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The GOAT Theory: Masters Series e Masters 1000

In questo capitolo sulla GOAT Theory ci occuperemo di un caso particolare che è quello riguardante gli attuali Masters 1000. Questa categoria al di sotto degli Slam non sempre si è chiamata in questa modo. Dalla sua prima introduzione nei giornali appare la dicitura: ATP Championship Series. In questo neologismo introdotto nel mondo del tennis la parola più importante non è né Championship, né Series ma ATP. Infatti la nuova categorizzazione nasce dall’istituzione e finalmente del’inquadramento dei tornei da parte dell’ATP, l’associazione dei giocatori professionisti, che prese le redini del circuito mettendo alle spalle anni e anni di diatribe tra Grand Prix –  di cui ne eredita i tornei – e WCT ormai estinta. Grazie ad un governo unico, centrale guidato dall’ATP nel 1990 i tornei furono categorizzati in maniera rigida, meno rispetto a quella attuale, ma comunque facile da capire e soprattutto interpretare. Gli Slam erano al di sopra tutto, ma non di solo Slam vive l’uomo per cui si voleva dare luce agli altri eventi che grazie a questo categorizzazione e riconoscimento come i “migliori tranne” potevano investire cifre non indifferenti per l’epoca, mettendo sul piatto montepremi vicini a quelli degli Slam.

Nel 1990 si decise di scegliere 9 tornei tra i più importanti del circuito. Ora, capire perché 9 e non 10 o 8 è una informazione che non ci è dato sapere, ma possiamo dedurre facilmente che erano 9 i tornei di quel periodo che si ergevano al di sopra di tutti gli altri. Anche se prima del 1990 non avevano questa etichetta gli ATP Championship Series erano i tornei più frequentati dai top player e meglio remunerati, per cui l’ATP non fece un così grande sforzo a scegliere questi eventi che, proprio perché elitari, poteva beneficiare di privilegi che prima sì avevano ma non erano così automatici.

Tra i magnifici 9 non ci potevano lasciare fuori i 2 super tornei sul cemento americano primaverile. Indian Wells e Miami. Oggi il torneo dei pozzi indiani ha superato il suo collega nelle graduatorie di preferenza dei tennisti e soprattutto nella partecipazione dei top player, ma nel 1990 la situazione era diametralmente opposta. Il torneo di Miami, detto anche Lipton, per motivi di sponsorizzazione si portava dietro diversi anni in cui si era giocato con il format del 3 su 5 e con tabellone a 128 giocatori. Uno Slam a tutti gli effetti che dava maggiori punti ATP e aveva un montepremi superiore rispetto all’Australian Open. Questa dura imposizione nata nel 1985 si era affievolita con gli anni e ben presto venne abbondato prima il format del best-of-5 e poi del tabellone a 128 che comunque rimase a 96 e tutte le edizioni del Masters di Miami da quando è diventato tale hanno sempre avuto un tabellone a 96.

La stagione sulla terra battuta ha sempre avuto un certo peso nell’ambito del Grand Prix, poco nel WCT, così, volendo ripercorrere le orme del circuito che fu inventato da Jack Kramer si decise di selezionare 3 tornei su terra battuta del Grand Prix da inserire nella nuova categoria. Vennero scelti 3 tornei storici, con grande tradizione e prestigio, certamente ognuno con i suoi difetti. Il primo della lista fu quello di Monte Carlo, torneo datato 1897, poi Amburgo anch’esso torneo storico su clay della Germania addirittura più precoce del torneo del Principato con la prima edizione datata 1892. A questi si aggiunsero gli Internazionali d’Italia, nati a Milano nel 1930, ma che ben presto furono frequentati da top player. Questi 3 tornei ruotavano e ruotano (tranne Amburgo) attorno al più importante evento dell’anno su clay che è il Roland Garros. Ecco che, non potevano non esserci eventi che ruotavano all’altro torneo del Grande Slam che però si giocava su cemento, gli US Open. Nel lotto dei tornei di preparazione per lo Slam americano furono scelti il torneo del Canada, disputato alternativamente a Montreal e a Toronto, e il torneo di Cincinnati, con molta meno tradizione degli altri, ma che nel 1990 era già pronto per il salto di qualità. Per chiudere il cerchio si decise si scegliere 2 tornei indoor da includere nella nuova categoria: il torneo di Stoccolma, prestigioso evento indoor sempre frequentato dai migliori anche prima del 1990, e il torneo di Parigi-Bercy di gran lunga il migliore torneo indoor della stagione la cui tradizione continuava anche all’inizio degli anni ’90. Il Masters di fine anno rimase tale, ma venne cambiato il nome in ATP World Tour Championships per via di una disputa legale sul nome “Masters” che non apparteneva l’ATP.

