ne compromette la stagione, crolla all’8° posto, si riprende nel 1987 ma non vince nulla di importante. Zeru tituli come Federer quest’anno. L’ultimo botto si avrà a 39 anni con la semifinale agli US Open del 1991, ma in tutti questi anni Connors aveva avuto un ruolo di comprimario e le nuove leve non gli avevano permesso di vincere trofei importanti. Vinse qualche torneino fino al 1989, ma niente di che. Si ritirerà a 43 anni, forse cercando di emulare il suo maestro Pancho Gonzales che vinse il suo ultimo torneo ATP a quell’età, ma rimediò solo 2 sconfitte. Ora, alla luce di questo excursus storico, ci chiediamo: sarebbe Federer pronto a ricalcare il ruolo di comprimario che ebbe Connors? I numeri parlano chiaro: l’uscita dalla top 10 è sicura, potrebbe precipitare alla 16a posizione togliendogli la possibilità di aver un buon tabellone agli Australian Open e non potendo usufruire del bye al primo turno nei Masters 1000. Questo per quanto riguarda i numeri. Ma il lato tecnico e soprattutto fisico che cosa ci dice? Ci dice che è difficile ritornare ed essere ai livelli che si sono lasciati appena prima di infortunarti, lasciando stare il miracolo Nadal datato 2013 (ricordando che Rafa aveva 26-27), dove si collocherebbe come gioco e soprattutto prestazioni un 36enne al rientro nel circuito? Vero che tolti Djokovic e Murray c’è il vuoto, ma dietro non staranno mica a guardare e le nuove leve non esiteranno a battere il campione che fu anche se sarebbe forse un sacrilegio (forse). Tutti questi discorsi sono fatti alla luce del comunicato ufficiale. Ma siamo sicuri che Roger tornerà? Bel dilemma, le dinamiche dell’incidente e soprattutto la comunicazione con i media non è stata eccelsa, per usare un eufemismo, e le dinamiche della vicenda hanno delle tinte fosche. Forse Roger potrebbe rientrare, ma lo farebbe per i saluti finali e gli applausi di tutti gli appassionati di tennis del mondo a Wimbledon e forse a Basilea (ho usato troppi forse). Quello che sappiamo per certo è che Federer non giocherà da qui a fine anno lasciando un piccolo grande vuoto nei tabelloni, perché diciamocelo francamente: la sola presenza dello svizzero nel main draw dava la certezza di vedere spettacolo. Staremo a vedere.

Un altro desaparecido di Toronto è stato Rafael Nadal. Dopo l’infortunio al polso patito al Roland Garros aveva dato appuntamento in Canada per un suo rientro. Ma la condizione non era ottimale e per lui sono molto più importanti le Olimpiadi dove sogna di fare il portabandiera per la Spagna, onore negatogli nel 2012 per infortunio. Le ultime notizie sembrano dare ottimi segnali circa la sua condizione, dopo che per giorni si sono rincorse notizie circa un suo forfait a Rio ha giocato una partita di allenamento con Murray, ha vinto (anche di molto), ma quello che conta è che venerdì prossimo quando lo speaker del Maracanà annuncerà:” Espanha!” il primo a entrare nello stadio sarà proprio il maiorchino.

Si potrebbe stare 2 ore a parlare delle assenze, ma ci limitiamo a fare un elenco per semplicità. I giocatori che non hanno partecipato al torneo sono stati: Murray, Federe, Nadal, Baghdatis, AGUT, Cuevas, Ferrer, Gasquet, Kohlschreiber, Feliciano, Seppi, Simon, Tipsarevic e Tsonga.

