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Australian Open 2019: Fardelli diversi

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Ormai è diventata una consuetudine perversa riservare un articolo a parte a Federer e Nadal dopo la vittoria di uno Slam da parte di Djokovic. Però sappiamo tutti come sono andati i fatti e parlare dei 3 mostri sacri di questa epoca occupa troppo spazio in un solo articolo, è necessario splittare, anche per una maggiore leggibilità. I due perdenti di lusso però escono in maniera diversa da questo Slam che ha consacrato ancora una volta Novak Djokovic. Ed è la condizione di Federer a dare maggiore preoccupazione rispetto a quello di Rafa, che esce malamente dalla finale, ma sicuramente non dal torneo Down Under.

La fortuna per Federer non era stata né benevola né malevola, una via di mezzo, come dimostrato dalle simulazioni. Il non essere collocato nella metà di Djokovic è senz’altro una fortuna per la testa di serie numero 3, però prima bisogna arrivare allo scontro, eventuale, in semifinale. Eppure, l’inizio di stagione aveva fatto ben sperare i Federer fan. Roger per la prima volta in carriera si era fatto scappare qualche parola circa la fine della sua carriera, ma erano più parole di circostanza dovute in buona parte all’età che, ahimè, non è più dalla sua parte. Però il suo splendido tennis, il suo inebriante “POF” aveva deliziato gli spettatori della Perth Arena, nell’esibizione non tanto esibizione della Hopman Cup. Belinda, la compagna, di squadra non di vita, sembrava una fan al pari dei giocatori che nel 1992 affrontarono il Dream Team a Barcellona. Non l’altra metà della compagine, ma sono l’accompagnatrice di quello che è stato da sempre la sua fan. D’altronde lei è svizzera, e non è così difficile avere Federer come idolo visto che ormai Guglielmo Tell è passato di moda da un pezzo e oggi verrebbe accusato di una decina di reati ascrivibili al codice penale. Roger si è portato a casa la coppa che a suo modo è storica. Non conta per le statistiche perché non è un evento dell’ATP Tour e non sanzionato dall’ITF, però questo è stata l’ultima edizione della Hopman Cup che quasi sicuramente lascerà il posto alla più consistente quanto invadente ATP Cup (qui altro capitolo che non ci interessa). Così come la Lazio del 1999 e la Coppa delle Coppe, Rogé sarà all’infinito il detentore della coppa dedicata al tennista australiano Harry Hopman. A Perth aveva battuto Norrie (sì, ma chi è?), Tiafoe…e ci sta, Tsitsipas, occhio! E in finale Alex Zverev. Tutto molto bello, però le fatiche di Melbourne sono di un’altra pasta rispetto a quelli del Western Australia.

Nella prima partita c’era Denis Istomin. Un tennista come un altro da affrontare nella prima partita di uno Slam. L’uzbeco non ha nulla da chiedere e la storia l’ha già fatta, proprio qui nello stato di Victoria. Quando un giorno si parlerà degli x Slam di Djokovic tutti ritorneranno con la memoria, sia cerebrale che digitale al 2017 e allo straordinario upset fatto registrare dal tennista con gli occhiali contro il grande Nole. Nole però non era Nole, e questo si sa. Però come un Vesely qualsiasi, Denis si sta estinguendo e così non può che lasciare posto ad un Federer sempre a suo agio nei campi in cemento che di cemento ormai hanno ben poco.

Al secondo turno c’è Daniel Evans. Tutto sanno chi è e cosa ha fatto. Inutile sprecare battute su quello che ha fatto, sono molto semplicistiche e banali. Lasciamo una striscia bianca da riempire con tutti i meme del caso. Forse qualcuno un po’ più attento ha un ricordo un po’ più positivo del britannico. Agli US Open 2016 riuscì ad arrivare fino a match point contro il futuro campione Stan Wawrinka. Ha anche vinto la Coppa Davis, per il resto un buco incolmabile. Federer si trova a suo agio con questi tennisti e li pettina a dovere. Però sono necessari 2 tiebreak. Conta poco, ma sarebbe meglio non lasciare niente al caso.

