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The GOAT Theory: Il ranking

Se le proporzioni all’interno della stessa categoria di appartenenza avevano creato dei problemi, le proporzioni delle proporzioni amplificano a dismisura la ricerca di un compromesso già di per sé quasi impossibile da trovare. Grosso modo all’interno dei tornei si è visto come le proporzioni Slam/Masters 1000/ATP 500/ATP 250 possono essere soddisfatte con i seguenti coefficienti: 3.56, 4, 2. Trovare dei coefficienti adatti per comparare i tornei al ranking è impresa ardua, ammesso che si voglia usare una proporzione lineare. L’idea di base è sempre quella: trovare un numero, un solo numero, ma qui come dobbiamo muoverci? Non rispondiamo subito perché prima dobbiamo capire quali sono i problemi che stanno alla base del sistema ranking.

Tutti sanno che il ranking ATP è nato il 23 agosto 1973 e che il primo numero 1 è stato Ilie Nastase. Facile. Però bisogna fare una digressione storica per capire “quanto contava“. Nel 1973 l’ATP aveva un ruolo marginale nell’organizzazione dei tornei e non era così influente come oggi tanto da essere organizzatrice e promotrice di tutti i tornei tranne quelli dello Slam dove si affida alla collaborazione dell’ITF. L’ATP nei primi anni ’70, come ci suggerisce il nome stesso, è un‘associazione dei giocatori, una sorta di sindacato dei tennisti che serviva a preservarne e riconoscerne i diritti, tutto quello che veniva dopo era un plus, sempre ben accetto, ma sempre di qualcosa in più di trattava. Non per allungare tanto la digressione che sarebbe veramente lunga, ma nel 1973 pochi consideravano attendibile questo ranking creato ad hoc e dal computer (espressione alquanto antiquata ma usata molto spesso). I tornei non si affidavano in maniera pedissequa alle graduatorie pubblicate dall’associazione dei giocatori che non era nemmeno settimanale come lo è oggi. Tutto questo ci fa capire come usare il ranking ATP per definire le posizioni dei giocatori week-by-week negli anni ’70 risulti fallace a priori. Non è un caso che TennisBase adotti un ranking ad hoc che rispecchia quello attuale. Ed è qui che nasce un altro punto controverso. Le differenze tra ranking e ranking.

Il ranking ATP nel corso della storia ha subito talmente tante modifiche che si fa fatica a stare dietro a tutte. Dopo il primo ranking del 1973 già nel 1974 c’era un altro sistema, così come sarebbe accaduto negli anni a seguire fino al 1977. Come riportato in questo articolo si può capire bene che tutto era molto ma molto più ingarbugliato di oggi tanto che neanche i tennisti sapessero per certo in che posizione si trovassero specialmente per quelli delle retrovie. La situazione si complica ulteriormente dal 1978 in poi con l’abolizione delle categorie aprioristiche e l’introduzione delle categorie per montepremi. Si possono contare decine di categorie e le differenze tra quelle contigue erano minime (seguiranno articoli a riguardo). Inoltre negli anni ’80 si dava maggior peso alle vittorie contro i tennisti posizionati in alto nella graduatoria dell’ATP, un bonus aggiuntivo che oggi è estinto che complicava non di poco i calcoli. Finalmente nel 1990 con la definita scomparsa del WCT e della trasformazione del Grand Prix in ATP Tour (nome non dato a caso) si fece ordine in un sistema che neanche gli addetti ai lavori riuscivano a capire. L’introduzione delle 4 categorie fu essenziale così come l’abolizione della media come sistema per calcolare i punti ATP sostituito dal taglio ai migliori 14 tornei. Una grande rivoluzione che nel 1990 entrò nel mondo del tennis in sordina ma che pose le basi del sistema attuale di distribuzione dei tornei e di tutto quello che ne consegue.