Uno dei Masters più monchi della storia ha dato pochi responsi. La certezza assiomatica è che Djokovic = numero 1, qui non si discute. Il suo cammino è stato pieno di insidie ma non più di tanto. Il servizio ha latitato per tanto tempo, soprattutto nella partita contro Berdych, dove ha dimenticato la prima a casa e con Tomas complice di uno dei suo classici czech choke dove ha messo in mostra numeri da circo, uno tra tutti un doppio fallo sul set point del primo parziale. Ma Nole ha saputo innestare una marcia superiore in semifinale contro, fino a quel momento, un ottimo Monfils che è stato disintegrato per 6-3 6-4 nonostante Gael fosse stato in grado di battere un bel Raonic nei quarti di finale. Milos era chiamato a fare bene in patria soprattutto alla luce della sua rinuncia a Rio a causa del virus Zika (inutile approfondire). Ha vinto contro Lu e Donaldson, ma ha perso, come detto in semifinale contro Monfils. Il transalpino è stato protagonista di un buon torneo e partito dal primo turno come tds numero 10 ha battuto prima Sousa, poi Pospisil (sempre più un crisi di identità) ed è riuscito ad avere la meglio su Goffin che ormai come un pallone sonda non sembra in grado di sfondare per entrare nella top 10 e altrettanto non indietreggia.

Nella parte bassa non possiamo non menzionare la vittoria al primo turno di Denis Shapovalov (segnate questo nome perché in futuro potrebbe essere utile). La wildcard canadese, vincitore del torneo junior a Wimbledon, è riuscito a battere la tds 11 rappresentata dal cacciatore di Pokemon Nick Kyrgios. Il giocatore di Canberra è stato imbarazzante, ma ha comunque perso e a 17 anni, 3 mesi e 16 giorni Shapovalov è diventato il più giovane a vincere una partita in un Masters dai tempi di Nadal che vinse a Monte Carlo nel 2003 a 16 anni e 10 mesi contro Kucera prima e Albert Costa poi. Peccato per Denis che se l’è giocata anche con Dimitrov, ma questi è stato più freddo nei punti importanti e ha portato a casa la partita di mestiere (anche se conoscendo il personaggio non si direbbe).

Se da un lato un giovanissimo ha fatto bene, dall’altro un vecchissimo ha fatto altrettanto. Stiamo parlando di Ivo Karlovic, capace di battere prima Fritz e poi Cilic prima di arrendersi a Greg. A 37 anni Ivone continua a stupire e cerca in ogni modo di battere i record di longevità che da tanti anni sono scritti nei libri di storia del tennis. Un ottimo torneo è stato disputato anche da Nishikori, e non poteva essere altrimenti, capace di arrivare in finale per la terza volta in un Masters 1000. Eccellenti sono state le prove contro Dimitrov prima e Wawrinka poi, bravo ad arrivare in semifinale, ma nel secondo set si è perso completamente, ma nonostante tutto festeggia il sorpasso ai danni di Nadal nel ranking ATP e sale al 4° posto. Golden Age.

Tra gli altri protagonisti ci sono Thiem che si è infortunato all’anca nel match contro un ritrovato Kevin Anderson. Ha detto che ha giocato troppo quest’anno e deve riposare, però annuncia che farà di tutto per essere a Los Cabalos (ma come si fa?!). Menzione speciale per Harrison che dalle qualificazioni è arrivato fino al terzo turno. Zverev, male. La sua sconfitta al primo turno contro Lu è stata inattesa soprattutto dopo la buona prestazione mostrata nell’ATP 500 di Washington. Rimandato il 2 facce Fognini capace di incantare contro Johnson e buttare tutto all’aria contro Donaldson. Di Kyrgios abbiamo già parlato e in conclusione spendiamo 2 parole di elogio per Jackie Sock capace di spingersi fino al terzo turno.

I record

Djokovic ci costringe ancora una volta ad aggiornare il libro dei record. Per lui si tratta del 66° titolo in carriera, 7°  nella classifica dell”era Open dietro Nadal a quota 69. 50° titolo sul cemento al 2° posto era Open dietro Federer a 60. Ritocca già il record che già gli apparteneva dei Masters vinti, ben 30 staccando il secondo, Nadal, a quota 28. Per Nole si è trattata della 43a finale in un Masters, ha staccato così Nadal a quota 42.