È Taylor Fritz il tennista che deve contrapporsi al numero 3 del mondo. Sposatosi nella culla e già padre e di conseguenza vicino alla morte come un salmone, affronta lo svizzero 20 volte campione Slam senza nessuna pretesa. Peccato perché per lui dopo Memphis 2016 c’erano grandi attese. Ha fatto registrare qualche recordino di precocità, però poi il buio assoluto se non qualche accostamento bloggistico a Pete Sampras, tanto per aizzare qualche discussione inutile. Spazzato via in 3 facili set lo statunitense va a casa con la consapevolezza che forse non diventerà mai un grande. Però, chi lo sa.

È in una domenica fredda italiana, calda australiana che si consuma il misfatto. Già battuto a Perth il suo virgulto delle Next Gen, l’ellenico Stefanos Tsitsipas si presenta al quarto turno come testa di serie numero 14, e questo nessuno glielo può negare, però senza nessuna pretesa. Ha vinto a Stoccolma e per ora basta e avanza per avere solo 20 anni. Eppure, si ritaglia di diritto un posto nella storia. Già, il diritto, quello che è mancato a Federer che gioca una partita terribile. Sono 38 gli unforced con il colpo che gli ha fruttato qualcosina in carriera. Il greco dall’altra parte della rete fa la sua parte, per carità, ma è un Federer completamente spento quello che gioca forse l’ultima partita sulla Rod Laver Arena. È un match triste, il vecchio leone non riesce più a dare la zampata e l’avversario dall’altra parte della rete deve solo allestire una timida difesa per avere la meglio. Roger sente tutti i suoi anni, e se da una parte la tecnica non morirà mai, dall’altra è il fisico a non rispondere più ai comandi. Zizzi batte Federer in 4 set e non mancano i paragoni con la storica partita di Wimbledon 2001 tra un giovanissimo Roger e il mitico Pete Sampras, detentore di 7 Wimbledon di cui 4 di fila. Allora fu un match di altro livello. Però questo forse sarà ricordato per lo stesso motivo, sperando che Tsitsi possa arrivare almeno a metà dei successi raggiunti da Federer.

Però quello che fa maggiormente preoccupare solo le dichiarazioni post partita del numero 3 del mondo. Negli anni passati aveva cassato di brutto la terra battuta per tanti motivi, uno dei tanti era perché non si sentiva in grado di vincere, un altro era perché troppo vicina alla stagione sull’erba, superficie su cui si sente più sicuro. Invece quest’anno c’è stata una preoccupante inversione di rotta. Apertura al clay, sicuramente al Roland Garros. È un brutto segnale perché significa che così non potrà fare il filotto Stoccarda, Halle, Wimbledon, a meno che voglia disintegrarsi. A Parigi Federer non va per fare una passeggiata e il quasi sicuro accesso alla fase finale del torneo, così come la quasi non sicura conquista del titolo si potrebbe rivelare un’arma a doppio taglio in vista di Wimbledon. L’unica giustificazione a tutto questo è che sia veramente questa la sua ultima stagione giocata seriamente e che debba così salutare tutti i suoi fan anche in quei tornei in cui ha trionfato poco ma che sono importanti e soprattutto non hanno mancato mai di dargli il loro sostegno. Parigi è sempre stata federiana anche se lui ha vinto una volta sola. I senza bidet hanno sempre tifato contro Nadal per vedere trionfare Roger, raggiungendo la loro apoteosi nella sfida con Soderling del 2009. Avranno modo di abbracciare il loro idolo quest’anno, anche se con un po’ di tristezza.

Nadal

L’altra faccia della medaglia come quella di Harvey Dent è una bella faccia, ma non troppo. Dato per scomparso dopo il ritiro per infortunio nella semifinale degli US Open c’erano parecchi dubbi circa la condizione di Rafa. La sua preparazione di inizio stagione era tutta concentrata sullo Slam australiano, ma dagli altri tornei non arrivavano notizie incoraggianti. Nell’esibizione di Abu Dhabi aveva perso malamente contro Kevin Anderson e aveva rinunciato alla finale di consolazione per il 5°-6° posto. Pullando Brisbane aveva fatto scattare l’allarme rosso. Va bene che questo 250 non conta, però è sempre meglio giocare qualche partita seria prima di andare a Melbourne. No, non c’è stato verso. Rafa va a Sydney e le prende anche da Nick Kyrgios nel Fast 4, che poco ha a che fare con il vero tennis, però Nadal non è un tipo che perde per piacere neanche quando sfida i suoi amici a chi pesca lo squalo più grosso. Anche l’anno scorso non aveva giocato tornei ufficiali prima degli Australian Open, e poi era arrivato nei quarti, per cui è sempre meglio aspettarsi di tutto dal 17 volte campione Slam.