Lo schema che ne seguì fu il seguente:

  • 2 tornei sul cemento outdoor in primavera
  • 3 tornei sulla terra battuta
  • 2 tornei sul cemento outdoor in preparazione agli US Open
  • 2 tornei sul sintetico indoor

Nello schema delle grandi cosi è possibile notare come non esiste un Masters sull’erba, ma questa è un’altra storia.

Il rating

Finora sono state date delle informazioni facilmente reperibili sul web. Da adesso in poi inizia l’indagine approfondita sugli ATP Champioship Series o Masters che dir di voglia. Il passaggio dal 1989 al 1990, come tutti i passaggi fondamentali che riguardano la storia del tennis, come quello dell’era pre-Open a quella Open, non fu così istantaneo tanto da avere la stessa configurazione che si sarebbe instaurata e consolidata nel corso degli anni.

Per renderci conto di questo passaggio-non passaggio abbiamo usato un metodo molto rudimentale, ma di per sé sufficiente a capire la dinamica di questo problema. Abbiamo usato un rating per definire la “qualità” di un torneo, o meglio la “competitività”. Nel corso degli anni sono stati elaborati tantissimi metodi di misura di questo parametro, anche TML ne ha sviluppato uno, il famoso TML Rating, ma la sofisticatezza di questi algoritmi non è necessaria, così ci siamo basati semplicemente sulla media del ranking del partecipanti per misurare il parametro prima citato. Vediamo nel dettaglio il grafico.

 

Quello che emerge chiaramente leggendolo da sinistra a destra è che nel 1990 la situazione è molto più ingarbugliata di quanto si pensasse. La differenza di rating tra Bercy il verde, 36.31, e Canada, 112.16, è esorbitante. All’interno di questo range ci sono tutti gli altri tornei che si stagliano attorno ad una deviazione standard più accettabile. Trascurando il caso “fuori controllo” del Masters del Canada molto spesso disertato –  facile da capire attraverso il grafico – si nota una certa tendenza verso il basso (attenzione che più basso è il torneo più è alta la qualità-competitività) che trova il suo culmine nel 2002. In questi 12 anni i Super 9 hanno avuto modo di consolidarsi e così essere frequentati dai migliori tennisti del mondo, che oltre agli Slam si presentavano in massa nei tornei della categoria inferiore con tutte le eccezioni del caso che riguardavano le specializzazioni: terraioli vs bombardieri per prima.

Nel 2009 c’è stata un’altra riforma, l’ultima in merito alle categorie dei tornei di tennis che ha imposto l’obbligatorietà alla partecipazione di questi eventi, anzi a 8 su 9 di questi eventi, lasciando fuori da questo lotto il torneo di Monte Carlo, sempre Masters 1000, ma non obbligatorio. Ci si aspetterebbe un incremento del rating di questi tornei, ma i dati ci smentiscono, o meglio non avvalorano in toto questa tesi.

 

Per renderci conto di questa anomalia calcoliamo la media delle medie dei ranking anno per anno dei Masters Series. Come era prevedibile c’è un graduale livellamento verso il basso quindi maggiore peso per i tornei della categoria che però trova il suo punto di minimo nel 2002, dal 2002 fino al 2009 la curva ha una pendenza positiva, fenomeno alquanto strano e difficile da spiegare in termini generali. Sembra quasi un’anomalia di Belady, ossia un’anomalia che si verifica solo per situazioni strutturali e non per un motivo particolare, certamente non è così semplice visto che gli elementi delle indagini della statistica sono persone e non computer, quindi ognuno con una componente di imprevedibilità elevatissima, ma l’anomalia comunque rimane. Dal 2009, questa volta rispecchiando le nostre aspettative, la curva comincia a scendere nuovamente fino al 2013, dal 2014 in poi inizia a crescere. Un’altra anomalia di Belady che però qui è di facile soluzione: i miglior del mondo dal 2014 in poi hanno iniziato a disertare sistematicamente qualche evento dei magici 9 tendenza che continua ancora tutt’oggi.