Conclusione

La stagione cementifera americana è ripresa dove era rimasta. La finale di Miami è stata la stessa di Toronto. Djokovic ha ripreso a macinare record, ma la speranza in tutti gli appassionati di tennis che vogliono vedere delle partite combattute è che Murray, “assente giustificato”, possa essere l’altezza del numero 1. Ha fatto 3 finali Slam su 3 e una l’ha portata a casa. Nole Il Cannibale non sembra intenzionato a lasciare nulla per strada, ma forse si è vista qualche crepa riempita con la splendida prestazione in finale. Djokovic è in corsa per il Golden Summer Slam che mai nessuno è riuscito a fare. Sarà in grado di vincere Olimpiadi, Cincinnati e US Open? Difficile dirlo. Per ora il grande tennis si riposa per una settimana prima di ritornare con il botto a Rio dove i più arditi giocatori del mondo, come i pionieri che andavano verso il Far West, cercheranno una cosa sola: l’oro.

ATP Canada 2016: Finale. Djokovic ha Sushi per merenda

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ATP Canada 2016: Semifinali. Djokovic contro la sorpresa Monfils, Nishi-Stan possibili outsider

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ATP Canada 2016: Quarti di finale. Classico Djokovic-Berdych, interessante Raonic-Monfils

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ATP Canada 2016: Terzo turno. Djokovic sfida Stepanek, Wawrinka impegnato con Sock

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ATP Canada 2016: Djokovic debutta contro Muller

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ATP Canada 2016: Finalmente qualche big, in campo Berdych e Wawrinka

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ATP Canada 2016: Primo turno senza grandi nomi

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ATP Canada 2016: Analisi Tabellone. Djokovic gioca da solo, Thiem, Wawrinka e Nishi per la finale

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La 116a edizione del Canadian Open, che abbiamo scoperto essere nato nel 1890 e diventato Open nel 1968, si presenta con le peggiori credenziali possibili. Le Olimpiadi sono alle porte e 3 dei Fab Four hanno preferito saltare l’evento nordamericano per concentrarsi meglio su Rio. Se da un lato la rinuncia di Nadal era nell’aria, per dei motivi tecnici: in pratica non riesce a colpire con il dritto e se non hai il dritto non puoi giocare a tennis, lo dice pure la scienza. Quella di Federer è stata un po’ a sorpresa, ma non più di tanto, visto che l’anno scorso non aveva preso parte all’evento memore del 2014 in cui il tour de force del Summer Slam lo aveva prosciugato di energie nel torneo che conta, ossia lo US Open. Invece tra tutte le rinunce quella più clamorosa è stata quella di Andy Murray che dopo la vittoria a Wimbledon è in piena corsa per il numero 1 del mondo, anche se ha 815 punti di distacco nella famosa Race to London che tiene conto dei risultati post ATP Finals. Andy, già oro a Londra, ha preferito riposare per essere al meglio alle Olimpiadi a dimostrazione che i tennisti non fanno collezione di francobolli e pur avendo nel palmarés un trofeo non lo disertano nelle edizioni successivi solo “perché già ce l’ho. Oltre alle rinunce di Federer, Nadal e Murray ce ne sono altre, tante altre, che fanno declassare non poco il torneo, e riguardano nell’ordine: Tsonga, Simon, Seppi, Ramos, Ferrer, Gasquet, Cuevas, Baghdatis, AGUT, Kohlschreiber, Feliciano e Tipsarevic. Una carneficina.

Nonostante tutto “the show must go on” e nel silenzio più assoluto venerdì si è effettuato il sorteggio che ha dato il seguente responso.