Baciato dalla fortuna con un sorteggio alquanto benevolo (secondo la simulazione) ha stupito il mondo intero ancora una volta. Si parlava di sorteggio fortunato, ed ecco Duckworth al primo turno. La wildcard australiana è il tennista ideale per approcciare uno Slam. Viene battuto in 3 set, però James si permette di togliergli per ben 2 volte il servizio. Come si permette?! È normale per Nadal, non sarà normale alla luce delle altre partite.

Ebden fa peggio del connazionale nel secondo turno. Sostanzialmente non vede la palla e fa appena 7 game in una sfida senza storia.

Di bel altro spessore è l’avversario del terzo turno. Alex De Minaur (e qui parte sempre la lotteria su come si pronuncia il suo cognome). Finalista l’anno scorso a Sydney, quest’anno è riuscito a vincere il torneo del Nuovo Galles del Sud facendo ben sperare i suoi connazionali che sono sempre molto patriottici e scaldano la Rod Laver Arena già calda per il clima. Alex, detto Carletto, vede i suoi mostri materializzarsi su un’arena gremita che fa il tifo per lui. Il cappellino serve a poco, forse per evitare gli escrementi dei gabbiani, però non ci sono rimedi contro i topponi iberici che lo sovrastano. Lui urla come un forsennato quando fa un punto, ma è solo un punto, quello dell’altra parte della rete domina e lascia al ragazzino appena 3 game nei primi 2 set. Rafa poi si rilassa nel terzo set prendendo solo il break che gli serve in apertura. Poi giù in discesa in surplace.

Sono 3 gli australiani messi in riga. L’ultimo a riuscirci era stato Mark Edmondson nel 1981. Nel quarto turno c’è Tomas Berdych. Tommasino si era permesso di maltrattare Rafa nel 2015 proprio qui a Melbourne infiggendogli anche un bagel. Quello era un pessimo Nadal, che aveva sudato con Giacomo Smyczek Poretti. Il ceco è dato dai bookmaker come un possibile outsider del torneo. Queste false illazioni vengono spazzate via da un Nadal straripante che restituisce lo sfregio del bagel lasciando un solo game nei primi 2 set al Satorovo. Prima del consueto relax nel terzo set vinto al tiebreak. Rafa passa, Federer no. Apriti cielo!

Nei quarti di finale c’è Tiafoe. Miracolato nella sfida con Seppi, era riuscito ad ottenere una grande vittoria contro Dimitrov, ormai scomparso dai radar del tennis che conta e non più nell’elité dei grandi che sono stati o in quelli che potranno essere. Frances Il Nero porta avanti la solita stancante storia di redenzione delle persone di colore emarginate dalla società che non avrebbero dovuto essere e invece sono diventate quelle che sono. Che bello! Uhhhh! Diciamo che la civiltà occidentale si è evoluta e le scimmie senza anima del 1500 sono diventate parte integrante della nostra società e, per ben 8 anni l’uomo più potente del mondo è stato un loro discendente. Più in alto di così non si può andare. Quindi, meglio livellare tutto e andare avanti. Chiusa questa parentesi razzista, non ci rimane che parlare della partita che di fatto non esiste, ecco il perché di questa lunga parentesi. Il neo-serve di Nadal annienta l’americano ed ecco servita la semifinale contro il giustiziere di Federer.

Le speranze su Tsitsipas sono tante, aver fatto fuori il Tennis è sempre un buon biglietto da visita, però questa volta il greco è costretto a mangiare sale e parecchio. Anche questa partita non esiste. Nadal lo bombarda e lo disintegra. La partita è un crescendo iberico che si sublima nel bagel finale. Non è normale per un terraiolo dare un bagel in semifinale sul cemento. Però Nadal ha sorpreso talmente tanto che ormai non ci sorprende più di quello che fa.

