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Wimbledon 2019: Lu Futtìu!!!

….Articolo 40-15 bis. Regicidio!

Si è scritto anche troppo sulla sconfitta di Federer. Notate bene il sostantivo: sconfitta. In un mondo parallelo, alla Fringe, per intenderci, lo sconfitto ha avuto più onore che il vincitore. Poco importa il perché, però c’è qualcosa che non quadra. Qualcuno si è limitato a cantare le gesta di questa splendida finale che è entrata di diritto nelle più belle della storia del torneo. Qualcuno è stato scongelato per l’occasione e si è ricordato che il tennis esiste. Questo qualcuno magari è un personaggio che sa scrivere bene, ed è un peccato che ci debba essere una finale di 5 ore con 2 match point buttato o salvati, a seconda delle vostre inclinazioni religiose, per poter scrivere delle belle parole a riguardo. Però si sa, se esiste un punto di contatto, uno star-gate tra il mondo reale e il mondo del tennis, questo non può che essere il Torneo di Wimbledon. L’ignorante fisso non sa che il tennis è sempre pieno di epica, perché è costruito così. Il duello con le spade è stato sostituito da quello con le pistole. Si è passati da Omero a Sergio Leone, ma non potendo esaltare la violenza più di tanto, si è deciso di sostituire le pistole con le racchette, i proiettili con le palline. Per cui è facile che se si arriva a spararsi senza esclusione di colpi per 5 ore che possa saltare fuori l’epica. È saltata fuori in un’anonima domenica di Parigi di quest’anno, in un duello a una mano tra un greco e uno svizzero. Noi l’abbiamo sempre saputo che ci può essere l’epica, ma quella di Paris l’hanno capita in pochi, qui in tanti. Però lo show business è fatto così. Nessuno si interessa alla macchina in toto, ma a quello che rappresenta. Ed ecco la finale di Wimbledon in cui lo sconfitto è uno e uno solo: Roger Federer.

Tornando al tennis e di più al lato tecnico-analitico, quello che ci piace di più, o almeno quello che può trovare delle variabili condivisibili, possiamo affermare con assoluta certezza che Federer ha disputato un signor torneo. La semifinale a Parigi era stata un sentore. Qualcuno sprovveduto aveva parlato di “stanchezza”. Figuriamoci se Re Roger, con l’entourage di una squadra di football americano, non abbia calcolato tutto, ma proprio tutto, quello che poteva succedere. Halle aveva mandato un segnale chiaro. Però lo Slam degli Slam è un altro paio di maniche. È inutile ribadire la solita frivola polemica sulla superficie sempre più lenta, talmente lenta che partendo dal 2001 a oggi la palla dovrebbe avere una velocità negativa. Non c’è un mezzo scienziato con 2 dollari di finanziamento dalla CIA che si preoccupi di misurare questa benedetta velocità dell’erba. “Agut e Pella sono arrivati ai quarti, allora…”. Ma per favore! Ci mancherebbe che la velocità della superficie venga misurata dall’evoluzione del tabellone. Però questo aspetto, almeno nel modo in cui viene trattato, può spiegare molto su come certa gente si approccia al tennis. Non è la superficie a essere lenta, è la nostra volontà a volere che la superficie sia lenta, un po’ alla Nietzsche, una superficie come volontà e rappresentazione. Si dice che sia lenta per giustificare una eventuale debaclé del proprio beniamino, che “con l’erba” vera avrebbe vinto 51.9 Wimbledon consecutivi in un anno solo. Questo signore, etichettato come l’unico vero erbaiolo rimasto, dopo la prematura scomparsa di Bob Marley, ha vinto e stravinto nella “nuova superficie“, quella lenta lenta, installata per evitare che il tennis diventasse il tiro a piccione. Inutile ribadire concetti che dovrebbero essere chiari a tutti, a tutti. La mancata proibizione dell’uso di materiali sempre più leggeri e performanti ha costretto gli organizzatori dei tornei a mettere una toppa a questo fenomeno. Nel baseball si è vietato fin da subito l’uso delle mazze in grafite, così da non adottare misure così drastiche. Nel tennis prima hanno permesso questo disallineamento e poi hanno messo la pezza. Nonostante tutto però le velocità del gioco sono aumentate, come dimostrato in questo articolo, Quindi, il gioco è sicuramene più veloce. Colpa dell’evoluzione dei tennisti e del gioco stesso? Sì, ma delle superfici si dovrebbe sempre parlare cum grano salis, a prescindere dagli eventi, a prescindere dai propri beniamini.

