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US Open 2018: I secondi secondo me

Se Sparta ride, Atene piange. Ormai è consuetudine che Djokovic dopo la vittoria agli US Open si metta a gridare con quel babbeo di Gerard Butler, che forse ha fatto solo questo nella sua carriera. “THIS IS SPARTAAAAA!!!”. Finito. Sparta se la spassa e Atene che fa? Piange i suoi dolori. Se Nole vince gli altri 2 coinquilini del gotha del tennis attuale stanno messi male. Uno malino, l’altro malissimo. Nadal e Federer purtroppo sono stati bocciati in questo US Open e hanno rilanciato pesantemente le quotazioni del loro rivale. Sembra quasi una giostra perversa, ma il destino di questi 3 giocatori è legato indissolubilmente, e se nessuno delle retrovie ne approfitta allora le dinamiche del trio sono anche le dinamiche del tennis mondiale. Ma andiamo per ordine. Federer.

Dopo aver perso pesantemente la finale contro Nole a Cincinnati e dopo aver saltato il Masters del Canada, quindi niente scuse quest’anno, Federer era chiamato ad una grande prestazione a New York, nello Slam che lo ha visto trionfare 5 volte consecutive, e il cui dominio sembrava destinato all’eternità visto che era arrivata la vittoria, l’ultima, nel 2008, l’anno delle batoste per lui. Dalla finale contro Del Potro, anzi dal 5-4 30-0 e servizio del 2° set di quella finale con l’argentino tutto è andato storto, per un motivo o un altro. Storiche ormai sono le 2 semifinali contro Djokovic nel 2010 e 2011 entrambe perse con 2 match point a favore (anche se nel primo caso erano sul servizio avversario). Poi i vari Robredo. Il 4/23 e I have a change Cilic. Roger è il detentore dell’altro Slam su cemento dell’anno e parte tra i favoriti. Però fin dal sorteggio si capisce che non è ancora l’annata giusta. Anche se la cabala ci suggerisce un ipotetico decennale di time span che sarebbe storia. Pesca Kyrgios al terzo turno e Djokovic ai quarti di finale. Insomma, un inferno prima che il torneo abbia inizio. Però dal giovedì della sorte si passa al lunedì dei fatti. Il primo avversario è il leggerino Nishioka. Spazzato via in 3 comodi set. Però non comodissimi. In mezzo ci sono ben 9 palle break concesse di cui 1 concretizzata. Farsi breakkare da Nishi 2.0 non è un buon biglietto da visita. C’è Paire al secondo turno che tanto l’aveva fatto penare ad Halle salvando anche match point e andando ad incrementare l’(anti)-statistica per eccellenza. In Germania si era visto un ottimo francese, qui la versione Mr. Hide. Quella brutta, brutta, brutta. Quella delle sfuriate senza senso, dei dritti anormali (non anomali) e dei tanti giochetti che non servono a niente. Per questa volta si passa lisci, indenni, senza subire ferite, anche se quell’altra statistica fa un po’ storcere il naso. 6 palle break subite e ben, e dico ben, 2 concretizzate. Non è il Federer del 2015 che arrivò in finale sparato a razzo. Non è, non lo è neanche minimamente. Sì, però ora c’è Kyrgios, l’avversario che doveva metterlo più in difficoltà. Nick arriva al terzo turno dopo il simpatico quanto vituperato siparietto di Layhani che lo aveva psicoanalizzato live, in diretta, senza pubblicità nel match contro Pierugo dicendogli che lui lo poteva aiutare, che quello delle bischerate non era lui. Meglio di un padre, di un dottore. Pierugo si incazza, però non può farci niente se dopo l’unzione dell’umpire ha imbarcato acqua da tutte le parti con bagel annesso. Federer gioca la partita perfetta contro l’australiano che però è molto lascivo, e le parole spese a suo favore nella partita precedente si sciolgono come neve al sole. La partita la fa solo lo svizzero che si permette anche di mettere uno shot around the net con tanto di stupore da gif dell’avversario.