La storia della finale l’abbiamo raccontata. Nadal fa ben sperare per il prosieguo della stagione che ora vivrà un periodo di stanca. Dovrebbe andare ad Acapulco. Però non è facile immaginare un suo forfait. L’importante è andare a Indian Wells e Miami. Però è la terra battuta la sua fortezza. Quest’anno deve difendersi dal drago cattivo serbo e non servirà a niente alzare il ponte levatoio. Djokovic sa volare ed è pronto a sputare fuoco per andare a prendere il castello di Parigi, uno dei 4 assi che servono per diventare il più grande.

Australian Open 2019: Settebello. Djokovic domina e conquista il 15° Slam

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Stesa. Djokovic domina una finale senza storia contro Nadal e vince il suo 7° Australian Open e 15° titolo del Grande Slam.

La partita

C’era grande attesa sulla finale degli Australian Open. Il classico 1 vs 2 aveva alle spalle dei bei precedenti per far ben sperare in un match epico. Come non ricordare la mitologica finale del 2012, durata quasi 6 ore, una partita talmente brutta e noiosa che il giornalista newyorkese Steve Flink l’ha usata, a caso, come copertina del libro The Greatest Tennis Matches of All Time. A conti fatti la rivalità tra Nadal e Djokovic è la più prolifica dell’era Open in termini di partite giocate, anche se non ha creato quello scisma religioso e bellico del Fedal. Djokovic è arrivato in finale da favorito, Nadal è arrivato a sorpresa all’atto finale dello Slam aussie stupendo tutti disputando un torneo straordinario, asfaltando tutti i suoi avversari. Tutte le attese però sono state smentite clamorosamente.

È Djokovic a vincere il sorteggio e sceglie di servire. Fin dalle prime battute si capisce che NOLE è di un’altra dimensione. Non appena si entra nello scambio non ce n’è per nessuno, e Nadal arranca clamorosamente. Siamo solo nel primo game. Aspettiamo. È il secondo game che dice tutto su quella che sarà una NON partita. Nadal usa il suo neo-serve, ma qui non serve a nulla. Djokovic è padrone del campo e non deve neanche strafare per portare a casa il punto. Le geometrie del servizio manacoregno vengono disinnescate come The Hurt Locker. Risultato: Nadal non ne ha. Il break a 15 arrivato nel 2° game chiude di fatto la tenzone. Djokovic è troppo sicuro di sé, vuole andarsi a prendere il suo Slam e, perché no? il record di Slam, già che ci siamo. L’occhio concentrato e attento di chi ha un solo obiettivo, quest’oggi è spalancato come un cocainomane in certa di una dose. La dose arriva subito, e Rafa regala come non aveva mai fatto in tutto il torneo. Che Djokovic avrebbe vinto si sapeva, ma ci sono 5-6 non forzati non da Nadal che spara il suo dritto in corridoio come un Thiem qualsiasi. Anche se nel primo set c’è un solo break, il divario nella sostanza è molto più ampio. Basti pensare che il primo punto spagnolo sul servizio avversario arriva sul 5-3. Dominio assoluto. Sono passati 36 minuti e il numero 2 del mondo è sotto un treno.

Qualcuno aspetta il calo di Djokovic, che in passato gli è costato caro, però la manetta è a fondo scala e si superano i 2-3 Mach (non c’era John). Facile registrare il break Nole sul 2 pari con Rafa ancora inerme anche con il suo dritto che tanto male ha fatto ai suoi avversari. Nole riesce a girare lo scambio con il suo rovescio sopraffino, che non è un rovescio, ma un secondo dritto (come si diceva di qualcuno). Questa significa che dopo il 3° scambio Nadal è costretto o a usare un rovescio di fortuna o a girare sulla palla per colpire di dritto. Non è il Nadal del 2005, manco quello del 2008, non ha la forza nelle gambe per correre quei (tanti) metri in più per fare girare il punto. Arriva un secondo break serbo, sempre a 15. Oggi non c’è partita. Dopo altri 40 minuti e siamo 2 set a 0. C’è un solo uomo in campo. 30-15. No, non sono i punti del game, come un brillante francese (?) ebbe l’accortezza di chiamare i punti di un game rifacendosi (forse?) all’orologio. Sono i punti vinti da Nole vs quelli vinti da Nadal. Imbarazzo.