Quarto di finale Djokovic-Uno a caso

Inutile dire che Djokovic è lanciato verso il suo 30° Masters 1000 in carriera. Le condizioni sembrano essere molto simili a quelle che si presentarono nel 2012 altro anno olimpico e altro anno di defezioni. Lasciata alle spalle la cocente delusione della sconfitta al terzo turno contro Sam Querrey che ha chiuso un ciclo unico che nel corso di 19 mesi ha visto un dominio assoluto e che nello stesso lasso di tempo non si era mai visto in Era Open (lo si è visto in era Pre-Open e in un periodo più lungo dei 19 mesi) Djokovic torna a Toronto per ritrovare fiducia, colpi e trofei. Nole non è stato tanto fortunato nel sorteggio, sempre considerando che il torneo è in discesa per lui. Al secondo turno (prima partita per lui) dovrebbe trovare Gilles Muller sempre perdente in finale e alla ricerca del suo primo titolo ATP. Seconda partita e terzo turno con un grossissimo punto interrogativo. Giro la ruota e compro 2Q e una WC. Impossibile stabilire chi tra le 2 sigle andrà avanti. Terzo turno in ghiaccio. Nei quarti di finale dovrebbe arrivare come di consueto Tomas Berdych che sempre come di consueto dovrebbe perdere l’ennesima sfida già chiusa in partenza con il serbo. Sorprese potrebbero arrivare da Coric (ahia) o forse da Isner (più probabile).

Quarto di finale Raonic-Goffin

L’uomo caldo del momento è senza dubbio Milos Raonic, che galvanizzato dalla finale a Wimbledon ha un’ottima chance di ben figurare in casa propria. E sottolineo casa propria perché molto probabilmente se il Masters del Canada non si fosse giocato in Canada Shiro sarebbe rimasto a casa, ma ha preferito sacrificare le Olimpiadi adducendo la solita scusa del virus Zika, che fa paura solo a chi non vuole andare a Rio. La scienza si interroga molto perplessa (ma che ne sai tu di scienza!). Affascinante potrebbe essere la sfida al secondo turno tra Milos e Zverev che sta cercando di ritagliarsi un posto tra i top 10 e di questi tempi a 19 anni sarebbe a metà strada tra un miracolo e un sacrilegio. Al terzo turno potrebbe esserci Johnson, a meno che Fognini decida che non è tempo di mettere su maniglie dell’amore post matrimonio ma il suo ottimo torneo a Umago sembra scongiurare questa eventualità. Dall’altra parte dello specchio c’è David Goffin che già al secondo turno ha il GOAT Sam Querrey (inutile parlare di Dancevic e della sua wildcard data in maniera random). Terzo turno interessante potrebbe essere quello tra il belga e Gael Monfils, che ha ben figurato a Washington. Sembrano tagliati fuori Chardy e Nothing is Pospisil.

Quarto di finale Cilic-Nishikori

Nella parte bassa c’è grande incertezza e tra vecchie glorie in decadenza e nuove leve in ascesa che potrebbero far spuntare fuori un finalista inedito. Cilic, miracolosamente testa di serie numero 8, ha pescato male perché già al secondo turno potrebbe trovare Ivone Karlovic, vincitore a Newport a 37 anni suonati e in finale a Washington con la concreta possibilità di vincere. Primo turno affascinante tra Shapovalov e Kyrgios con il giovanissimo canadese impegnato nella 2a partita in carriera nel circuito ATP. Tautologica sfida tra Dimitrov e Sugita. A conti fatti dovrebbe essere Nick a sfidare Marin nel terzo turno. Criptica la sezione di tabellone presidiata da Nishikori, un vaso di coccio nel centro di Hiroshima la mattina del 6 agosto 1945. La prima partita dovrebbe vederlo affrontare Delbonis e nel terzo turno dovrebbe arrivare Pouille, testa di serie numero 13. Da escludere (forse) un exploit di Gulbis  e RAM.

