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Purtroppo, non c’è stato spazio e tempo per poter approfondire gli aspetti fondamentali che riguardano la riforma della Coppa Davis. Dal punto di vista filosofico non si può parlare di una vera e propria riforma, ma di una rivoluzione, una rivoluzione talmente radicale che si può legittimamente pensare che quella giocata a Madrid non è stata la 108a edizione della più antica manifestazione sportiva per Nazionali che si disputi ancora oggi. L’idea che ha spinto ad un cambiamento così profondo è stata la non partecipazione dei top player. Questo è vero, ma solo relativamente. La defezione dei migliori in Coppa Davis parte da molto lontano, almeno con la nascita dell’Era Open. Ma ancora prima si portava dietro il fardello del ban dei professionisti che, essendo la Davis una competizione ILTF, non potevano partecipare. Questo fece nascere la quasi sconosciuta Kramer Cup, ma questa è un’altra storia. Con l’apertura ai professionisti avvenuta solo nel 1973 i migliori tornarono a difendere i propri colori, ma le defezioni eccellenti si registravano sempre. Non è un caso che la Davis del 1974 sia stata vinta dalla buona, ma non ottima, compagine sudafricana che approfittò del boicottaggio di Indian che non volle disputare la finale per protestare contro l’Apartheid. Anche la tanto osannata vittoria dell’Italia arriva in questo clima. Gli azzurri avevano una squadra molto forte nel suo insieme, ma le individualità non erano così eccellenti. C’erano diverse Nazionali con atleti più forti, anche solo guardando il ranking ATP (anche se allora poco considerato). Dalla vittoria dell’Italia del 1976 l’albo d’oro si riempie di Nazionali con una grande tradizione tennistica e imbottite da leggende più o meno forti. Questo singolo particolare non ha fatto storcere il naso a nessuno, anche perché, semplicemente, i più forti era anche i più giovani, per cui questi avevano tutta la voglia di giocare per la propria Nazione e aggiungere trofei alla propria bacheca. La vera crisi della Davis arriva quando i migliori del mondo iniziano a diventare vecchi. Tutte le statistiche riguardanti le età dei partecipanti e dei vincitori dei tornei dell’ATP testimoniano un incremento costante della media età che a partire dal 2008 (circa) è cresciuta sempre più fino a raggiungere il suo apice nel 2015. Tutto questo si traduce in una defezione importante dei campioni che, ormai vecchi, preferiscono collezionare una sola insalatiera e poi non sforzarsi più di tanto. L’esempio più eclatante è quello di Federer. Vinta la Davis del 2014 non ha più partecipato assiduamente e per questo, in teoria, non rientrerebbe nei criteri minimi per partecipare alle prossime Olimpiadi. Il trend ora è leggermente in discesa, ma, proprio perché è un trend ci vorranno decenni perché si ritorni ad una configurazione mediana, ammesso che riapparirà, e altresì, sembra ormai utopia l’età d’oro dei ragazzini terribili della fine degli anni ’80.

Pique insieme ai suoi: Kosmos, Rakuten e compagnia bella, hanno comprato 119 anni di storia e hanno confezionato un prodotto imbevuto in ogni atomo di marketing con pochissimi collegamenti con la Coppa di cui questa dovrebbe essere l’erede, ma vediamo il dettaglio dei principi fondamentali di questo nuovo format.

2 su 3 vs 3 su 5

Nato con il 3 su 5, il tennis si è aperto fin da subito al formato ridotto, per questioni di tempo. Tutti sanno quale è stato il primo torneo 3 su 5, ma nessuno (o quasi) il 1° che si è giocato 2 su 3. In un circuito in cui solo negli Slam si gioca con il format lungo, la Davis è sempre stato un torneo dove ammirare il tennis epico, quello che fa la storia. Inutile nascondere che le migliori partite della storia sono finite al 5° set. È semplice arrivarci con il cuore, è un po’ più difficile, ma si può arrivare allo stesso risultato con dei precisi calcoli matematici. Questa epicità si è manifestata in tanti incontri leggendari e, laddove è mancata negli Slam, la leggenda si è manifestata nella Davis. È il caso del 2016 con poche partite da ricordare negli Slam, ma con scontri da antologia come quello tra Murray e Del Potro. Giocare con il format lungo significa mettere una giornata di riposo per i protagonisti. Questo avrebbe significato allungare di molto la manifestazione che come minimo sarebbe dovuta durare 2 settimane. Non è il caso di allungare così un calendario che tra tornei ATP, coppe e coppette si sta dilatando sempre di più. Non si arriverà al paradosso temporale dei 13 mesi l’anno degli anni ’80, però negli ultimi anni il trend era stato in controtendenza. Il 2 su 3 è un formato necessario se si vuole giocare tutti insieme nella stessa struttura in 1 settimana. Se si allargasse a 2 allora ci si potrebbe pensare, però a questo punto sarebbero incentivate ancora le defezioni, elemento chiave da debellare assolutamente.