Il terzo set è una formalità. L’unica incognita potrebbe essere un tiebreak strappato con le unghie e vinto di rapina, come quello della finale degli US Open 2011. No, non è giornata. Nole mette subito tutto in chiaro breakkando nel 3° gioco. La partita è finita. I tweet sono pronti (quelli di Nadal salvati per ricordo). C’è solo un piccolo sprazzo per scarabocchiare uno dei tanti record che possono nascere quest’oggi, ossia una finale Slam senza palle break. Così come successo (dal 1991 in poi) a Federer contro Philippoussis a Wimbledon nel 2003, a Sampras contro Becker ai Championships nel 1995 (qui Pete perse un set) e allo stesso Nadal nella finale di New York del 2017 contro Anderson. L’utopia di vedere mezzo set combattuto si infrange sulla rete così come il rovescio di Rafa. Per le statistiche il match si conclude nel 9° gioco del 3° set, sul servizio Nadal, ergo con tanto di break in chiusura. Djokovic non esulta più di tanto, si limita ad alzare le braccia al cielo. Nel 2012 prima si era buttato a terra, poi si era strappato la maglietta urlando come King Kong sull’Empire State Building nella partita più noiosa e inutile di sempre.

Il torneo

Doveva essere il suo torneo e lo è stato. Il sorteggio non era stato benevolo per Djokovic, come mostrato nelle simulazioni. Però queste simulazioni hanno il difetto intrinseco di pesare il tabellone sostituendo ad ogni giocatore quello con la forza media. In quelle in cui si pesa la potenza di NOLE era dato ampiamente favorito, anche se lo scarso lucky index aveva fatto alzare di un millimetro le sue quote. Osservando bene il draw di Novak ci si rende conto subito che le insidie sono arrivare fin da subito. Il primo turno è una formalità, non si sa chi sia questo Mitchell Krueger. Dicono sia un americano, ma chi lo sa. L’unica cosa certa è che le battute su Nightmare si sprecano. Una volta era figo sapere il nome del protagonista di questo horror cult, oggi no. Va bene la netta superiorità però trovare uno Tsonga al secondo turno non è certo da fortunati. Questa sfida è stata la finale del 2008. Nel frattempo, Nole ha vinto un pochettino, mentre Jo non è mai esploso come ci si aspettava dopo questo exploit australiano ormai lontano 11 anni. È nel terzo turno che Djokovic comincia a scricchiolare. Che non sia il Djokovic dominante degli anni passati si sa. Però non è da dimenticare il suo migliore anno, in termini di risultati, il 2015. Anche allora non brillava particolarmente, ma nonostante questo riuscì a mettere a segno la seconda stagione dell’era Open dopo il 1969 di Laver. Quello bello bello era il Nole del 2011. Devastante e vincente, con grandi avversari. Il Nole di questo ultimo periodo domina, almeno negli Slam, ma non dà l’impressione di schiacciasassi, almeno non lo fa con tutti. Non si sa se sia una tattica, oppure è proprio la tanca della benzina che si è ristretta per evidenti motivi anagrafici. Spetta ad un inconsapevole Shapovalov strappargli il primo set del torneo. Un 3° set regalato, subito però tappato con un bel bagelozzo con tanti saluti alla Next Gen. Difficile da dire allora, facile da dire ora. Il giocatore che lo ha fatto penare maggiormente è stato il russo Medvedev, colpevole di avergli strappato un set. Il 2° del torneo, e di essersela giocata anche nel 3° quando era avanti di un break. Tolta la polvere degli stivali, con tanto di scroscio degli speroni, Nole ha iniziato a cavalcare il dorso del suo rovescio letale disintegrando il malcapitato Daniil. Ci ha provato la testa di serie numero 15, però ancora ne deve mangiare pane prima di arrivare al livello dei più grandi del circuito, soprattutto nel 3 su 5, che rimane ancora una volta appannaggio dei vecchi. Ancora una volta, con tanti saluti alla Next Gen.