Perché tutta questa digressione? Ebbene sì, la situazione non è così facile da districare e capire come si è arrivati ad un certo punto può essere importante per capire come è fatto questo punto. La storia del ranking ATP ci insegna che non può esistere un sistema univoco per definire chi è il più forte del mondo e chi gli sta dietro, è solo una convenzione, un modo come un altro che si basa su concetti semplici e condivisi ma che per tanti e tanti casi non trova consenso unanime. Questo succede nei casi limite in cui 2 tennisti si trovano appaiati in classifica e non è così semplice dirimere la questione mettendo a confronto la somma dei punti. Questo metodo ormai è prassi nel mondo dell’ATP e riconosciuto dai più, ma trova sempre modo di fare polemica. Ci sono tanti e tanti esempi di numeri 1 borderline che lo sono stati per una settimana solo per una serie di coincidenze, ma il concetto essenziale, assiomatico è che se la classifica dà questo responso bisogna saperlo accettare. Su questo non si transige. Verità sacrosanta, che funziona però per il ranking ufficiale; e se noi volessimo estendere il concetto al pre-1973 e usare un ranking ad hoc la non ufficialità come verrebbe presa dagli addetti ai lavori? Senz’altro non di buon occhio se non  cassata a priori. Ecco perché qui bisogna andarci cauti. Il problema non si risolve facilmente con l’imposizione del sistema attuale, ossia post 2008, agli anni passati perché questa imposizione ha implicitamente un bug esistenziale: in passato non si usava il sistema attuale di conseguenza i giocatori si regolavano in base a quel sistema e non quello attuale, così come succede ora. Sarebbe come avere Principio di indeterminazione di Heisenberg applicato al tennis. La presenza di un osservatore, in questo caso il ranking ATP, modifica il fenomeno osservato, in questo caso i tornei ATP. Ne è un caso lampante Andy Murray e il finale di stagione del 2016. La possibilità di arrivare al numero 1 del mondo lo ha spinto a giocare (e poi vincere, ma questo è collaterale) il torneo di Vienna che in altre circostanze avrebbe senz’altro disertato. Questo non può essere adottato retroattivamente. I giocatori del passato non possono modificare lo schedule del passato per magari avere una posizione migliore nel ranking ATP. Particolare non da trascurare. Per cui da qui nasce il bivio: è corretto usare il sistema ATP tanto bistrattato e non riconosciuto ma comunque ufficiale o uno ad hoc senz’altro più preciso ma senza nessuna aura di ufficialità? Quesito molto complesso.

Posizione vs punti

Un aspetto molto trascurato nello studio del ranking e il dualismo posizione-punti. Tutti si ricordano la posizione che ha un determinato tennista, ma pochi, se non nessuno, sa con quanti punti c’è arrivato. Il sistema posizionale può essere assimilato ad un sistema quantizzato, ossia dove tra un livello e un altro non c’è nessun valore, così come avviene nei livelli di energia degli elettroni in un atomo. Tradotto in parole povere significa che tra numero 1 e numero 2 non può esserci nessun giocatore anche se la distanza in termini di punti risulta siderale come per esempio quella tra Djokovic e Murray dopo il Roland Garros 2016. Queste discontinuità di prima specie, quindi discrete, possono trovare un inquadramento in un sistema continuo usando come punto di riferimento non più la posizione, ma i punti per raggiungere quella posizione. Anche i punti si trovano su un sistema discreto: non esistono numeri frazionari nel sistema di punteggio ATP ma la differenza unitaria, che quindi usa dei numeri naturali per quantificare la forza di un tennista, ci permette di trascurare questo particolare facendoci pensare ad un sistema continuo. Avere 10.000 punti o 10.001 punti cambia pochissimo nell’ottica di valutazione generale delle 52 settimane di un tennista e nessuno si scandalizza se non esiste un modo per assegnare 10.000,5 punti.

Dove vuole arrivare queste digressione fisico-matematica? Ad una semplice verità: non si può considerare solamente la posizione di un tennista, ma sarebbe importante pesarla in base ai punti ATP. Un numero 1 del mondo in ottica GOAT Theory con 16950 punti deve valere di più di uno con 7645 anche se in quella precisa settimana si trovano sul tetto del mondo. Ci sono tanti casi in cui il punteggio di un giocatore che non è numero 1 del mondo in una determinata settimana lo porterebbe sul tetto del mondo in altre settimane. Esaminando i dati dal 1° gennaio 2009 ad oggi risulta che il minimo storico per il numero 1 del mondo sia Nadal nella settimana del 14 agosto 2017 con 7645 punti. Ci sono delle settimane in cui anche il numero 4 addirittura ha un punteggio superiore a questo. Come lo stesso Nadal dal 1° all’8 febbraio 2010 con 7670 punti. O Murray dal 2 aprile al 30 aprile 2012 che oscilla tra i 7860 e 8200.