Nonostante questa palude che non c’è, Rogerino nostro ha disputato una grande torneo. Ha approfittato nei primi turni di un tabellone molto semplice, però è nella parte finale che ha tirato fuori tutta la sua classe. Ad Halle aveva vinto, ma non aveva brillato. Questa luce sempre grande, ma un po’ opaca si è spostata sui campi dell’All England Club. Non è più quello di una volta…e ‘sti cazzi! Ci mancherebbe. Però questa versione basta e avanza per avere la meglio su Llyod Harris. Ok, ma chi è? Per essere lì qualcosa l’ha fatta, non si sa cosa, ma l’ha fatta. È talmente opaco Federer che diventa un lumicino sul Centre Court. L’anonimo sudafricano si permette di vincere un set, il 1°! Come si permette?! Sacrilegio! Poi Roger si ricorda che non basta solo il nome per vincere le partite, mette la freccia e se ne va.

Sorte un po’ più crudele spetta a Jay Clarke. Che non è un pilota di Formula 1, dicono che sia un tennista pure lui. Crediamoci, tutti insieme. Ha una wildcard data dalla LTA. Ha battuto Rubin al primo turno. Crediamoci. Però nella sfida contro Federer non può nulla. Solo nel secondo giochicchia un po’, però poi viene spazzato da un Federer che ancora non appare al meglio. Forse l’avversario nel terzo turno è uno buono. Il suo nome è famoso, ma è famoso per quello che non è diventato piuttosto che per quello che è. È Lucas Pouille. Il pulcino, speranza dei francesi, che qui hanno combinato qualcosa di buono negli anni ‘20 non ha mai messo le piume e chiamato a volare si è schiantato a terra come una ghiandaia da picchiata. Neanche lui può nulla contro lo Re nostro che tutto puote. Finisce la prima settimana, e Rogerino timbra il cartellino per il Magic e Magic Monday. Il giorno più bello, ma allo stesso tempo caotico della stagione tennistica. Arriva anche il nostro bombardiere. Matteo Berrettini, un italiano atipico, che sa giocare sull’erba e che promette bene sul cemento. I Federer fan sono preoccupati che il 3° Matteo più importante del Bel Paese possa impensierire l’8 volte campione dei Championships. Scrutando per bene il tabellone, pare proprio che sia questa la sfida più aperta. Però quella che sarà la punta della Valanga Azzurra che dominerà il tennis, con il Presidente Binaghi che diventerà il Nostro Drake, si scioglie. È una partita che non c’è. Troppo brutta da vedere. Federer non fa nulla, è il romano a mettere tutto, contravvento alla perfetta ripartizione dei meriti e oneri decantata dagli abitanti della Capitale della nostra Nazione. Dispiace molto che sia finita così. Berretta non spara e si complimenta con il suo Maestro, forse il Maestro di tutti quelli che sono là. Passa il numero 3 del mondo e nei quarti di finale c’è Kei Nishikori. Uh, Madonna! Che ci fa qui il Sushi?! Perché è qui? La superficie è lenta! Azz…vero, avevo dimenticato. Cosa può fare il Cristallo di Matsue contro Federer? Può solo pallettare e cercare di prolungare il più possibile l’agonia. Però Federer ancora non mette le marce alte. Forse ha capito che questo suo mood modesto basta e avanza. Va talmente sotto giri il 20 volte campione Slam che Kei lo infila a tradimento e si permette di vincere il 1° set. Però non bisogna mai destare il can che dorme. Quando si va troppo sotto poi si dà il colpo di reni e si ritorna su con maggiore vigore. È quello che succede dal 2° set in poi in cui c’è un solo giocatore in campo. Federer va in semifinale e ora potrà prendersi la rivincita con Nadal.