L’avversario per i quarti di finale è Kei Nishikori, e ancora una volta la domanda, senza risposta, è sempre la stessa: come ha fatto Sushi a battere Nole agli US Open del 2014? L’interrogativo rimane sempre inevaso anche se qualcuno prova ad abbozzare una timida soluzione, non si sa come, non si sa perché…forse è stato il caldo? A domanda si risponde con domanda. Non il massimo del ragionamento logico-deduttivo. Nishi si rompe. Sembra assurdo, ma è così. Il tennista nipponico di titanio platinato immerso nel nichel si rompe ancora una volta dopo che le stava prendendo dal suo avversario. Non si può far altro che conteggiare l’ennesimo ritiro per il giapponese che vuole andare a prende Tipsarevic in questa particolare classifica. Non si può chiedere di più all’ex numero 4 del mondo, idolo nel suo Paese, per lo più ignari dell’esistenza Jiro Sato, mitologico tennista giapponese davanti a Nishi nell’ipotetica classifica dei migliori di sempre, ma quasi mai citato, se non per sua tragica fine in perfetto stile nipponico. In semifinale c’è un incredulo Lucas Pouille, che ha fatto fuori gente abietta nei primi 3 turni, per poi avere la meglio su uno dei virgulti della Next Gen, Borna Coric, facendo poi fuori Milos Raonic ai quarti di finale, anche lui ignaro di come sia arrivato a questo punto. Chi vince lo sanno anche i sassi, le mascotte, i ball boys e i gabbiani che scacazzano il Melboune Park, però il bello di questo giuoco è capire come si sviluppa la sceneggiatura. Il canovaccio recita una sola parola: piallata. Il francese non esiste per tutto il match. Il 6-0 del primo set è generoso nei confronti del transalpino che non ha un’arma, che sia una per impensierire il suo avversario. Il triplo bagel alla Lendl contro Moir agli US Open del 1987 non arriva perché Nole, oltre a essere imperioso, sa essere generoso. Si registrano solo altri 4 game per lo sfidante, e questo fa entrare la sfida nelle semifinali più dominate di sempre negli Slam. Si temeva che Nole avesse aperto il gas troppo presto, però è meglio aprirlo in anticipo che in ritardo. La stessa veemenza, la stessa determinazione si è vista contro Nadal in finale. Nelle 2 ultime partite il numero 1 del mondo ha perso 12 game. Dominio.

Record

  • Djokovic vince il 15° Slam (3° all time dietro a Federer, Nadal, superato Sampras)
  • 7° titolo agli Australian Open (1° all time)
  • 265 vittorie per Djokovic negli Slam (2° all time dietro a Federer)
  • 68 vittorie per Djokovic agli Australian Open (2° all time)
  • 24a finale Slam (3° dietro Federer e Nadal)
  • 1° giocatore a vincere 3 Slam consecutivamente: 2011-2012, 2015-2016 e 2018-2019 (ne ha vinti anche 4 consecutivamente)

Conclusione

Il 2018 si era chiuso con un quesito. Riuscirà Nole a prolungare il suo dominio? La risposta è arrivata pronta e decisa. Nole si prende quello che è suo e che per un momento della recente carriera sembrava essere finito. Dopo la sconfitta l’anno scorso contro Chung (Chung??!??!) sembrava seriamente finita. Un giocatore allo sbando dopo che aveva fatto tremare tutti, anche gli inquilini dell’ultimo piano, dell’attico e del super-attico. Il Roofgate ha fatto girare la storia del tennis come poche partite hanno fatto. Il Djokovic finito è ritornato di prepotenza puntando a quello che più di ogni altro ti fa diventare grande: gli Slam. Sono giustificate le sconfitte a Toronto prima e Bercy e Finals poi. Però, piccolo particolare, non erano Slam. L’unico non Slam che doveva vincere è stato Cincinnati e così è stato. Un Nole chirurgico viaggia a vele spiegate verso quei record che dopo il Roland Garros 2016 sembravano alla sua portata e che dopo la sconfitta contro Cecchinato sembravano ormai dimenticati. Si punta in alto, però il tempo passa ed è già passato. Federer ha fatto cassa nella sua lunghissima carriera già da quando era giovane, anche se non giovanissimo. Gli Slam 2004-2007, ben 11, hanno scavato un solco incolmabile per chi inizia a vincere relativamente tardi. Anche se il primo Slam di Nole è del 2008, 20 anni, è dal 2011, ossia dai 23-24 anni in poi che il serbo ha iniziato a fare cassa più e più volte. Il – 5 sembra ad oggi lontano, ma non lo è più di tanto, visto che nessuno sembra arrivare dalle retrovie.