Tutto questo ci fa capire che sarebbe d’uopo pesare le varie posizioni del ranking e in sostanza valutare come si è arrivati a quel risultato. Però è altrettanto vera la teoria che vuole che la posizione in classifica abbia quel peso a prescindere dai punti che la contraddistinguono. Qui si crea il solito dualismo rankings-standings che nel tennis risulta marginal,e ma che in altri ambiti è di fondamentale importanza. L’esempio più calzante in questo senso è il sistema che viene adottato nella NCAA e il campionato collegiale di football americano.

Rankings vs Standings

Le squadre che fanno parte della “Serie A” del college football americano, chiamata FBS, sono tantissime, circa una 60ina. Essendo le giornate a disposizione circa 13 durante l’anno risulta impossibile impiantare un sistema a round robin anche con partite di sola andata. Per ovviare a questo problema intrinseco sono state creare delle conference all’interno delle quali sono stati inserite quelle squadre che appartengono ad una certa regione degli Stati Uniti in modo tale da evitare trasferte esose a giocatori che sono dichiaratamente non professionisti. Le vittorie delle partite danno un punto ciascuno per le stilare la standings di quella determinata conference che alla fine della stagione premia le 2 migliori squadre che si contendono il titolo della conference con una partita secca (tranne qualcuna come la Big 12). Ma l’obiettivo non è vincere la propria conference, l’obiettivo è quello di vincere il titolo nazionale, allora come si fa a classificare una squadra non nell’ambito del “girone” in cui gioca ma a livello nazionale, quindi tout court? Bene, ogni settimana viene stilato un ranking ad hoc dagli esperti del settore che danno un determinato peso alle vittorie delle squadre in base a dove e con quanti punti è venuta questa vittoria, pesando altresì anche le sconfitte. E’ un metodo un po’ arcaico, ma necessario per avere una graduatoria che dopo 12 giornate premia le prime 4 del ranking e non quella standings che a inizio gennaio si andranno a giocare il titolo nazionale.

Anche nessuno, se non pochissimi, hanno una infarinatura di questo meccanismo è facile capire che il ranking settimanale della NCAA è fondamentale e determina le sorti della stagione delle squadre per l’assegnazione del titolo che più conta, quello del BCS National Championship. Lo stesso non si può certo dire del ranking ATP. Il ranking ATP serve solo a compilare i tabelloni, le posizioni in cui ci si trova sono marginali rispetto a quello che conta ossia le vittorie dei tornei. Essere al numero 1 o entrare in top 10 è più un traguardo platonico che concreto. Nessuno baratterebbe uno Slam per x settimane al numero 1 anche se i 2 goal hanno una certa correlazione. Quindi bene il ranking, ma non benissimo.

Risultato degli altri

Un facile corollario a quanto detto in precedenza è il seguente: se il ranking ATP dipende dai punti e soprattutto da quanti punti si hanno in più rispetto all’avversario, possiamo facilmente dedurre che arrivare ad una certa posizione non dipende solo da noi ma anche da quello che fanno tutti gli altri giocatori anche e soprattutto in altri tornei. E’ un corollario pesante da portarsi dietro, un corollario che potrebbe cassare del tutto l’utilizzo del ranking come parametro aggiuntivo, come bonus della GOAT Theory. La base di partenza dovrebbe essere che tutto debba dipendere dal risultato di un tennista e non da chi gli sta attorno. Vero è che i 2 aspetti sono complementari, ma non sono mancati risultati a sorpresa di giocatori in posizione x per defezioni importanti e con un punteggio molto più basso di chi in passato ha occupato quella posizione x. Ritorna sempre il dualismo posizione vs punti che forse più di ogni altro sottolinea questo aspetto che fa traballare una parte importante della teoria del GOAT che per il ranking trova immediatamente delle falle difficili da colmare.

Ranking(fine anno) > Ranking(qualsiasi settimana)