Roger passa e sembra una formalità la partita con Millman prima della revenge di Mason (non è un film) contro Nole. Dopo un primo set stradominato cede le armi ad un volito ma mediocre tennista del Queensland. John non fa niente di straordinario. Deve solo mettere la palla dall’altra parte. Roger evapora man mano che passa il tempo, sia per colpa del caldo, sia per colpa di una condizione che ormai non può essere più quella di una volta. Per come è arrivata, per dove è arrivata e per quando è arrivata è forse la peggiore sconfitta in carriera di Federer. Forse si avvicina molto a quella dell’Australian Open del 2015, quando non seppe più cosa fare contro Seppi. Ma allora arrivava da un lunghissimo periodo di magra nonostante l’ottima stagione del 2014, però mai conclusa con lo Slam in saccoccia come questo 2018. Il calo di Federer dall’inizio del 2018 è palese. Il Bradbury Path di Melbourne lo aveva premiato oltre modo, anche se poi aveva avuto modo di cogliere un grande traguardo a Rotterdam diventando il più vecchio numero 1 della storia. È quel 40-15 contro Del Potro che pesa come un macigno. Da allora solo magre figure e il torneino di Stoccarda in bacheca. La finale a senso unico a Cincinnati poteva essere un segnale, però quello è NOLE, ci sta perdere con lui, non con Millman, non in questo modo. A preoccupare è ora la classifica con un raggiante Djokovic in the hunt e con Nadal distante anni luce. Sul suo sito ufficiale si legge che parteciperà alla Laver Cup e a Basilea, saltando così Shanghai dove difende il titolo. Sarebbe un bel guaio dal punto di vista del ranking perdere 1000 punti senza nemmeno sfoderare la spada. Però si sa che ormai lui gioca per vincere gli Slam sul veloce. Il resto è solo contorno, un rumore inutile che serve soltanto a preparare quei 3 eventi. Non ha senso ormai dire che dovrebbe giocare qui o non dovrebbe giocare qua. Gli US Open hanno dimostrare che la programmazione non conta, o comunque è ininfluente se poi perdi dal primo carneade che incontri. Si parla di un’altra resurrezione che potrebbe esserci ancora per il Re. Ma quale resurrezione? In uno sport come il tennis basta imbroccare la strada giusta e indovinare 7 partite per ritornare di nuovo in auge. Il Re non è morto e fino a quando sarà in campo lo farà per vincere, non certo per allungare una carriera che non ha bisogno di andare avanti con dei risultatini per ingrandirla più di quanto immensamente gigante sia ora.

Il terzo vertice del triangolo diabolico è, non a caso, Rafael Nadal. Dopo aver vinto a Toronto e avere buttato dal tetto Wimbledon uno Slam, non a caso, era tra i favoriti di questo torneo. Non aveva mai saltato deliberatamente un torneo importante prima di uno Slam. In passato c’era stato sempre un maledetto infortunio ad impedirgli di prendere parte almeno ai 9+4+1 eventi importanti dell’anno. Questa volta ha deciso di non andare a Cincinnati per riposare. Una scelta saggia dal suo punto di vista. Non tanto dal punto di vista del tifoso che vorrebbe vederlo ovunque. L’età si fa sentire anche per lui e saltare i tornei risulta vitale per poter andare avanti, anche se sminuiscono in parte i record di longevità che con il salto sistematico dei tornei ha poco senso. Ma veniamo allo US Open manacoregno.