È stato sempre il Roland Garros lo Slam che ha creato sbilanciamenti nei record. La presenza e dominio di Nadal hanno negato a quello che per Federer dopo lo splendido 2004 sembrava scontato: il Grande Slam. Il massimo alloro del tennis torna ancora in gioco e sembra il numero 1 serbo il maggiore indiziato a succedere a Laver, incolpevole di essere sempre citato in questi casi e che mai avrebbe immaginato che a distanza di 50 anni il suo achievement (più che record) sarebbe rimasto lì. Nadal dovrà difendere con le unghie e con i denti il suo fortino parigino. Nole è intenzionato a completare per la 2a volta il giro degli Slam, che vale poco. Chiamatelo Nole Slam, Ciccio Slam. Però il Grande Slam è uno solo. Djokovic ha già battuto Rafa a Parigi, e la batosta australiana fa vacillare l’unica certezza della carriera del 17 volte campione Slam. Nel 2016 non fu la capitale francese a fermare la corsa di Nole, ma fu una stranissima partita in pieno clima cangiante londinese a frenare i suoi sogni, o forse i sogni dei suoi tifosi. Il suo era vincere il Roland Garros, e portata a casa la Coppa dei Moschettieri, non c’era più motivo di essere tirati al massimo e prolungare una concentrazione che procura tensione e quindi dolore oltre ogni limite che l’umano possa sopportare. Budge vinse 6 Slam consecutivamente tra il 1937 e il 1938, ma lui giocava con la consapevolezza di essere di gran lunga il migliore dei dilettanti e dominava senza pressioni. Djokovic dovrebbe ricalcare l’impresa di Donald, però questa volta ci sarà un macigno sulla propria spalla. Immaginatevi uno US Open con 3/4 di Slam in saccoccia. Il record della stessa domanda ripetuta più volte verrebbe superato e si finirebbe per avere un effetto Vinci bis, questa volta molto più deleterio del 2015.

Però se non arriva IL Record, arrivano altri record. Superato Sampras, ormai dietro ai mostri sacri di questa epoca, si punta anche al record di settimane al numero 1 che al momento sono 236 e che un altro annetto potrebbero arrivare a 280-290. L’Australian Open vinto quest’anno dà qualche garanzia solo per le prossime 52 settimane. Andare oltre è quasi impossibile e sarebbe come prevedere se pioverà o meno tra 50 giorni. Solo supposizioni. 310 non è così lontano, ma il tempo non può essere accelerato. La (quasi) certezza della permanenza sul trono arriva da un Next Gen che non esplode e su cui è inutile dire 2 parole. È lecito lasciare una riga bianca e scrivere quello che pare al lettore. È tutto sprecato. Nadal non ha più le gambe e soprattutto i tornei per mettere in cassa i punti per tornare numero 1 del mondo. Federer è all’ultimo giro di giostra e i suoi obiettivi sono mirati e non così globali come la collezioni di punti ATP per arrivare in cima. Nole sarà ancora numero 1 a lungo ed è una bella storia da raccontare. Perché lui è andato in alto, poi è caduto e si è rialzato. Non è stato sempre in alto. È diventato così ispirazione per tanti e anche lui, molto più saggio e oculato del passato, non manca di rimarcare come tutto quello che sta vincendo sia una “benedizione” e non qualcosa che doveva arrivare necessariamente perché “io sono il più forte”.