Draw

E’ prassi comune inserire tutti quei tornei della categoria inferiore agli Slam nello stesso calderone, ma una differenza sostanziale con i Major è il tabellone. Gli Slam sono tutti a 128 giocatori, i Masters 1000, no. Ogni torneo della categoria nel corso di questi 27 anni ha scelto un format diverso per quanto riguarda il draw e si è andati dal 96 di Indian Wells di Miami, fino al 48 di Bercy. 96/48 = 2. In sostanza è prassi considerare sullo stesso piano un torneo con il doppio dei giocatori e con minimo 1 partita in più da vincere per aggiudicarsi la coppa. Vediamo nel dettaglio l’evoluzione del tabelloni.

 

Il torneo di Miami è stato l’unico che ha mantenuto sempre il format a 96 giocatori. Gli altri si sono mantenuti sul 64-56, tranne i tornei indoor che per ragioni logistiche hanno preferito usare un tabellone a 48 giocatori. Si noti come nel 2000 c’è un’impennata nella grandezza del draw con la maggior parte dei tornei con il format a 64 giocatori, che essendo potenza del 2 non prevedeva bye. Questo innalzamento del numero di partecipanti fu dettato dalla nuova riforma del ranking ATP quella che mise una distanza siderale tra Slam e quelli che furono ribattezzati Tennis Masters Series. Al vincitore Slam venivano dati 1000 punti a quello del Tennis Masters Series 500. Fu una svolta epocale, passata sottotraccia. Dal 2007 tutti i tornei furono downcastati per via della famosa finale di Roma 2006 tra Nadal e Federer che inficiò il successivo torneo di Amburgo. Questa storica partita si portò dietro 2 piaghe: l’abolizione del draw a 64, che passò a 56, quindi bye per le prime 8 teste di serie e l‘abolizione della finale 3 su 5, fiore all’occhiello delle ATP Masters Series.

Dopo questo excursus storico-statistico ci chiediamo: la diversa grandezza del tabellone deve essere pesata? Per ora lasciamo il dubbio perché l’indagine su questo argomento non è finita.

Finali 3 su 5

Un’altra caratteristica delle Masters Series era la finale 3 su 5. Però contrariamente a quanto si possa pensare non tutte usavano questo format. Vediamo il dettaglio.

Nel 1990 solo i tornei del Canada e Cincinnati non adattavano questo format in finale e saranno coerenti fino ad oggi. Il più labile è stato il torneo di Miami che per diversi anni ha avuto la finale 3 su 5, per poi passare alla 2 su 3 e tornare indietro. Straordinario l’intervallo 1997-2001 con 7 eventi su 9 con finale best-of-5. L’ultimo anno con questo pattern fu il 2006, l’anno della citata finale di Roma che di fatto fece estinguere la finale Slam like nei tornei di questa categoria.

Come sempre a noi interessa come pesa questa differenza di format. Dal punto di vista probabilistico i calcoli sono i seguenti: nel format attuale la difficoltà di vincere un Masters è ((1/2)^2)^5, se lo aggiustiamo al 3 su 5 abbiamo ((1/2)^2)^4*((1/2)^3). Il rapporto è 2. Molto difficile da accettare che questo format in finale possa far aumentare del doppio il valore di un Masters. I calcoli sono precisi ma non tengono conto dell’assioma di partenza di tutti i calcoli riguardanti il tennis che le difficoltà sono ripartire in maniera perfettamente equa così se la finale 3 su 5 è difficile per un tennista lo sarà senz’altro per il suo avversario. Per il momento non usiamo correttivi.

Distanza punti ATP con tornei della fascia inferiore

Come già accennato in un passo precedenti di questo articolo nel 2000 venne introdotta la proporzione 1000:500 tra i tornei Slam e quelli della categoria inferiore, questo ci suggerisce che non sempre è stato così. Andando a spulciare il sistema ranking pre-2000 vengono fuori dei dati inaspettati.

Immagine di tennis28.com

La distanza con i tornei di fascia inferiore è esigua, quasi inesistente. Non sono 10 punti a far lievitare il peso di Super 9. Questo dato ci fa riflettere e ci porta inevitabilmente ad una verità: gli ATP 500 di oggi non hanno lo stesso valore dei Championship Series, poi Series Gold senz’altro è inferiore, però qui è molto complicato trovare una giusta proporzione. La minore distanza Championship Series/Masters Series vs ATP 500/Masters 1000 piega il paradosso Sampras, vincitore di 14 Slam e solo 11 Masters. Certamente la statistica non è un deterrente. Può benissimo capitare che un giocatore vinca solo Slam e non Masters Series, ma più aumentano i goal e più è probabilisticamente difficile trovare vincitori Slam senza Masters Series. Questa differenza non può essere trascurata nella valutazione della carriera di un tennista che ha vissuto negli anni ’90 e uno che ha vissuto dal 2000 in poi.