Quarto di finale Thiem-Wawrinka

Dopo la scampagna a Kitzbuhel dove è andato per onore di patria e incrementare il numero di tornei giocati in questa stagione, Thiem gioca anche a Toronto. Ha detto che rinuncia alle Olimpiadi. Preoccupati tutti del record, ha fatto subito sapere che non andrà a Rio, ma giocherà al confine Messico-USA un 250 tra narcotrafficanti e polizia di frontiera. DEA gratias! Nella prima partita Domenico dovrebbe trovare Kevin Anderson, ma non è da escludere Victor Troicki. Incognita assoluta per il terzo turno. I numeri dicono Tomic, ma ci possiamo fidare di Bernardino? Forse sì, visto che a sostituirlo ci dovrebbero essere Edmund, una Q, o Diez (che non è Maradona). Wawrinka, alla ricerca di una identità in questo circus, ha o Robert o Youzny come primo incontro. Forse c’è Dolgo al terzo turno, ma chi lo sa? Sock, Kudla e Young, tutti bardati a stelle e strisce non ci stanno.

Le percentuali di tennisabstract.com danno i seguenti numeri.

  • Novak Djokovic 40,2%
  • Stan Wawrinka 14,5%
  • Kei Nishikori 12,2%
  • Milos Raonic 4.4%

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Maple Leaf Redemption: progressi e successi del tennis canadese