Casa vs Sede Unica

Il tennis ormai è confinato in “pochi” tornei stagionali. Siamo sul 53-55. Negli anni ’70 si superava anche quota 100. I circoli che ospitano un grande evento sono sempre meno e questo crea un problema logistico non indifferente a chi si trova ad abitare lontano, anche molto lontano dal tennis che conta. Con l’apertura sempre più pressante all’Oriente a suon di dollari tintinnanti, l’Europa si trova sempre più emarginata dal tennis che conta e perde sempre più la sua centralità che era stata fondamentale fin dalla nascita del tennis stesso.

La Davis era l’occasione per andare a vedere i propri beniamini magari giocare contro i più forti del mondo, sotto casa. L’Italia è sempre stata prolifica da questo punto di vista e i Tennis Club che hanno ospitato il grande tennis sono numerosissimi. Tutto questo chiaramente mettendo da parte i grandi impianti già sede dei grandi appuntamenti dell’ATP, Internazionali tra tutti. Come non ricordare la sfida di Wilander e Cané a Cagliari, non proprio l’ombelico del mondo della racchetta. La sede unica disintegra questa peculiarità creando anche un altro problema. Il problema è che si deve pur giocare in questo pianeta, in una Nazione dell’ONU. Questo vuol dire che inevitabilmente qualcuno verrà avvantaggiato a discapito di tutti gli altri. È il caso eclatante della Spagna che ha visto un tifo caloroso e sfrenato dei suoi connazionali, e non poteva essere altrimenti. Ha vinto la Nazione di casa, e questo ha fatto storcere il muso a qualcuno. Ha acuito l’angolazione anomala di questo muso storto la non rotazione della sede che sarebbe stata d’uopo. Non era così facile farlo dal punto di vista logistico, ma era altrettanto corretto farlo dal punto di vista sportivo, e non c’è bisogno neanche di spiegare il perché.

Gironi vs Eliminazione diretta

Nessuno aveva mai sognato che un tie non potesse essere decisivo. Magari scendendo nei bassi fondi della Davis, quella giocata tra i preti della Città del Vaticano e i pastori delle Isole Far Oer, c’era stata questa possibilità, ma dove contava, ossia nell’altisonante World Group, l’eliminazione era un format scontato e mai in discussione. Però se vuoi allargare a 18 Nazionali e far disputare quante più partite possibili, ci deve essere necessariamente il gironcino, che può essere da 3, 4, x, e che si porta dietro inevitabilmente dietro la calcolatrice. Conosciamo bene questo difetto perché sono ormai anni e anni che si disputa il Masters o Finals. Pensavano che il calcolatore dovesse essere tirato fuori in quell’occasione, ma qui è molto utile farlo. Il formato con girone a 3 in cui passa la prima e le 2 migliori secondi tra tutti i gruppi, fa scervellare non poco. Sarebbe stato meno farraginoso usare girone a base 2, in modo tale che passino o solo la prima o solo prima e seconda. Il concetto di “migliore seconda” diventa difficile da concepire e da calcolare e soprattutto un po’ lontano dalla logica di questo sport. Quello che conta nel tennis è vincere. Grazie! Però questo ci dice anche che lasciare 1 punto, 1 game anche 1 set è funzionale alla vittoria. Sono tanti i casi in cui la vittoria è arrivata perché il più forte ha lasciato qualcosa per strada. Qui lasciare punti significava anche perdere le possibilità di passare. Non è così scontato nel tennis. Però sembra questo l’unico criterio oggettivo per dirimere una eventuale parità.

Partite farlocche

Figlie del precedente punto sono le partite farlocche. È stato un altro punto controverso di questa Davis, però almeno in questo caso si è portato, per così dire, un fardello che anche il vecchio format aveva. Il tie al meglio delle 5 partite permetteva di chiudere la tenzone con il doppio e quindi avere così ben 2 partite ininfluenti. Portando a 3 il numero massimo di partite si è tagliata fuori 1 eventuale non partita, ma non si è tolta questa ambiguità irrisolvibile dal punto di vista aritmetico. Per avere 1 vincitore ci deve essere un numero dispari di partite. 5 sono tanti, 1, manco a dirlo, sarebbe quella che evita le non partite, ma non sarebbe più evento a squadre ma un torneo di singolare. Non rimane che mettere 3 sfide, con il doppio decisivo. Si potrebbe mettere il doppio come seconda sfida, però questa specialità ha poco appeal, ed è meglio vedere 2 singolari seri. La “farlocchità” si è cercata si diluire con il famoso score che avrebbe portato a dare la qualificazione alle 2 migliori seconde, ma ha prodotto in tanti casi l’effetto opposto. Sicuro della qualificazione, il Canada non è sceso in campo nel doppio. Il regolamento lo permette. Lo sport, no. Nonostante gli evidenti limiti, il Canada avrebbe dovuto schierare anche 2 Labrador per onore una sfida e non falsare così lo score per la qualificazione ancora in bilico. Gli australiani hanno fatto gli indiani e hanno giocato 1 solo game nel doppio contro il Belgio. Più dignitosa come impostazione, ma altrettanto vergognosa è stata la figura antisportiva. Come risolvere questo problema? Difficile. Forse il format dell’ATP Cup ci dirà che 1 girone a 4 è meglio di un girone a 3. Però prima dovremmo vederlo all’opera. Eliminare del tutto le partite farlocche? Citofonare circuito ATP, interno: singolare.