Per il momento il grande tennis si ferma. Tra venerdì e sabato (manco la domenica, maledetti!) ci saranno le qualificazioni per quell’obbrobrio della Pique Cup che si giocherà in 2 giorni con in 2 su 3. Si guarda questo evento perché non c’è niente da guardare. Nessuno si è accorto che nella settimana dopo gli US Open non ci saranno tornei! Come?!?!? No, settimana vuota in mezzo alla stagione. Mah. Non rimane altro che allestire un boicottaggio che potrà essere violento o sarcastico o entrambe le cose. Uniti.

Australian Open 2019: Day 14. Finale maschile. Djokovic-Nadal, te l’avevo tetto!

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Come battere il Pallettaro 2.0

Ecco il riassunto del Meeting di ieri sera del Clan Nadaliano in esclusiva per TML. Si è studiata la strategia migliore possibile, ora sta al Campeón metterla in atto.

  • Al servizio

– Inutile abbassare la velocità per prediligere la percentuale di prime, bisogna servire con la cazzimma, sorprendendo il Pallettaro con prime palle attorno ai 205-207 km/h
– Importante variare moltissimo, non dare punti di riferimento. Dal deuce si può anche andare sul suo dritto senza paura, dall’ad court prediligere lo slice ma senza esagerare.
Sulla seconda andare prevalentemente al corpo per non dare angolo al subdolo, a volte si può rischiare la seconda pesantina sul 30-0 o 40-15.
Cercare tantissimo gli 1-2 servizio dritto, tenere gli scambi brevi, essere aggressivi a costo di sbagliare. Bisogna tenerlo con la testa sott’acqua, game non lunghi.

  • In risposta

– Sappiamo bene che il xxxxx serve da dio, quindi che facciamo? Ci piazziamo 6 metri fuori dal campo e rispondiamo a tutto, più free points gli togliamo più lo sfianchiamo mentalmente
– In risposta si può accettare lo scambio prolungato, a patto di essere sempre quelli più offensivi dell’avversario, variando, facendolo impazzire.
– In caso di difficoltà si può usare la risposta tagliata senza paura, magari chiamandolo anche a rete come ci ha insegnato il grande Stan The Man, l’importante è entrare nello scambio il più possibile

  • Nello scambio

– Bisogna interpretare la partita come a Wimbledon. Mai due rovesci in topspin consecutivi, offriamogli spesso lo slice e alla prima occasione in cui accorcia, PAM! dritto lungolinea e tanti saluti.

 

– Metterla sul puro piano di tecnica e di tocco. Nadal è avanti anni luce in questo compartimento dunque chiamiamolo a rete, facciamogli giocare volèe, smorzate e tutto quello che vuole per sentirsi figo. Bisogna usare lo slice bastardo per invogliarlo e poi PAM! lo si passa easy dato che parliamo del miglior passatore di sempre.

– Se si tratta di un punto vitale, va bene anche difendersi in modalità Nadal 2005, quando la palla scotta tutti sbagliano.

Cose assolutamente da evitare

  1. Andare a rete a cazzo con un approccio ridicolo su una PB del quinto set. Se si vuole andare a rete si può, ma solo dopo un drittone della xxxxxx.
  2.  Andare un break avanti nel quinto. Possibilmente servire per primi e brekkare sul 5-4 e 6-5, altrimenti vincerla in modo stoico al supertiebreak. Ripeto, NO break al quinto.
  3. Spingere come un pazzo da fondo. Non ha senso, perché prima o poi anche Nadal sbaglia. Appena si sente che quel dritto è quello buono ed il serbazzo scivolerà come solo lui sa fare, correre come dei pazzi in avanti per chiudere una facile stop volley.
  4. Non voglio vedere queste stronzate.

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Australian Open 2019: Day 13. Finale femminile. Kvitova-Osaka, chi vuol essere numero 1?

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Australian Open 2019: Day 12. Semifinali. Formalità Pouille per Djokovic

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Australian Open 2019: Day 11. Semifinali. Nadal-Tsitsipas tra passato, presente e futuro

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Australian Open 2019: Day 10. Quarti di finale, Djokovic è ancora a caccia

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Australian Open 2019: Day 9, Quarti di finale. Nadal e un insolito trio

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Australian Open 2019: Day 8, Manic Monday

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Australian Open 2019: Day 7. Sunday Bloody Sunday

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