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Maple Leaf Redemptio

Si avvicina il Canadian Open, il torneo più importante del Canada che vedrà al via i migliori tennisti del mondo (Giuro che questa l’ho scritta qualche giorno fa). Ma ci chiediamo: perché il Canada ha un torneo così importante del suo carniere? A primo acchito non ci viene in mente nulla di così eclatante riguardo ai risultati raggiunti da tennisti con la foglia d’acero, ma andando a spulciare qualche almanacco viene fuori qualcosa di interessante che magari nessuno si aspettava.
La prima edizione del Canadian Championships fu disputata nel 1881 il ‘che colloca la nascita di questo particolare evento quasi in contemporanea dei ben più prestigiosi U.S. National Championships (oggi US Open) e Wimbledon. Però, nonostante l’evento rappresentasse una intera Nazione era di un livello molto basso e nelle prime edizioni si preferiva il torneo di Niagara-on-the-Lake giocato sull’erba del Queen’s Royal Hotel. Tutti questi eventi orbitavano attorno al circuito americano che aveva come punta di diamante il National e avevano una posizione marginale rispetto ad altri eventi, meno importanti del National, ma di una o due categoria superiore rispetto ai diversi tornei canadesi: i tornei di Newport, Seabright e Longwood erano di un’altra caratura. Per questo motivo per diversi anni il Canadian Championships non fu un torneo di punta per i dilettanti anche se nell’albo d’oro si annoverano nomi importanti come quello di William Larned che riuscì a vincere nel 1895 prima della sua ascesa e dei 7 titoli al National. Tra i grandi ci sono anche Robert Wrenn e Leondard Ware, sconosciuti ai più, ma tennisti di una cerca risma che facevano del circuito americano il migliore del mondo e andavano a rimpinguare quei field dove saltano agli occhi i soliti noti, ossia le leggende, e magari qualche altro nome di rilievo viene trascurato.
Per molti anni furono i tennisti di casa a fare la voce grossa, anche se un certo Frank Hunter, americano, non certo uno sconosciuto, riuscì a trionfare 2 volte prima della Seconda Guerra Mondiale. Negli anni ’60 fu terreno di battaglia di quei tennisti che per un motivo o un altro avevano preferito rimanere dilettanti piuttosto che passare al professionismo. Questa fu l’occasione per i trionfi di Roy Emerson nel 1964 e Manuel Santana nel 1967. Grazie a questi successi il Canadian Championships rimase a galla e fu subito pronto ad abbracciare la riforma Open nata nel 1968. Nel 1968 anche il torneo canadese divenne Open, ossia aperto sia ai professionisti che ai dilettanti e nel 1970 fece il suo ingresso nel neonato Grand Prix. In quell’anno vinse Rod Laver in un evento che aveva $23,000 di montepremi. Una bella cifra per quei tempi. Ormai il seme era stato piantato e il torneo con la foglia d’acero sarebbe rimasto nel novero dei migliori eventi del mondo per tanti anni: prima giocato sulla terra battuta verde, la famosa Har-Tru, per passare successivamente al cemento a causa del cambio di superficie degli US Open che costrinse tutti i tornei satellite a fare altrettanto. Il grande protagonista degli anni ’80 fu Ivan Lendl, vincitore in 5 occasioni e finalista perdente in altre 2. Grazie alla presenza costante di top player nel 1990 l’ATP lo scelse come torneo dei Super 9, ossia quei tornei di un gradino appena inferiore solo a quelli degli Slam. Questo status rimane anche oggi collocando la “Rogers Cup” (chiamata così per motivi di sponsorizzazione, lui….non c’entra) tra i più importanti torneo dell’anno e che inaugurano la calda estate del Summer Slam che culmina con gli US Open.
OK. Questo riguarda il torneo del Canada. Ma i tennisti come sono messi? Se si pensa agli americani o agli australiani vengono in mente una caterva di campioni più o meno forti, se pensiamo agli italiani ci vengono i mente i soliti Pietrangeli e Panatta e la disputa su chi sia migliore: un dilettante che “ha fatto 2 volte” quello che fatto il professionista. Ma i canadesi hanno il loro Nicola Pietrangeli? Ni. Ce l’hanno, ma per cercare di carpire informazioni bisogna risalire alla preistoria. Il GOAT canadese risulta ad oggi un certo Henry George Mayes, che non era proprio canadese, ma aveva delle origini britanniche, un po’ come Wilding non era del tutto neozelandese, ma aveva qualche gene della Regina. Hayes sapeva giocare bene sia sulla terra battuta sia sull’erba. Lui, nato nel 1880, non ebbe mai modo di poter dimostrare la sua predisposizione per il clay in un grande torneo non essendoci ancora uno Slam di riferimento per questa superficie che arriverà solo nel 1913 con il World Hard Court Championships e poi successivamente con gli Internazionali di Francia del 1925 diventi “Roland Garros” a partire dal 1928. Fu uno dei grandi protagonisti della Coppa Davis del 1913 dove il Canada riuscì ad arrivare in finale e costretta a soccombere contro lo strapotere degli USA poi vincitori nel challenge round contro la Gran Bretagna. Fu costretto a servire il proprio Paese