Il sistema ranking ATP, come ben sapete, assegna dei punti in base ai risultati delle 52 settimane precedenti. Un sistema un po’ astruso, ma non più di tanto rispetto al passato, che somma i punti degli Slam, dei Masters 1000 obbligatori e i 6 migliori tornei delle categorie inferiori tra cui c’è anche Monte Carlo, Masters 1000 sulla carta, ma assimilabile nella categoria degli other 6 best results. Sistema stupendo che rispetto agli anni passati lima tanti e tanti difetti e soprattutto è di facile comprensione, ma pone, come tanti aspetti finora, un problema di valutazione e peso delle 52 settimane che hanno portato ad avere questo ranking. Usare i risultati dell’anno precedente e poi man mano scalare punti e/o aggiungere altri in base ai risultati è un ottimo sistema, ma questo postula in sostanza che tutte le settimane sono equipollenti, proprio perché tengono sempre in considerazione sempre lo stesso pattern. L‘equipollenza delle settimane è un dato sacrosanto che però trova in una di queste un dubbio: ogni settimana diversa da quella di fine anno ha lo stesso peso di quella di fine anno? La risposta è sì, ma qualcuno potrebbe storcere il naso e dire che la posizione a fine anno “conta di più” della stessa posizione in una delle rimanenti 51. Non è un caso che venga assegnato un premio a chi arriva primo a fine anno con tanto di coppa e assegno e mai a chi arriva prima nel mezzo dell’anno. Così il bivio che si presenta davanti a noi è il seguente? Bisogna dare un peso maggiore al ranking di fine anno rispetto a quello di qualsiasi settimana? TennisBase risponde positivamente e assegna un bonus aggiuntivo. Essere numero 1 a fine anno è un grande traguardo perché ti pone davanti a tutti in quella stagione precisa e il rankings e la standings in questo punto particolare trova il suo perielio. L’adozione di un bonus potrebbe rientrare nella nostra GOAT Theory, ma bisogna stare attenti sempre alle proporzioni. Assegna un bonus di x punti per questo goal che valga quanto la vittoria di uno Slam è azzardatissimo e quasi grottesco (lo usa TennisBase). Il raggiungimento di questi 2 obiettivi così diametralmente opposti non possono convergere verso un unico punto e in un’ultima analisi avere lo stesso valore. Per ora non diamo soluzione a questa proporzione, ma ci limitiamo a metterla in luce perché sarà essenziale per stilare le graduatorie.

Posizione diversa dalla numero 1

Nelle valutazioni di tipo bloggistiche si sottolineano e si sommano solo le settimane al numero 1. Fine. Per quanto platonicamente essere numero 1 sia infinitamente superiore che essere in una qualsiasi posizione inferiore, queste ultime non vanno di certo trascurate. E’ ovvio che non si potrà usare una stima di tipo lineare che pone alla stessa distanza qualsiasi posizione n da quella n+1 per ogni n > 1, ma vanno comunque considerate. Per pesare le posizioni si potrebbe usare un sistema quantizzato che tiene conto della posizione o usare semplicemente il sistema punti ATP normalizzato al massimo raggiungibile.

Così come per il rapporto Slam/Masters 1000 e tutti gli altri rapporti tra tornei torna utile utilizzare una funzione di riferimento. Siccome sappiamo che le posizioni dopo la numero 1 contano sempre meno man mano che ci allontana dall’origine è d’uopo utilizzare non una proporzione lineare, ma piuttosto quadratica (come per leggi di Newton e Coulomb) o al limite cubica.

Come si vede dal grafico una relazione quadratica declassa in maniera esponenziale le posizioni lontane dalla numero 1 però allo stesso tempo non le annulla come è si è soliti fare nelle discussioni. Però questo sistema è un sistema molto brusco, quasi imposto; sarebbe più utile, come accennato più volte, utilizzare i punti ATP normalizzati per pesare anche le posizioni più alte della numero 1. I calcoli si complicano certamente, ma sono molto più attendibili.

Le vie che ci possono scegliere in questi casi sono 2: o una normalizzazione rispetto alla prima posizione o una normalizzazione rispetto ai punti massimi raggiungibili dal numero 1 che possiamo postulare come il massimo e quindi il 100%. Per renderci conto di quanto detto facciamo un esempio praticato. Prendiamo la top 10 della settimana dell’11 settembre 2017.

Con la normalizzazione al numero 1 notiamo come la pendenza della curva sia molto meno accentuata di quella che usa una relazione quadratica. In questo modo le posizioni oltre alla numero 1 hanno un peso specifico non indifferente e non ci dispiace, per i motivi già elencati in questo articolo.

La normalizzazione al massimo, che ricordiamo essere 21.000 punti, offre la stessa pendenza della normalizzazione al numero 1, ma i pesi sono molto inferiori rispetto al primo caso, questo perché è quasi impossibile che un giocatore sia in testa con il massimo dei punti, ma questa ci aiuta a farci capire “quanto pesa” realmente quel numero 1.

Riassumendo:

  • Normalizzazione al numero 1: il primo della graduatoria ha un coefficiente di moltiplicazione del peso del suo ranking pari a 1 a prescindere dai punti
  • Normalizzazione al max: il primo della graduatoria ha un coefficiente di peso pari al suo rapporto con il massimo teorico raggiungibile.