Il Fedalone è la partita di questo millennio. Facile la retorica, però in fondo la rivalità tra Federer e Nadal è quella che ha fatto lievitare i numeri del tennis che così si è involgarito, tralasciando quella che era la sua aura chic che si portava dietro dagli anni ’70, anni in cui finalmente divenne uno sport popolare a livello mondiale. Il tennis è diventato come il calcio, per dirlo molto banalmente, però è il costo di qualcosa che per forza deve raggiungere un compromesso tra la popolarità e una verginità primigenia. Ma tolta questa sviolinata si passa alla partita vera. A Parigi era stato un massacro. Però la sconfitta era stata colpa del vento, come una mononucleosi o un mal di schiena qualsiasi. Però si sa che sulla terra battuta non c’è storia. È sul veloce però che almeno ci può essere partita. Il loro precedente a Wimbledon? Bah, pare che sia l’anonima sfida del 2008, che per molti è la più grande partita di tutti i tempi. Il torneo straordinario di Nadal ha spostato le quote dei bookmaker che così hanno dato favorito Rafa. Però l’erba è l’erba, anche se non c’è, è terba, trallallero, trallàlla. La sfida è molto combattuta e il campione di Parigi sembra a proprio agio su questa superficie. Partita ottima, però il tiebreak del primo diventa dirimente.  Nel secondo però sembra proprio che Federer stia per andare a casa. Il set è dominato da Rafa e “lasciato” dal campione svizzero che intelligentemente si concentra sul terzo. Il livello sale e Nadal continua a giocare splendidamente in una superficie che non è la sua. Roger fa altrettanto e lo spettacolo è assicurato. Però è lo svizzero a fare la voce grossa e il suo avversario non riesce a sfondare. Ci sono tante palle break iberiche, però volano via troppo facilmente, ed è Rogerino a prendersi il set. La partita sembrava segnata, ora il popolo della Retorica inizia a sognare. Rafa cala al servizio e viene infilato per primo nel quarto. È la zampata decisiva. Qualcuno crede che possa girare, ma non gira. Commovente è l’ultimo game, quello in cui Federer serve per chiudere. Il suo rivale non la vuole dare per vinta, e per fortuna non riesce a sfondare, nonostante un game giocato più con il cuore che non la racchetta. Così i conti con Parigi sono pari. Però è evidente che i valori in campo siano: dominio spagnolo sulla terra, prevalenza svizzera sull’erba. È sempre stato così, ma qualcuno l’ha forse dimenticato.

Della finale si è già parlato nell’articolo precedente, però ora è opportuno farlo dalla prospettiva dello sconfitto. Djokovic la stava per buttare, e in un universo parallelo Federer ha messo l’ace, o ha chiuso quella discesa a rete. In questo però, ha buttato via una finale che era stata clamorosamente sua. Non si sa come ma Djokovic l’ha vinta. Roger è riuscito a stare in piedi per 5 ore a lottare contro un giocatore inscalfibile nella sua trama di dritto e poi di rovescio. La classe è stata tutta svizzera, e per un solo punto non è stata apoteosi. Però i tifosi di Roger, almeno quelli in campo, non hanno capito che non bisogna andare contro il numero 1 del mondo. No, è come un bambino che più prende botte e più si gasa, più ride. Come un Salvini con la racchetta, trova negli insulti, nelle denigrazioni, nel tifo contro, una forza che mai si era vista, almeno in questo modo. Il pubblico chic e scandaloso ha fatto il suo, convinto che lo svizzerotto avrebbe vinto perché lui è il Tennis, però non è tutto il Tennis. Il serbo ha mostrato grande coraggio nell’annullare quelle 2 palle match. E non è la prima volta che lo fa. A New York era successo per 2 anni consecutivi, e se 3 indizi fanno 1 prova, alla Agatha Christie, questa è la prova che Djokovic sa come battere Federer in uno scontro diretto che nelle prime declinazioni sembrava quasi ridicolo e che con gli anni si sta trasformando in un massacro continuo. Sono 5 le sconfitte consecutive. Sembra quasi il caso Lendl-Connors, quando nei primi anni Jimbo mise in riga Ivan per ben 8 volte consecutive, ma alla fine fu lo stesso cecoslovacco nel frattempo diventato cittadino americano a mettere in fila 13 vittorie. Federer non ha vinto Wimbledon, però ha dimostrato che lo può vincere e che da qui in avanti nel prosieguo della stagione ci sarà da fare i conti con lui. Ancora non è finita. Quando finirà? Quando sarà finita.