nella Prima Guerra Mondiale e per questo motivo perse quasi 6 anni di carriera. Rientrò nel circuito nel 1919 e dopo 2 stagioni di assestamento riuscì finalmente ad esprimere il suo potenziale. Riuscì a fare incetta di titoli nella Costa Azzurra dove si giocava esclusivamente sulla terra battuta (d’altronde l’avevano inventata lì). Riuscì a vincere sulla terra battuta britannica che loro non chiamavano “clay” bensì “hard court” creando non poca confusione con quello che poi noi avremo chiamato “cemento“. Anche sull’erba non era male e riuscì a vincere diversi tornei mettendo in fila nel 1926 la tripletta: Queen’s, North London e Middlesex. A Wimbledon non riuscì ad arrivare oltre i quarti di finale del 1921, ma di contro vinse 3 volte il torneo nel club della Regina. Morì in circostanze misteriose nel 1928 a soli 48 anni lasciando un grande vuoto nel tennis canadese che sarebbe durato per diversi decenni.
Passando per tennisti più o meno mediocri il Canada ha avuto un grande rilancio a partire dal 2007. L’anno di per sé non dice nulla, ma fu allora che per la prima volta vennero stanziate grosse cifre perché “Il tennis diventasse il primo sport in Canada“. Una visione un po’ utopistica visto che l’hockey su ghiaccio e la NHL in Canada sono di gran lunga lo sport più seguito, ma che ha dato un grande impulso al Tennis Canada tutto. Allora furono stanziati 9.5 milioni di dollari canadesi, una miseria, ma sono stati sufficienti a sfornare degli ottimi risultati. L’anno dello svolta è il 2012 quando nel torneo di Wimbledon nella categoria juniores vincono 2 canadesi: Felipe Peliwo e Eugenie Bouchard. Il primo si è un po’ perso, lo possiamo considerare un Quinzi con la foglia d’acero, ma Genie dopo quel 2012 ha avuto una carriera di tutti rispetto prima di precipitare nei meandri di Instagram. Dopo un 2013 di assestamento riuscì ad arrivare in finale a Wimbledon nel 2014 dopo le semifinali agli Australian Open e al Roland Garros. Vinse un solo titolo a Norimberga, ma i grandi piazzamenti nei tornei che contano la collocarono fino al numero 5 del mondo il 20 ottobre 2014.  Dopo quella data, il buio, il nulla. Tranne un quarto di finale agli Australian Open 2015 ha raccolto poco o nulla lasciandosi preferire come selfiesta piuttosto che come tennista. Incredibile come uno dei maggiori talenti del tennis canadese, sicuramente la migliore a livello femminile si sia persa in questo modo. Ogni tanto riesce a tirare fuori qualche buona prestazione, ma alla fine rovina tutto con delle sconfitte inaspettate.
Ma il vero gioiello prodotto dal Tennis Canada è Milos Raonic. Ancora una volta parliamo di un “oriundo” essendo Milos originario del Montenegro e il cognome ne è la testimonianza. Ma i montenegrini non hanno nulla da recriminare essendo Raonic canadese al 100%. Grazie al lavoro di Piatti prima e Ljubicic poi Milos ha saputo ritagliarsi un posto importante del circuito riuscendo a mantenere un certo standard per diversi anni. Salito agli onori della cronaca a soli 20 quando vince a San Jose e poi sconfitto nel torneo successivo a Memphis solo da Andy Roddick in finale, ha messo la freccia nel 2014 riuscendo a spingersi fino ai quarti di finale del Roland Garros, non proprio il suo torneo e non proprio la sua superficie e soprattutto la semifinale persa contro Federer a Wimbledon. Grazie agli ottimi piazzamenti in quasi tutti i Masters 1000, tranne Madrid e Shanghai, riuscì a risalire fino alla 4a posizione del ranking mondiale l’11 maggio 2015. Peccato per quell’infortunio al piede patito prima del Roland Garros 2015 che gli ha fatto perdere punti preziosi e soprattutto la continuità. Ma la grande impresa l’ha fatta nel 2016 dopo il divorzio con Ljubicic passato alla scuderia di Federer riuscendo ad arrivare in semifinale agli Australian Open e grazie ai consigli di Mac si è spinto fino alla finale di Wimbledon che ad oggi rimane il maggior successo del tennis canadese. Troppo forte per lui Murray, ma questo grande achievement ripaga il tennis canadese tutto di anni vissuti in sordina e senza nessun top player.
Grande soddisfazione è arrivata anche dal torneo junior dove Denis Shapovalov ha vinto battendo tra gli altri Stefanos Tsitsipas che insieme sembrano formare la coppia che dovrebbe dominare il tennis nel prossimo futuro. Denis è un tennista atipico per questo periodo. Gioca il rovescio ad una mano ed è mancino. Difficile fare dei paragoni ma sembra un Gasquet o un Wawrinka mancino. Forse questi paragoni lo offendono, ma è meglio fermarci qui, anche Laver era un monomane mancino, ma è opportuno non mettere pressione al classe 1998 che però già viaggia attorno alla posizione numero 370 con qualche Futures in cascina.
Il tennis canadese gongola e con poca tradizione alla sue spalle è riuscito a tirare fuori dei campioni. Chissà se magari altre federazioni potranno fare altrettanto, magari quelle con più tradizione, blasone e che sa cantare e ha più stemmi da lustrare.

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