Nel primo turno c’è il grande, grandissimo amico Ferrer, ormai finito, che gioca a New York il suo ultimo Slam. Più che una partita è una esibizione dove però non sfigura il buon Ferru che, come Connors al Roland Garros del 1991 contro Chang, si ritira essendo in vantaggio nel punteggio (anche se ha perso il primo set). Non ce la faceva più il grande pedalatore valenciano che più di ogni altro ha corso nel circuito. Grande omaggio per lui anche da parte di Nadal che non può non applaudire il connazionale, scudiero di tante batttaglie in Davis. Al secondo turno c’è Pospisil. Poco più di una formalità. Non vale la pena soffermarsi su questo NON incontro. Il primo ostacolo serio è il giovane Khachanov, battuto facilmente nelle precedenti uscite, che però qui si rivela una brutta gatta da pelare. St’ cazz’ e russ tira dei macigni contro lo spagnolo che viene scalfito. Il primo set va via e si capisce qui che non sarà il torneo di Nadal. Piovono vincenti da tutte le parti, ma quello che è più importante è il ginocchio destro che comincia a scricchiolare. Non si fa caso più di tanto a questo particolare perché si chiude in 4 set anche se con 2 lottati tiebreak. Chi conosce Rafa sa che da qui in poi sarà durissima. Chi non lo conosce parla a sproposito. È l’innocuo Basilashvili a prendersi dei meriti che non gli appartengono nel quarto turno. È il quarto turno più facile del mondo e il precedente tra i 2 al Roland Garros parla di un massacro senza pietà. I 3 set qui sono d’obbligo e fino al 98% del match nessuno avrebbe puntato un cent sulla vittoria di un parziale da parte del georgiano. Però Nadal non è cinico e si fa trascinare malamente nel fango nel 4° parziale dopo aver perso il 3° incredibilmente al tiebreak. È solo un fuoco di paglia, però non si può perdere set contro Basil l’Investigatopo. Nei quarti di finale c’è Thiem. L’austriaco che dopo Wimbledon ha riscritto il concetto di sconfitta nel tennis e che mai ha brillato sul cemento. Sulla carta è una partita facile o poco più, invece sarà durissima. Thiem è una furia e Rafa non può nulla nel primo set. Arrivati al 4-0 del Muster 2.0 si tirano i remi in barca e si arriva alla conclusione che è meglio prendere un bagel e non sprecare energie, piuttosto che vincere game inutili. Però l’onta rimane. Nadal ha preso un 6-0 da Thiem. Incredibile. La partita sale vertiginosamente e Dominic spara vincenti a più non posso. Partita stellare che però Rafa riaggiusta nel secondo e terzo set. Potrebbe anche chiuderla nel quarto quando l’epica bussa alla porta dell’Arthur Ashe. Non si chiude. Il numero 1 del mondo spreca e lascia andare un altro tiebreak. Il ginocchio fa male, ma si deve lottare. Non si sa come ma il 17 volte campione Slam tira fuori tutto quello che ha e riesce a vincere al tiebreak del quinto una partita abbondantemente andata. Sono trascorse 5 ore. È la partita del torneo, forse dell’anno. Rafa è passato, ma di lui è rimasta solo l’ombra, la polvere e qualche goccia di sudore. Neanche le scarpe lasciate chissà dove per l’intervista.

In semifinale arriva un giocatore senza benzina. L’assenza di benzina ti fa pensare stranamente e magari i movimenti non sono lucidi. Il problema al ginocchio camuffato come meglio si poteva presenta il conto salato, salatissimo. Lo step al ginocchio dura poco. Nadal lo strappa via rassegnato che non possa essere utile. Nonostante tutto riesce ad arrampicarsi fino a strappare il servizio a Del Potro che serve sul 5-4 per chiudere il set. Poi brutto tiebreak e i buoi sono scappati. Il secondo set si gioca solo per il pubblico e le statistiche. Un Nadal di solo braccio fa la sua figura, ma non rincorre più una palla. E se Nadal non corre allora il suo gioco non serve a niente. Simpatico è il siparietto con l’umpire in cui protesta per una palla fuori e dice apertamente:”I’m gonna retire, però ‘sti cazzi..”. Per un momento dopo il secondo set si siede come quasi a trovare qualche illuminazione dal cielo. Poi arriva il buon senso e si stringe a Del Potro come aveva fatto a Wimbledon, solo che questa volta è lui a perdere. Salta così la grande finale che poteva essere la sfida dell’anno e senz’altro rivincita del Roof Gate. Questo ritiro costa caro al numero 1 del mondo che rimane tale, però ora è costretto a saltare la semifinale di Davis cui teneva tanto. La Laver Cup sarebbe stata comunque un miraggio a prescindere. Sembra Shanghai la prossima tappa per lo spagnolo, ma il mesetto necessario a recuperare a pieno da un problema al tendine tendono a postare più in là il suo rientro. Rientro che servirà soltanto a difendere il numero 1 del mondo. Difficile, se non impossibile, vincere a Bercy e soprattutto le Finals di Londra. Non c’è riuscito da sano e in uno stato di grazia, figuriamoci senza un ginocchio. Comunque sia noi ti aspettiamo, per l’ennesima, e forse, non ultima, volta.